Impotenza costituente

Fuffa progettuale ed effetti reali del dibattito costituente.

Passa Alemanno, lagnandosi che il derby romano gli ha fatto perdere voti, passa Grillo che con impercettibile ritardo scopre le due società di asorrosiana memoria e dice che i garantiti (dipendenti pubblici, operai e pensionati) gli hanno fatto perdere voti, passa Epifani e dice che il voto ha premiato la governabilità e le larghe intese, risarcendo Bersani, passa Capezzone che esulta per il trionfo del bipolarismo e la disfatta di centristi e grillini e, quando piacque al cielo, passò anche Renzi, che fu l’ultimo e dichiarò che il Pd aveva fatto il sorpasso in retromarcia. Esaurite con un sospiro siffatte profonde analisi e leccate un po’ le ferite, il ceto politico è passato all’operoso risanamento dell’Italia, ha rinviato sine die la riforma della legge elettorale (garantendosi così una certa durata, dato che a Porcellum vigente Napolitano non concederà mai lo scioglimento delle Camere), ha promesso l’abolizione dell’Imu –in realtà solo una proroga, con i conti attuali–, ha rinunciato di fatto a stoppare l’aumento dell’Iva, ha tappato i buchi della cassa integrazione in deroga con uno spostamento dei fondi per la produttività e per la formazione e si è dedicato al compito più urgente: la riforma della Costituzione. Diciotto mesi di melina e di sopravvivenza, se tutto va bene.

Una bella serie di contentini a Berlusconi, cui però non è stato possibile concedere un più robusto salvacondotto giudiziario. E Berlusconi, che sa benissimo trattarsi di fuffa, scalpita e continua a ricattare. Soli vantaggi del pestare l’acqua nel mortaio della Costituzione sono quello di darsi rispettabilità (sono un Padre Costituente, cazzo, mica il papi di Ruby e Noemi) e quello di spaccare e paralizzare la sinistra tra fautori del semi-presidenzialismo alla francese: D’Alema, Veltroni, Letta, Epifani, Renzi, Prodi) e avversari (Bindi, Sel, i giuristi di Giustizia e Libertà, Orfini, Pippo Civati e minutaglia varia. Se le riforme andassero davvero avanti, il risultato parlamentare sarebbe scontato.

Già, se le riforme fossero una cosa seria. Il loro valore è invece assolutamente strumentale a breve termine al mantenimento del Porcellum, a medio all’introduzione del semi-presidenzialismo quale garanzia di governabilità. La forma dello Stato, nell’epoca del pilota automatico, cioè della dittatura commissaria del Bce, non è così rilevante. Si tratti di una repubblica, l’Italia, o di una monarchia, la Spagna, poco cambia per deficit, bolle, spread e livelli occupazionali. Il semi-presidenzialismo non sta evitando alla Francia l’avvitamento sempre più rapido nella crisi. E gli ampi poteri del premier inglese non sono certo la causa determinante della sua posizione economica: nel suo caso, come per Obama, è il ruolo della finanza e la possibilità di stampare moneta.

Dal punto di vista della docilità degli apparati a un comando finanziario esterno e della compattezza della casta, il semi-presidenzialismo, soprattutto se realizzato senza contrappesi e con una cultura istituzionale poco sviluppata, offrirebbe alcuni vantaggi. Tuttavia, è ancor più semplice un presidenzialismo di fatto qual è attualmente in vigore, tanto che Napolitano non si è speso troppo a favore della sua instaurazione, insistendo anzi con petulanza sul cambiamento del Porcellum. Stallo sicuro.

Eppure, questa impotenza costituente, che aggira la reale necessità di ridefinire una struttura costituzionale sulla base dei cambiamenti intervenuti, delle nuove esigenze ma ancora in assenza di un decisivo ciclo di lotte che da sempre permette e impone un cambiamento radicale di statuto, questo chiacchiericcio in apparenza vacuo produce effetti tangibili: allinea cioè il Pd sulla politica delle larghe intese suggerita da Napolitano (da Obama, dalla Bce, dalla Commissione europea), disloca il conflitto e omogeneizza la logica dei corpi intermedi (vedi l’accordo sindacale sulla rappresentanza). Una volta che è passata l’idea della governabilità come valore superiore alla democrazia (tanto già commissariata a livello sovranazionale ed extra-politico), che si realizzino o meno le forme costituzionali nuove e che decrescano i costi della politica (figurati! quella è materia dei tesorieri) non è poi così rilevante.

Quindi è utile contrastare il riformismo costituzionale senza prendere troppo sul serio il piano di dibattito (lo scontro sta altrove) e senza schiacciarsi sulla difesa statica della Costituzione vigente, i cui limiti sono evidenti ma vanno superati in tutt’altra direzione, certo senza mirare a un accentramento formale del potere esecutivo e della vigenza stretta dell’obbligazione giuridica.

Chiacchiere e distintivo. Non amiamo nessuno dei due, ma ci accontenteremmo, al momento, del numero identificativo per i poliziotti. Piazza Taksim ci ricorda qualcosa.