EUROPA

La rappresentazione del confine greco come «scudo d’Europa» è una trappola

La violenza delle parole della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, non devono trarre in inganno: il confine greco non è mai stato definitivamente normalizzato. Riconoscere che nessun confine è indissolubile è il primo passo per pensare nuove pratiche di attraversamento e solidarietà

I confini della violenza

La Grecia è «il nostro scudo europeo», riferisce la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, in visita nel paese ellenico per sostenere l’azione del governo Mitsotakis. L’esplicita violenza delle parole rispecchia la violenza materiale agita in Grecia dalle forze di polizia e dai gruppi neonazisti per provare a contenere le e i migranti.

Può essere utile riflettere sull’immagine dello scudo per provare a verificare se corrisponda all’attuale configurazione delle politiche migratorie. La rappresentazione della Grecia come scudo restituisce l’idea che il prodotto finale delle politiche di esternalizzazione sia la creazione di uno spazio europeo chiuso verso l’esterno, impermeabile ai flussi migratori. Questo immaginario non corrisponde al vero: nonostante i violenti processi di fortificazione di quel segmento di frontiera, lo stesso ha tuttora un carattere poroso: le donne, gli uomini e i bambini che continuano ad attraversarlo ne sono l’inequivocabile segno.

Non è in discussione il carattere strutturalmente poroso dell’istituto del confine: sono la quantità e la qualità della porosità di ogni specifico paesaggio di frontiera a essere oggetto di una continua negoziazione. La specifica porosità di ogni specifico confine è il prodotto del campo di tensione configurato dall’azione delle e dei migranti, degli Stati, delle Istituzioni europee, delle Agenzie europee, delle organizzazioni internazionali e delle/degli attivist*.

È indubbiamente vero che il confine tra Grecia e Turchia è caratterizzato da violentissimi processi di incastellamento, di esclusione e di espulsione, e che la dichiarazione UE-Turchia ha rappresentato uno violento spartiacque e un modello di gestione dei flussi replicato altrove. È altrettanto vero che anche quel tratto di confine non è mai stato definitivamente normalizzato e che i transiti informali, seppur considerevolmente ridotti, hanno continuato ad attraversare la Grecia nei quattro anni che ci separano dalla dichiarazione UE-Turchia.

 

Confini diffusi

Se osservassimo dall’alto l’intero spazio europeo e i suoi confini, l’immagine dello scudo apparirebbe ancor più problematica. Gli arrivi via mare, gli attraversamenti terrestri in una molteplicità di punti e l’overstaying dei cittadini stranieri che arrivano con i visti e restano sul territorio europeo anche dopo la sua scadenza, restituiscono l’idea di come i confini siano tutt’altro che complessivamente chiusi e impermeabili. L’eterogeneità della geometria e della geografia degli arrivi è il segno di quanto l’immagine dello scudo sia fuorviante e di come sia utile cercare altre metafore.

Piuttosto che a una fortezza o a uno scudo, è utile pensare all’insieme delle frontiere europee – terrestri, marittime, portuali e aeroportuali – come a un enorme setaccio. L’ambizione ultima delle politiche di gestione dei confini non è la chiusura dei confini ma la possibilità di definire in tempo reale, soprattutto alla luce delle esigenze del mercato del lavoro, quanto grandi devono essere le maglie del setaccio e secondo quali parametri deve attestarsi, di volta in volta, il filtraggio delle e dei migranti.

C’è un’ulteriore, decisiva ragione per la quale la rappresentazione del confine come scudo non corrisponde al vero ed è una trappola retorica. L’immaginario dello scudo, infatti, restituisce implicitamente l’idea che chi è posizionato al di qua dello scudo e si trova alle spalle di lo regge, sia collocato in uno spazio di salvezza, difeso dall’azione dello scudo e sotto la protezione di chi lo agita.

Fuor di metafora, l’immaginario dello scudo allude all’idea che l’Europa sia uno spazio omogeneo e pacificato e che al suo interno si riceva protezione. Al contrario, gli spazi urbani, la forza lavoro, le politiche del welfare sono segnati da confini diffusi e violentissimi. Lungi dall’essere accolto in uno spazio liscio, chi è all’interno del territorio europeo è costantemente segnato dai confini materiali, procedurali, simbolici, discorsivi che organizzano, differenziano e stratificano la società, mettono a lavoro la vita e intensificano lo sfruttamento.

 

Vie di fuga

La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ci racconta di avere uno scudo tra le mani. È un’immagine potente, a tratti spiazzante, che produce sconcerto e paura. La rappresentazione dei confini come un istituto totalizzante, un Moloch inossidabile, restituisce l’idea che sia in definita impossibile metterli in discussione e che la loro contestazione non possa che attestarsi sulla testimonianza. Il rifiuto collettivo della fuorviante immagine dello scudo e la consapevolezza sul carattere diffuso e molteplice dei confini possono essere un antidoto contro l’impossibilità e favorire lo sviluppo di un’efficace solidarietà.

Nessun confine – neanche il terribile solco tra Grecia e Turchia – è un Moloch indissolubile. Pensare al setaccio e alla sue permeabilità può consentirci di considerare non solo necessario ma anche possibile liberare le persone bloccate prima e dopo quella specifica frontiera. Praticare solidarietà con le e i migranti e con le e gli attivist* in Grecia vuol dire anche rilanciare in ciascun territorio d’Europa iniziative volte a profanare i confini materiali, procedurali, simbolici e discorsivi e metterne in luce il carattere contingente, la permeabilità e la perforabilità.

Le mobilitazioni in corso in moltissimi contesti europei e le campagne transnazionali di solidarietà sono la traccia di quanto lo spazio europeo non sia definitivamente normalizzato dalla politica della paura agita dalle istituzioni europee, dai governi e dalle forze sovraniste. La liberazione delle persone bloccate in Grecia e in Turchia è una priorità assoluta: è necessario e possibile mettere in discussione gli attuali rapporti di forza, liberi da ogni rappresentazione totalizzante e irrimediabile evocata dai guardiani delle frontiere.