OPINIONI

Con la scusa della complessità

“L’immigrazione è un fenomeno complesso” è divenuto il nuovo mantra dietro cui spesso si nascondono responsabilità del colonialismo nei confronti dei paesi africani. Responsabilità a cui non sfugge neanche il nostro paese

Un’antica leggenda Bantu sull’origine del mondo narra della divinità Mbombo e del suo mal di pancia. Si racconta che egli, preda di crampi terribili, avrebbe vomitato per giorni, partorendo in tal modo, direttamente dalla sua bocca, il Sole, la Luna, le stelle ma anche l’uomo, la donna, gli animali e molte altre cose.

Perché assume importanza questa leggenda nel XXI secolo? Perché è chiaro che i mal pancia di Mbombo non furono per nulla democratici: il dio non vomitò ovunque le stesse cose, rendendo alcune zone molto più ricche di altre. Non è un caso che questa leggenda sia originaria dell’Africa, continente ricchissimo di materie prime e continuo oggetto di interesse da parte di multinazionali e stati esteri.

Ed è, forse, questo interesse a generare un tipo di argomentazione assai frequente quando il discorso verte sul tema immigrazione. Stando a chi se ne fa portavoce, quello delle migrazioni sarebbe un fenomeno complesso, articolato, non riassumibile nelle opposte soluzioni a cui, infine, tutto si riduce. Né l’accoglienza per tutti, né i muri, quindi. Piuttosto, l’analisi. Ma l’analisi di cosa?

La complessità del fenomeno è indubbia, ma dietro questa complessità, forse, c’è dell’altro. Secoli e secoli di colonialismo hanno messo in luce la particolare forma dell’evoluzione geologica del continente africano, vero e proprio forziere di tesori minerali e metallici: dall’oro ai diamanti, dal carbone al rame, dal gas naturale all’uranio. Proprio quest’ultimo, ad esempio, è al centro di un forte interesse da parte della Francia che, grazie all’uranio prelevato dal Niger, soddisfa circa un terzo del fabbisogno delle sue centrali nucleari.  Non si è ovviamente fatta attendere la risposta degli altri stati occidentali; tra questi c’è l’Italia che, con Gentiloni, circa un anno fa ha annunciato la partenza di una missione italiana in Niger a supporto di una Francia già molto presente militarmente sul territorio, partenza poi concretizzatasi, dopo diversi mesi di stallo, nel settembre 2018 sotto l’attuale governo giallo-verde. Non sono, quindi, soltanto gli “altri” ad essere sporchi, brutti e cattivi, checché ne dicano Di Maio & co. che, negli ultimi tempi, sembrano particolarmente ossessionati dai rapporti della Francia con le sue ex colonie (vedi il caso del franco coloniale); e non lo sono anche perché l’Italia, come spiega Truenumbers, è il terzo paese per numero di imprese ed ettari di terreno acquistati all’estero.

Stando a ciò, è difficile parlare di complessità quando si pone l’accento sul fenomeno migratorio. Lo si può fare quando ad esser presi in considerazione sono casi particolari che vedono confluire, in uno stesso luogo, interventi esteri, particolari situazioni culturali e tribali, la presenza di determinate risorse, lo stile di vita delle popolazioni che vi abitano e altri fattori (malattie, carestie, cambiamenti climatici e quant’altro). Ma nel parlarne in generale, nel prendere il fenomeno in sé per analizzarlo, risulta chiaro sin da subito che lo spartito principale che, da secoli, ne sta alla base è sempre lo stesso: massicci interventi militari ed economici al fine di depredare paesi naturalmente ricchissimi di materie prime.

La complessità, più che un richiamo legittimo alla ricerca di soluzioni efficaci, pare essere una scusa, una giustificazione per non schierarsi e prendere posizione contro un colonialismo che impone un forte impegno morale e che continua a proliferare indisturbato sotto la falsa bandiera della crescita economica, degli investimenti, degli aiuti alle zone più disagiate. «L’immigrazione è un fenomeno complesso» è oramai l’ennesimo mantra sulla falsa riga di «non sono né di destra, né di sinistra», frase, questa, che già nella sua formulazione rivela il particolare panorama ideologico di riferimento di chi la pronuncia. «L’immigrazione è un fenomeno complesso» sta lì a dirci che non possiamo accoglierli tutti e, quindi, che inevitabilmente qualcuno ne pagherà le conseguenze, magari morendo in mare o subendo torture nei campi di concentramento libici. Allo stesso tempo, però, ci suggerisce come continui a mutare la forma del discorso senza che la sostanza ne risulti scalfita; questo discorso non è altro che la solita, triste storia del ricco che aspira a una sempre maggiore ricchezza, indifferente alle sorti di chi, da quell’aspirazione, ricava soltanto miseria.