MONDO

Memoria, verità e giustizia: piazze moltitudinarie in Argentina

Sabato 24 marzo, a 42 anni dal golpe civico militare in Argentina, una mobilitazione moltitudinaria ha riaffermato dalle piazze e dalle strade di tutto il paese le parole d’ordine: Memoria, Verità e Giustizia! Contro l’impunità dei militari e le politiche repressive del governo Macri, contro il neoliberismo che pianifica, oggi come ieri, la miseria per molti e la ricchezza per pochi

Foto di Gaia di Gioacchino

Una immensa manifestazione densa di emozioni, sensazioni, suoni ed immagini che ci guidano in un percorso da cui tutti quanti abbiamo tanto da imparare. Il 24 marzo in Argentina è la potenza plebea e popolare di una piazza, di un tessuto sociale, di relazione, affetti, sogni e desideri senza i quali non c’è democrazia nè lotta di classe possibile.  Da 42 anni, senza sosta, le Madres camminano richiedendo verità e giustizia per i 30mila desaparecidos. Accompagnando le Madres e le Abuelas di Plaza de Mayo fino alla piazza, una moltitudine accomunata dalla lotta per la vita, contro la morte, la miseria e il terrore, impara a camminare assieme.

Una mobilitazione che impara a fare della memoria una potenza capace di trasformare il presente e costruire il futuro, a rendere collettive le emozioni, il lutto, il dolore, l’allegria della lotta, trasformandole in pratiche di resistenza.

Si fa esperienza di cosa significa essere corpi collettivi composti di differenze, si avanza tessendo temporalità, storie, esperienze umane e politiche diverse tra loro ma capaci di connettere molteplici resistenze contro uno stesso modello economico. Oggi come ieri. “Non permetteremo che questo torni ad essere un paese di miseria, fame e repressione” dicono dal palco le Madres. La connessione tra il passato e il presente è immediata, palpabile, risuona e si propaga come onde che attraversano il tempo e lo spazio per rilanciare l’opposizione alla concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, alle politiche di austerità e al neoliberismo: “No al modello economico neoliberale, ai tagli, alla repressione e all’impunità”.

Dal golpe ai processi per crimini di lesa umanità

Il 24 marzo del 1976 aveva inizio, con un golpe militare, l’ultima dittatura civico-militare in Argentina, il cosiddetto Processo di Riorganizzazione Nazionale che nell’ambito del Plan Condor impose il neoliberismo attraverso il terrorismo di Stato, il genocidio e la repressione. Lo smantellamento dell’industria nazionale andava di pari passo con l’indebitamento sui mercati finanziari, lo sterminio di militanti rivoluzionari, studenti, sindacalisti, attivisti di organizzazioni sociali e politiche che si opponevano alla miseria pianificata avanzava a suon di centri di tortura e voli della morte.

Mentre i processi sono ancora in corso e cominciano a coinvolgere anche i responsabili civili, le grandi imprese e i piloti dei voli della morte, dall’arrivo al governo di Macri si è aperta una fase che possiamo a tutti gli effetti considerare una controffensiva del governo contro la politica dei diritti umani.

Dichiarazioni pubbliche, sentenze giudiziarie e un sistematico svuotamento e smantellamento di archivi e politiche pubbliche volte alla ricerca delle responsabilità economiche e politiche della dittatura, delle elite locali e dei potentati economici. Una strategia volta a rallentare i processi, riscrivere la storia, fermare l’avanzata verso la verità e la giustizia, straordinaria seppure ancora incompiuta, che l’Argentina ha intrapreso negli ultimi dieci anni. Uno scontro su cui i movimenti, le Madres e gli organismi dei diritti umani hanno opposto, contro il 2×1 nel 2017 e ancora una volta lo scorso sabato, l’impressionante forza della mobilitazione popolare.

Al momento, secondo i dati pubblicati da Hijos, l’associazione dei figli dei desaparecidos, in seguito ai processi giudiziari iniziati durante il governo di Nestor Kirchner nel 2006, molti dei quali sono tutt’ora in corso, tra i 2.479 genocidi imputati, 1.034 sono in stato di arresto, di questi 580 hanno ottenuto ora i domiciliari, 411 si trovano nelle carceri federali o provinciali, 43 in quelle militari,  mentre 1.293 sono liberi e 37 irrintracciabili.

Questo sabato al centro delle rivendicazioni il rigetto totale delle politiche neoliberali e della repressione del governo, la richiesta di liberazione dei prigionieri politici, la denuncia dei potentati economici che si sono arricchiti con la dittatura, il rifiuto del tentativo da parte del governo Macri di liberare i militari condannati per genocidio e crimini di lesa umanità attraverso sconti di pena, arresti domiciliari e altri misure alternative alla detenzione.

Ultimo il caso di Etchecolatz, capo della polizia bonaerense durante la dittatura, condannato per sequestro di bambini, omicidio, torture e delitti di lesa umanità, che aveva ottenuto i domiciliari a dicembre.

La casa dove ha trascorso i domiciliari estivi si trova nella località marittima argentina di Mar del Plata: in risposta a questa decisione gravissima era stata lanciata la campagna estiva “Attenzione c’è un genocida in spiaggia!”. Dopo escraches, mobilitazioni e campagne contro questi benefici durante tutta l’estate, il Tribunale ha stabilito pochi giorni prima del 24 marzo il suo rientro in carcere. Lo slogan “l’unico luogo adeguato per un genocida è il carcere” risuona tra  le centinaia di migliaia in piazza mentre il simbolo delle Madres, il classico pañuelo (fazzoletto) bianco, veniva riprodotto, stampato, affisso e disegnato ovunque su magliette, muri, stazioni, piazze, striscioni, bandiere.

Una piazza moltitudinaria

In testa le organizzazioni dei diritti umani, le Madres, l’associazione Hijos, le Abuelas che festeggiano il 126esimo nipote ritrovato, tra gli oltre quattrocento neonati figli di desaparecidos appropriati dai militari durante la dittatura. In corteo le organizzazioni peroniste e kirchneriste, i partiti e i movimenti, la sinistra popolare e le organizzazioni territoriali, lo spezzone femminista di Ni Una Menos, i migranti provenienti da tutta l’America Latina che ricordano e denunciano i desaparecidos e le vittime della violenza repressiva di ieri e di oggi in Messico, Paraguay, Brasile, Colombia, Cile, fino ai gruppi di artisti e musicisti che inscenano performance, concerti, spettacoli.

Centinaia di migliaia di persone invadono fin dalla mattina tutte le strade del centro di Buenos Aires che convergono su Plaza de Mayo. Sugli striscioni, sui cartelli, nei canti e nelle parole d’ordine che attraversavano il corteo il messaggio era chiaro: “Nessun genocida libero, né oblio, né perdono, né riconciliazione”.

Un fiume di persone di ogni età e provenienza avanza al ritmo dei tamburi tra cori, canzoni, murghe mentre spezzoni con bandiere delle più varie organizzazioni politiche e sociali continuano ad arrivare a Plaza de Mayo fino a sera. Si ricordano anche tutte le vittime di femminicidio degli ultimi anni, Santiago Maldonado desaparecido dalla Gendarmeria e ritrovato morto pochi mesi fa, il giovane mapuche Rafael Nahuel assassinato alle spalle dai corpi speciali in Patagonia, Facundo Ferreira che a soli 12 anni è stato ucciso da un poliziotto un paio di settimane fa. Una mobilitazione multitudinaria che sconfina nel tempo  e nello spazio, inonda la città e le strade, coniuga la memoria con il desiderio di un presente e un futuro di dignità, ricorda Marielle Franco e Berta Caceres, connette l’America Latina con il Kurdistan (in ricordo di Alina Sanchez, rivoluzionaria argentina caduta pochi giorni fa in Rojava), le rivoluzioni del passato con quelle presenti, ridefinisce il tempo della vita come tempo della lotta.

Sostenendo i conflitti sul lavoro, le lotte contro i licenziamenti, contro i tagli alla ricerca, le resistenze dei popoli indigen e le lotte contro la devastazione ambientale, le Madres dal palco affermano:  “siamo di fronte ad un attacco sistematico ai diritti basilari delle persone, ad una frammentazione dei poteri istituzionali, alla criminalizzazione e alla repressione della protesta sociale, all’uso del potere giudiziario e delle forze di sicurezza per persguitare e colpire i lavoratori, i militante, dirigenti e chiunque si contrapponga alle misure regressive imposte del presidente Mauricio Macri e dalla gobernatrice della provincia di Buenos Aires María Eugenia Vidal per imporre il piano neoliberale fatto di fame, violenza e miseria”.

Significative risonanze si ascoltano sul palco, il riferimento alla lotta per l’aborto legale e contro i femminicidi ci riporta alla potenza dello scorso sciopero globale delle donne, mentre il diritto a migrare e l’antirazzismo si connette con le mobilitazioni dei migranti in Argentina negli ultimi mesi. E’ attorno alla questione dei diritti umani che si costruiscono gli antagonismi al terrorismo di Stato di oggi e di ieri, scrive Diego Sztulwark. Cosi possiamo ritrovare nella manifestazione di sabato spazi di costruzione del comune tra le pratiche quotidiane e le maree globali femministe, le lotte dei lavoratori e delle lavoratrici delle economie popolari, quelle studentesche e quelle antirazziste, le lotte sindacali in difesa dei diritti e quelle indigene in difesa del territorio.

E’ la politica dei diritti umani come forza antagonista all’avanzata neoliberale che rende possibile qui, in questa piazza e in queste lotte, l’intersezione tra soggettività, lotte, ribellioni che reiventano il mondo a partire dall’insubordinazione e dalla disobbedienza ai mandati patriarcali, alle gerarchie di razza e di classe.

Come scrive Marta Dillon, quella di sabato è stata una piazza di corpi disobbedienti uniti tra loro, in maniera appassionata per la libertà, il riconoscimento e l’empatia con l’altro e l’altra, contro ogni crudeltà. Tante e differenti prospettive, traiettorie, biografie e pratiche convergono sulla piazza, tessono alleanze tra corpi e sguardi, complicità che diventano potere popolare, alleanze che rilanciano la sfida di costruire un futuro qui ed ora, che permettono resistere all’offensiva padronale e finanziaria, ricostruire, rafforzare e riprodurre tessuti sociali solidali. Si scende in piazza con i 30mila desaparecidos, che ci accompagnano e che accompagnamo, ancora una volta, fino alla piazza del popolo. Sono 30mila, ancora presenti nelle foto, uno per uno, su un eneorme bandiera che scorre lungo tutto il corteo, accompagnati con le loro storie singolari e collettive dalle Madres e dalle Abuelas, dai parenti e dai compagni. Guardare le facce e le storie di ognuno di loro è commovente, rende lo smisurato orrore e dolore del terrorismo di Stato e la straordinaria potenza di chi non dimentica e a partire dalla memoria ricostruisce giorno dopo giorno resistenza. Come diceva Galeano, “para los navegantes con ganas de viento, la memoria es un puerto de partida”.

Dal palco, quando ormai sta calando il buio dopo più di nove ore ininterrotte di manifestazione, si ascolta ancora una volta: “30 mil compañeros detenidos desaparecidos presentes, ahora y siempre. Hasta la victoria siempre, venceremos!”.

Contro la violenza neoliberale, il terrore e l’oblio, ancora una volta questa piazza dimostra la potenza e la vitalità della lotta popolare argentina per i diritti umani come pratica di resistenza e costruzione di futuro, contro il neoliberismo ed il saccheggio dei corpi e dei territori. Una resistenza che crea empatia, solidarietà, potere di veto e potere di immaginazione politica, ridisegnando mappe, territori e strategie del mondo a venire.