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La fine della Ragione

Storia di «una risposta facile a problemi complessi» in un mo(n)do tremendo. “La fine della ragione” di Roberto Recchioni, edito per la neonata Feltrinelli comics, è un meta-fumetto che si propone con un linguaggio all’altezza dei tempi dei social network e con un intento poetico (e politico) ben preciso, ma rischia di essere reazionario, rispondendo fin troppo alle regole del mercato nel quale ci troviamo

NOTA METODOLOGICA

Le prime righe sono state scritte “a caldo” dopo la prima lettura del libro, dopodiché si è deciso di fare passare un po’ di tempo – far divampare la scontata polemica che segue ogni prodotto di Recchioni – rileggere il libro e chiudere l’articolo. Per questo motivo a due mesi dall’uscita del lavoro ci troviamo a scrivere ancora de “La fine della ragione”

 

PREMESSA

Iniziamo con quello che può sembrare un ossimoro: La fine dalla ragione non  mi è piaciuto, ma è un fumetto perfetto.

Sembra il classico inizio ruffiano scritto solo per ingraziarmi l’autore – la rockstar del fumetto Italiano Roberto Recchioni – ma non è così.

In questa scritto –  da assolutamente esterno al settore – voglio al contrario parlare criticamente di questa “perfezione”, specchio di un modo di fare che non so quanto sia bello. La fine della ragione è un’occasione mancata «una risposta facile a problemi complessi» voluta e non casuale (RRobe non è un novellino) … forse anche un pericoloso precedente.

Attenzione: I toni sono volutamente troppo catastrofici per mantenere il clima di western (culturale) post-apocalittico del romanzo.

 

TESI

Fatta questa necessaria premessa passo ad esporre brevemente la mia tesi, apparentemente assurda e scriteriata come quelle dei “terrapiattisti”: questo è un libro che vive prevalentemente più al di fuori che all’interno delle sue 122 pagine.

La Fine della ragione è un perfetto esempio di meta-fumetto egregiamente inserito nei giorni nostri, un lavoro con una storia che viene veicolata non solo nella sua forma “Libro” ma che viene raccontata/presentata/mostrata/fruita anche in quel mondo immateriale del Web in cui tutto oggi sembra essersi spostato, prima e dopo la sua stessa genesi.

La storia raccontata, infatti, è la cosa meno importante di tutto il “pacchetto” La fine della ragione. Non a caso, come anche molti altri prima di me hanno notato, sembra incompleta, accennata, per dirla alla romana “buttata là a casaccio”, nonostante abbia tutte le carte in regola per essere un epico racconto grottesco dei nostri giorni.

Si parla delle vicende di una madre che, in un nuovo medioevo culturale/tecnologico, cerca in tutti i modi di salvare sua figlia da una misteriosa malattia. Questa vicenda viene alternata ai flashback dell’apocalisse che hanno portato a questo “nuovo” mondo dove l’unico sapere è una presunta  saggezza popolare fatta di fiori di bach, oscillococcinum, aromaterapie e mele!

Ma nel libro c’è anche molto altro, o meglio, del libro sappiamo anche molto altro (se non tutto!) grazie ai post social e alle dichiarazioni roboanti dell’autore prima e dopo l’uscita del Romanzo. Sappiamo che è il primo volume della neonata Feltrinelli Comics; che è stato realizzato in tempi record e con un discreto dispendio di energie “al limite dell’umano” da parte di Recchioni; che è uno scomodo pamphlet contro il populismo «di politici di ogni colore ed estrazione» pronti a tutto «per poter continuare a governare!» uscito proprio a ridosso delle ultime elezioni e che è stato realizzato unendo tecniche grafiche tradizionali (pennelli e inchiostri orientali) agli effetti digitali dell’I-pad (filtri e correzione dei colori).

Sappiamo soprattutto che tratta di problemi complessi e di risposte non sempre adeguate.

Perché un autore di esperienza come Recchioni, che cura importanti collane di fumetti e libri, sembra esser caduto vittima del classico “compitino” portato a casa con il minimo sforzo possibile?

Perché non ci racconta, con la forza che ha trasmesso in altre sue opere, di come «una madre al destino gli sputa in faccia»?

 

RRobe ci comunica all’inizio che questo è un lavoro fatto con un linguaggio «per venire incontro ai tempi in cui viviamo, fatti di comunicazione semplificata e titoli di giornali che sono gli articoli stessi».  Non poteva essere più sincero. Ed è proprio questa la chiave di lettura per capire la perfezione spaventosa del romanzo.

Viviamo dei tempi in cui la comunicazione è cambiata radicalmente, sia dal punto di vista della forma che del contenuto, ed è diventata un ruolo centrale di tutta la nostra esperienza umana. Semplificando alquanto l’argomento Social Network Networking: si diceva, che avremmo dovuto imparare tutti a parlare con solo i 140 caratteri di Twitter (e anche se adesso sono aumentati a 280 il concetto rimane immutato) e che la self-promotion avrebbe iniziato a farla da padrone (basta vedere la media delle storie Instagram dei nostri contatti per capirlo). La fine della ragione è proprio tutto questo, ed è un pericolo senza precedenti.

 

CONCLUSIONE

Senza voler essere nostalgici o “vetero-fumettisiti” da questo lato della tastiera si ha un po’ paura di lavori del genere. Si ha il terrore che questo nuovo linguaggio – provocatoriamente descritto come appositamente studiato «per rendere ancora più comoda la fruizione del testo […]» – diventi il futuro del fumetto.

Che proliferino storie con «alcuni vocaboli sottolineati in Rosso, per dare modo a chi ha poco tempo, o scarsa attenzione, di farsi un’idea generale […] e poterne parlare liberamente senza averlo letto.»

Cosa che ricorda molto l’indicazione dei tempi di lettura degli articoli sui siti dei più “importanti” giornali, e conseguentemente di come i «titoli di giornali […] sono gli articoli stessi.»

Mi è tornato in mente, mentre pensavo a questo uso delle parole, il recente saggio Il sofista nero di Marco Mazzeo sul linguaggio usato nelle interviste da Mohammed Ali.

Non so se qualcuno, tra i tanti ruoli e personaggi affibbiatigli, ha paragonato Recchioni a Cassius Clay, ma entrambi sono accomunati da una lingua sciolta e un’attitudine a risultare antipatici quando si leggono le loro dichiarazioni, vedi l’intervista contro Foreman o i post di commento sulle orride parole de La Badessa giusto per citare le “sparate” più grandi.

Ma proprio come il pugile di Louisville, anche Recchioni è un peso massimo del fumetto italiano, con un’ottima capacità narrativa e un’intelligenza fuori dal comune.

Autore di alcune delle cose più innovative degli ultimi anni, quali Orfani o il nuovo corso di Dylan Dog, non riesco a pensare a La fine della ragione come un prodotto venuto male. Ci vedo una riflessione precisa dietro, oserei dire addirittura un intento poetico. Sembra essere questa la «nuova via del fumettista» …

Tuttavia, questo libro, nonostante lo si spacci per rivoluzionario, non è né un pamphlet di protesta, né una critica ai nostri giorni, e anzi l’opposto… è voler seguire questa scia, stare dentro a questi processi, farne parte perché alla fine è li che il mercato ci ha portato.

E questo è un gesto reazionario, assolutamente non da Ribelle … anche se si porta lo zaino su di una spalla sola, d’innanzi perfino all’Apocalisse.