MONDO

In Turchia è stato d’emergenza

Il presidente Erdogan dopo il tentato golpe di venerdì scorso, ha annunciato tre mesi di stato di emergenza nel paese. Dopo giorni di purghe di massa, che continuano senza sosta.
I sostenitori di Erdogan festeggiano con aggressioni e violenze

La decisione Ieri sera, dopo 5 ore di riunione del Consiglio di Sicurezza, il 21 di luglio. “L’obiettivo è assumere in modo più efficace le misure necessarie ad eliminare la minaccia alla democrazia del nostro paese, lo Stato di diritto e i diritti e le libertà dei nostri cittadini”, ha detto.

Un discorso carico di retorica, viste le epurazioni di massa che da giorni stanno colpendo decine di migliaia di persone, dipendenti pubblici, funzionari di ministeri, poliziotti, giudici. Lo stato di emergenza è stato dichiarato sulla base dell’articolo 120 della Costituzione, che limita la misura speciale ai sei mesi di tempo. L’entrata in vigore è di questa notte, alle 1: darà più poteri al Ministero degli Interni (e quindi alla polizia) e ai governatori locali nel condurre arresti e indagini, mentre gli arrestati potranno essere detenuti per periodi più lunghi di tempo. “Non c’è niente di cui preoccuparsi – ha aggiunto Erdogan – L’autorità e la volontà dei leader civili crescerà e non faremo alcun compromesso sulla democrazia”.

Insomma, secondo il presidente, tutto procederà normalmente: proseguiranno i progetti infrastrutturali previsti, saranno portate avanti le riforme economiche già decise e i diritti dei cittadini non saranno intaccati. Eppure questo avviene già: ai 10mila arrestati in poche ore dentro esercito, polizia e magistratura, si è aggiunta in pochi giorni una lista abominevole di persone sospese dai propri incarichi, una mannaia che ha colpito oltre 50mila persone. Nel mirino c’è soprattutto l’educazione, con 20mila dipendenti pubblici sospesi, 21mila privati privati delle licenze di insegnamento e 1.577 rettori di università che ieri sono stati sostituiti con personalità vicine all’Akp.

Dietro sta la paranoia – reale? – dello Stato parallelo che secondo Erdogan è stato imbastito negli anni dall’ex alleato e ora acerrimo nemico, l’imam Fethullah Gulen, considerato il responsabile di una rete capillare che ha infestato scuole, istituti educativi, magistratura e forze armate. Non è un caso che una lunga lista di istituti scolastici è già pronta: 524 istituti sono giù stati chiusi. Inoltre il governo ha vietato agli accademici di lasciare il paese, chiesto a chi è fuori di rientrare immediatamente e imposto ai nuovi dirigenti scolastici e universitari di denunciare i dipendenti che sospettano di tradimento. Ieri si sono registrati i primi concreti attacchi alla stampa, con una rivista chiusa per aver pubblicato una vignetta satirica sul golpe e altre agenzie web sospese. Oscurato anche WikiLeaks che era riuscito a pubblicare oltre 300mila mail inviate da indirizzi del partito di Erdogan, l’Akp. Pare che molte si riferissero proprio a Gulen e altre alla base Nato di Incirlik.

Dall’alto del palco di Ankara, ieri sera, dove ha arringato per l’ennesima notte una folla di sostenitori, il presidente si sente intoccabile. E promette vendetta: dalla riunione del Consiglio di Sicurezza è uscita anche la proposta concreta di creazione di tribunali speciali e carceri ad hoc in cui rinchiudere i golpisti o presunti tali. Ad oggi non si hanno prove o indicazioni di indagini in corso: il pugno di ferro è stato calato sula Turchia sulla base di liste di proscrizione pronte da tempo. Cosa che spiegherebbe, dicono gli analisti, perché i golpisti abbiano deciso di agire prima del previsto, proprio in vista della “pulizia” che il governo aveva già in mente di operare. A garantire Erdogan dalle critiche che in queste ore stanno fioccando – in particolare dalla Germania e dall’Unione Europea – sono le politiche stesse assunte dai suoi alleati occidentali. Che ieri ha tenuto a ribadire: dopo gli attacchi di Parigi, anche la Francia ha dichiarato lo stato di emergenza che continua a rinnovare senza grosse polemiche.

Roma, 21 luglio 2016, Nena News