MONDO

Incontro in Chiapas: donne unite per una vita senza paura

Un racconto dentro lo storico incontro di donne che si è tenuto pochi giorni fa nella comunità zapatista di Morelia

Migliaia di donne hanno partecipato al Primo incontro internazionale politico artistico sportivo e culturale delle donne che lottano nel caracol zapatista di Morelia “Torbellino de Nuestras Palabras”, regione tojolabal-tzeltal Las Cañadas, Chiapas. Questo evento, tenutosi dall’8 al 10 marzo 2018, rappresenta un momento storico, tanto per il movimento zapatista, quanto per la lotta delle donne in Messico e nel resto del mondo. Si tratta del primo evento organizzato interamente dalle donne zapatiste con autonomia e orgoglio, senza chiedere consiglio ai compagni per risolvere le difficoltà del processo organizzativo. Dopo mesi di preparativi, duemila zapatiste hanno accolto circa quattromila donne provenienti da almeno 38 nazioni per condividere intense giornate di apprendimento, intercambio di esperienze, arte ed emozioni.

Grazie all’iniziativa delle zapatiste e al potere di convocazione di portata internazionale che contraddistingue il movimento zapatista, ci siamo ritrovate tra donne unite nella diversità. Come espresso dall’insurgenta Erika durante il discorso di apertura, noi donne siamo come un bosco formato da alberi uno diverso dall’altro. Ci unisce il fatto di essere donne in lotta, ma anche la violenza e la morte che ci minacciano in quanto donne. Per questa condizione che ci accomuna, la proposta delle anfitrione zapatiste è stata di dedicare l’evento alla vita e il principale accordo è stato quello di vivere – cioè di lottare – secondo i modi, i luoghi e i tempi di ciascuna di noi.

Lottare per un mondo in cui le donne non siano più vittime delle svariate forme di violenza patriarcale è la richiesta che le zapatiste hanno fatto a tutte le donne del mondo. Una difficoltà nell’affrontare questa lotta è che alcune forme di violenza sono alla base della costruzione sociale delle relazioni tra i generi e influiscono enormemente sul modo in cui viviamo la nostra identità di genere. Durante l’evento, il cui accesso era negato agli uomini, è stato possibile prendere coscienza della violenza a cui siamo costantemente sottoposte negli spazi pubblici. La violenza sta nella paura iniettata nei nostri corpi fin dalla nascita in quanto soggetti violentabili. Come se si trattasse di un fluido naturale del nostro corpo, la paura ci costituisce condizionando il modo in cui parliamo, camminiamo, ci sediamo, ci guardiamo, pensiamo, viviamo.

Foto via @Tragameluz

Attraverso l’esperienza vissuta tra sole donne, lontane dalla minaccia delle violenze sessuali e del femminicidio, la paura naturalizzata nei nostri corpi è stata oggetto di riflessione e discussione durante i momenti di convivenza tra un laboratorio e l’altro. Ho domandato a Maria Benciolini, antropologa italiana residente in Messico da più di dieci anni, cosa l’ha colpito di più dell’evento e questa è la sua testimonianza: «A livello emozionale quello che, penso, abbiamo sentito un po’ tutte, questo sentimento di rilassamento, di sicurezza, di poter andare in giro a qualsiasi ora del giorno e della notte, tranquille, senza sguardi, commenti o peggio. E anche questo sentimento di fiducia, confidenza, poter incrociare lo sguardo di altre persone e tutte sorridono, senza conoscersi. Però sapere che siamo qui per motivi condivisi e quindi sentirmi sicura e con fiducia nel prossimo in mezzo a migliaia di persone che in realtà non conosco, per me è stato molto bello. Non credo di averlo mai provato in mezzo a moltitudini di queste dimensioni” (Maria Benciolini, 34 anni, di Verona).

In sintonia con queste sensazioni, Brenda Ojinaga Zapata, storica dell’arte messicana e studentessa in Studi Latinoamericani alla UNAM, racconta che l’insegnamento più impressionante ricevuto durante l’incontro è stato rendersi conto che «Un mondo senza uomini è un mondo senza paura. Ed è duro pensarlo, perché non è che loro siano il nemico e non si deve propiziare lo stare solo tra donne, ma ci sono delle cose che normalizziamo molto. Certo, avevo sentito parlare del “No alle molestie”, ma vivere in un mondo senza sentirti molestata, sentirti libera, non avere paura, ti fa rendere conto che in realtà vivi con paura e che è un tipo di violenza che vivi da quando sei nata. Tra donne viviamo sempre in allerta per noi stesse e per le altre» (Brenda Ojinaga Zapata, 29 anni, di Città del Messico).

Come partecipanti all’evento abbiamo potuto toccare con mano un senso di sicurezza estraneo al vissuto quotidiano e, grazie a questa breve esperienza, abbiamo avuto una nozione di quanto potrebbero essere diverse, migliori, le nostre vite se riuscissimo a sconfiggere la paura violenta con cui siamo abituate a convivere. Il cammino della lotta inizia proprio da questa consapevolezza, espressa chiaramente dalle zapatiste nel discorso di chiusura dell’incontro: «Quello di cui c’è bisogno è che mai più nessuna donna, di qualsiasi mondo, colore, dimensione, età, lingua, cultura, abbia paura». Ora, in attesa di poter incontrarci nuovamente in terra zapatista per un possibile Secondo Incontro internazionale politico artistico sportivo e culturale delle donne che lottano, la sfida sarà come tradurre l’esperienza del Primo Incontro nelle nostre vite situate.

Foto via @Tragameluz

Le modalità sono infinite e dipendono da ciascuna di noi. Possono consistere nel lottare sul fronte dei condizionamenti imposti al nostro corpo e gli stereotipi connessi all’apparenza fisica, sul coinvolgimento del genere maschile e sul fronte della parità in ambito professionale. Questi sono alcuni degli aspetti menzionati da Maria, quando le domando quale sarà l’impatto dell’esperienza sulla sua vita quotidiana: «Vivo in una zona relativamente sicura, quindi cerco sempre di non farmi influenzare eccessivamente su come mi vesto. Posso permettermi di farlo in certi contesti, non in tutti, però è una cosa su cui mi interessa lavorare. Condividerò molto di questa sensazione con il mio compagno, perché sono cose di cui non si accorgono e penso che [gli uomini] possano fare cose perché noi ci possiamo sentire più tranquille. Nel quotidiano, continuare a rivendicare la nostra libertà e uguaglianza anche in un ambiente come il nostro in cui la discriminazione di genere non è così chiara, però c’è. Penso che sia importante promuovere nell’accademia la possibilità di essere donne accademiche. E raccontare, diffondere il verbo!» (Maria Benciolini).

Brenda, invece, porterà con sé a Città del Messico il potenziale di cambiamento della creatività: «Valorizzarci di più tra di noi, valorizzare il fatto che possiamo essere creative. Credo che la creatività delle donne è ciò che mi è piaciuto di più. Tutti i laboratori di espressione, i concerti, i murales. Adoro la forza creativa della donna e vorrei riprendere questo aspetto perché penso che sia come diceva Francesca Gargallo: è un tempo che non usiamo più, come se la sfera creativa non fosse importante, ma è proprio lì dove possiamo generare molte cose. Non credo che sia necessario stare in un collettivo o nella militanza femminista per essere parte di un cambiamento. Si possono generare buone proposte a partire proprio dalla creatività» (Brenda Ojinaga Zapata).

Queste giornate trascorse insieme alle compagne zapatiste sono state rivoluzionarie per le nostre soggettività, ma siamo solo all’inizio: adesso occorre fermarsi ad assimilare, condividere e mettere in pratica quanto appreso per riunirci nuovamente il prossimo anno ancora più numerose, ma soprattutto vive, in lotta e senza paura.

Tutte le foto sono tratte da Tragameluz