MONDO

Turchia, l’arresto è preventivo

Non ci vuole molto per essere messi in relazione al terrorismo in Turchia: è sufficiente entrare in un internet point e aprire la propria pagina FB sulla quale possono apparire immagini di guerriglieri curdi. E ti viene a prendere la polizia.

È quello che è successo a Giovanna Lanzavecchia: la giovane di 24 anni si trovava a Istanbul da pochissimi giorni, si era recata in Turchia per seguire i festeggiamenti del Nevroz, il capodanno curdo, occasione che, con il suo denso significato culturale e politico, richiama nel paese moltissimi simpatizzanti della causa curda. Peccato che la Turchia sia un paese in guerra, dentro e fuori. E allora bisogna stare attenti, soprattutto quando in ballo c’è una questione che per il paese è un mostro che ancora parla alla pancia del paese ed è pronto ad essere utilizzato strumentalmente.

Le immagini viste con la coda dell’occhio hanno insospettito il proprietario che evidentemente senza pensarci molto ha chiamato la polizia, che si è presentata immediatamente. Imbattendosi in una ragazzina il cui spavento ha innescato il meccanismo del processo alle intenzioni, un sommario interrogatorio, un fermo preventivo e, una volta appurata l’inconsistenza delle supposizioni, comunque la decisione della sua espulsione con interdizione dal paese per 5 anni. Provvedimento applicato in varie occasioni ad attivisti e attiviste a cui non è nemmeno stato concesso di uscire dall’aeroporto.

Giovanna, che ha 24 anni e che non è nemmeno un’attivista, si trova ancora in stato di fermo nella cella di un centro di identificazione ed espulsione per stranieri; l’ambasciata italiana si sta occupando di lei e tiene i contatti con la famiglia, a cui hanno comunicato che sta bene ma non è ancora chiaro quando potrà fare ritorno in Italia. Nel frattempo diversi giornali filogovernativi turchi si sono scatenati sulla notizia, spacciando la giovane studentessa come militante del PKK, il partito dei lavoratori curdi illegale in Turchia e iscritto nella lista delle organizzazioni terroristiche, la maggior questione nazionale irrisolta.

Con il PKK, nel 2013, l’allora primo ministro Erdogan alla ricerca della pacificazione di un conflitto sanguinoso durato 35 anni, aveva dato inizio a dei negoziati di pace, durante i quali il “terrorista” Abdullah Ocalan, in carcere di isolamento dal 1998, assumeva un ruolo fondamentale. Un percorso fragile, molto di facciata, che si è infranto nel momento in cui non è più tornato utile. L’affermazione elettorale del partito filo-curdo HDP e il successo dei curdi siriani nel contenimento dell’avanzata dell’ISIS, nonché la relativa autonomia dichiarata nel Kurdistan siriano, hanno reso i curdi nuovamente scomodi per i suoi progetti egemonici. Dal giugno scorso, immediatamente dopo le elezioni che hanno permesso all’HDP di entrare in parlamento superando l’altissima soglia di sbarramento del 10%, i negoziati sono stati unilateralmente interrotti dalle bombe dell’esercito turco alle postazioni curde al confine con l’Iraq, e dall’ingresso dell’esercito in varie comunità del sud-est a maggioranza curda del paese.

Cio’ ha provocato il riavviarsi di un conflitto che per il suo altissimo numero di vittime civili, tutte curde, assomiglia molto di più a una guerra alla popolazione curda stessa. Il ritorno dello spauracchio del terrorismo curdo serve a giustificare la mano forte, che la comunità internazionale continua volutamente a ignorare.

Al PKK vengono attribuiti dal governo gli ultimi di una serie di attentati che stanno sconvolgendo il paese, quelli di Ankara e di Istanbul, nonostante siano stati rivendicati dalla TAK, i falconi del Kurdistan, gruppo estremista ufficialmente distaccatosi dal PKK dal 2005. Ma in generale ogni qualvolta avvenga un attacco in Turchia, i primi possibili responsabili nominati ancora a ceneri fumanti, sono i curdi del PKK.

Quanto successo a Giovanna è perfettamente in linea con il clima del paese: sospettoso, oppressivo, violento. L’effervescente e multiculturale Istanbul in questi giorni è lo spettro di se stessa: strade deserte e traghetti semivuoti, alberghi e locali senza clienti, giornalisti che vengono aggrediti mentre fanno il loro lavoro, chiunque si guarda bene dallo sfoggiare segni distintivi di una qualche forma di attivismo politico. Nel frattempo al paese vengono consegnati miliardi affinché ammucchi nel suo territorio in campi lager i rifugiati di guerra che l’Europa non vuole; uno dei principali quotidiani d’opposizione, Today Zaman, è sotto sequestro, e ogni giorno, nell’indifferenza internazionale, civili curdi muoiono sotto i proiettili e le bombe di un esercito concentrato in quella lotta ai “terroristi” (cioè al PKK), mentre in pieno giorno, nel cuore pulsante della città, un uomo imbottito di tritolo riesce a farsi esplodere.