In 57 comuni della Regione Lazio c’è arsenico nell’acqua.

In 14 anni nessuno è intervenuto ed ora siamo condannati a doverne fare a meno.

Con l’entrata in vigore del decreto legislativo 31/2001 che recepisce la direttiva comunitaria 98/83 sulla potabilità delle acque, dal 1 gennaio buona parte della provincia di Viterbo è piombata nell’emergenza idrica.

Una grave emergenza determinata dalla presenza nelle acque destinate al consumo umano di concentrazioni di arsenico e fluoruri superiori ai parametri fissati dalla legge.

In realtà sono 57 i Comuni della Regione Lazio interessati al problema arsenico. Ben trentotto sono viterbesi .

La storia inizia nel 1998 con l’approvazione della direttiva comunitaria, che l’Italia recepisce solo nel febbraio del 2001. Tuttavia, in tutti questi anni, al fine di consentire l’adozione di soluzioni ottimali per abbassare i valori di arsenico nelle acque, l’Unione europea concede all’Italia una deroga fino al 31 dicembre 2012, fissando il valore a 20 microgrammi per litro.

Il Presidente del Consiglio dei ministri con decreto del 17 dicembre 2010 dichiara lo stato di emergenza in relazione alla concentrazione di arsenico nelle acque destinate al consumo umano superiore ai limiti di legge (10 microgrammi per litro) in alcuni Comuni della Regione per garantire acqua potabile alle popolazioni.

Di conseguenza, il Presidente del Consiglio, su proposta del Dipartimento della Protezione civile, dispone con ordinanza n. 3921 del 28 gennaio 2011, la nomina del Presidente della Regione Lazio a Commissario delegato per fronteggiare l’emergenza determinatasi in relazione alla contaminazione delle acque.

Il Commissario delegato approva con decreto n. 2 del 14 marzo 2011 il programma dei primi interventi.

Ad oggi, con l’entrata in vigore del decreto legislativo, i Comuni sono soli a fronteggiare l’emergenza. Abbandonati al loro destino, privati delle risorse finanziarie, umane e strumentali. Costretti a contenere la spesa sociale e per le infrastrutture, nonché ad assolvere l’ingrato ruolo del gabelliere per conto del governo centrale (IMU, Tares e cosi via).

Sulla prevedibile emergenza, le uniche notizie fornite sono quelle dell’Istituto Superiore di Sanità in merito alle limitazioni d’uso delle acque. Ebbene, dopo quattordici anni di ignavia da parte delle istituzioni superiori e preposte, che non sono riuscite a destinare i fondi necessari per l’ammodernamento e adeguamento delle reti idriche nazionali, l’acqua può essere utilizzata solo per lavare indumenti, stoviglie, ambienti e, in assenza di malattie cutanee, per fare la doccia.

Considerato inoltre l’articolo 32 della Costituzione repubblicana che tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, faremo valere le ragioni e i diritti delle donne e degli uomini delle comunità ricorrendo in tutte le sedi, compresa la Corte di giustizia europea, per danni prodotti dalla mancata attuazione della direttiva comunitaria 98/83.

* Sindaco di Corchiano (Viterbo) e coordinatore degli Enti locali per l’acqua bene comune