ITALIA

Il partito di Airbnb

100 case 100 idee, le primarie dell’ospitalità. L’iniziativa italiana di Airbnb che manda avanti gli host per piegare le politiche pubbliche ai propri interessi

100 case 100 idee, le primarie dell’ospitalità. Questo il titolo dell’iniziativa lanciata da Airbnb per il 16 novembre quando «gli host della comunità di Airbnb si incontrano in tante piccole e grandi città italiane per discutere di turismo responsabile e sostenibile».

Un evento, il primo del suo genere in Italia, «aperto a host, viaggiatori, amministratori locali e associazioni, una occasione di discussione per elaborare proposte concrete e attuabili per il futuro del Paese». I tavoli di confronto fra host e amministratori saranno ospitati in «spazi pubblici e privati, come sale comunali, aule universitarie, case di associazioni o case presenti su Airbnb». Alla discussione seguirò un «momento deliberativo» e la costruzione di un «manifesto del turismo responsabile e sostenibile». Airbnb si interessa al “futuro dell’Italia”: nasce il «Partito di Airbnb», una comunità di cittadini-clienti.

Secondo l’Ansa i tavoli si concentreranno su tre aree di discussione: «la tematica ambientale (buon vicinato, rispetto dell’ambiente), quella sociale (sicurezza delle persone, qualità dell’ospitalità, rapporto fra politiche per il turismo e per la residenzialità) ed economica (pagamenti digitali e attività in regola con le norme amministrative e fiscali, indotto commerciale e supporto agli esercizi di vicinato)».

Forse gli host-cittadini-clienti si soffermeranno a parlare dei danni ambientali causati dal turismo di massa che Airbnb contribuisce a incrementare, o di quanto Airbnb riduca l’offerta di case sul mercato ordinario, contribuendo all’aumento dei canoni e dei valori immobiliari, all’espulsione di abitanti che faticano ad arrivare a fine mese. Forse qualcuno chiederà come mai Airbnb, che ha sede nel paradiso fiscale del Delaware e paga le tasse in Irlanda, e che ha riscosso affitti per oltre 2 miliardi di euro in Italia dall’introduzione della norma sulla cedolare secca nel settembre 2017, ha omesso di trattenere e versare al fisco italiano circa 430 milioni di euro. O perché a fronte di incassi a titolo di commissioni, che Federalberghi stima in oltre 138 milioni di euro, nel 2018 Airbnb abbia pagato imposte per 2 milioni di euro con un’aliquota pari all’1,5% dei ricavi, quando l’aliquota IRPEF minima pagata da un cittadino italiano è pari al 23%.

La multinazionale americana dell’home-sharing è cresciuta in tutto il mondo grazie all’elusione fiscale e violando le norme sulla casa e sull’ospitalità tradizionale, in nome dell’«innovazione». Dietro una facciata di retorica comunitaria, dal 2013 Airbnb ha avviato una serie di strategie mirate a a combattere e ribaltare le norme restrittive che le città introducono per regolare la sua attività. In particolare la piattaforma della «condivisone» fa causa alle città, spende milioni di dollari in attività di lobbying a vari livelli istituzionali, investe in campagne di marketing che fanno apparire Airbnb come un movimento costruito dal basso, attraverso un reframing dei temi politici in ballo, puntando sulla retorica della condivisione per manipolare utenti e amministrazioni con l’obiettivo di definire le politiche urbane a sua favore.

Airbnb è un marchio che si definisce come un movimento, a partire dalla costruzione a tavolino di finte narrazioni “dal basso” mirate a cambiare le politiche pubbliche. Per farlo, Airbnb manda avanti gli host.

Recentemente Airbnb ha contattato via email gli host italiani chiedendo loro di schierarsi «con noi per difendere l’ospitalità in casa». A coloro che hanno risposto positivamente Airbnb ha poi comunicato che «ora è giunto davvero un primo, importante, momento in cui impegnarti in prima persona», previa una formazione tenuta da Airbnb e un appuntamento per le «prove generali» degli appuntamenti del 16. «Sarà un’occasione per far sentire la propria voce e aprire un dialogo con gli amministratori locali e nazionali», racconta all’ANSA Annalisa, 39 anni, studi in conservazione dei Beni Culturali e una bimba di sette anni – scrive l’ANSA. «Quando ho visto che il lavoro per cui avevo studiato non ingranava – dice – ho investito in una piccola casa subito fuori le mura storiche di Bologna e oggi mi dedico all’accoglienza».

Il problema sono le condizioni di lavoro dei professionisti dei beni culturali, un settore che in un paese a «vocazione turistica» come l’Italia (ci dicono) dovrebbe essere portante. Peccato che  quando effettivamente riescono a lavorare nel campo per il quale sono professionalmente preparati, i lavoratori di questo settore sono «sviliti, sottovalutati, sottopagati, socialmente denigrati». É una condizione che la dice lunga su quanto un’economia  basata sulla valorizzazione in chiave turistica del patrimonio culturale italiano produca povertà per molti e profitti per pochi. Ne sanno qualcosa le guide turistiche professioniste che devono fare i conti con la concorrenza sleale delle esperienze su Airbnb. In questa economia turistica Annalisa è infine costretta, come le città, a vivere di ciò che uccide. Affittare una casa su Airbnb è un pò come accendere l’aria condizionata perché fuori fa caldo: la casa sarà più fresca, ma fuori il clima sarà sempre meno sostenibile. É quello che succede alle città dove Airbnb prolifera anche, ma certamente non solo, perché effettivamente molti cittadini traditi dalla politica non hanno altra scelta per integrare il reddito che ricorrere ad Airbnb. Ma è proprio questo il problema: politiche abitative e del lavoro e inadeguate, e un aumento delle diseguaglianze che Airbnb alimenta.

Tutto questo viene capovolto quando Airbnb viene presentato come una soluzione. Ecco come: «In Italia abbiamo città con 10-12 mila appartamenti vuoti. Tutto patrimonio ingessato che non produce reddito. Colpa di una carenza normativa che spesso non aiuta i proprietari, dall’inquilino moroso che non riesci a sfrattare ai contratti che rendono troppo a lungo indisponibile un appartamento. E se poi il figlio torna a lavorare in Italia? E allora un affitto breve, senza questi vincoli, ha il grande vantaggio della flessibilità», dichiara all’ANSA Giulio Santagata, economista e consigliere Nomisma, evidentemente anch’egli arruolato da Airbnb per rappresentare la voce dei proprietari di case vuote.

Non è casuale che questa iniziativa arrivi ora, mentre in alcune città italiane monta la protesta contro Airbnb, per il diritto all’abitare. A Bologna, dove Annalisa affitta una casa su Airbnb, si è da poco tenuta una istruttoria pubblica sul disagio abitativo. Un primo risultato è l’ordine del giorno votato ieri da molti consiglieri che prevede alcune misure di indirizzo quali lo stop alla svendita del patrimonio pubblico, lo stop al consumo di suolo, il finanziamento di un fondo di garanzia per il sostegno all’affitto, la revisione del contratto a canone concordato studentesco, pesantemente sotto-utilizzato, l’individuazione di una metodologia di regolamentazione delle piattaforme turistiche a livello comunale, tramite un tavolo di lavoro pubblico, l’attuazione immediata del codice unico identificativo per gli host, previsto dalla legge regionale, e infine l’integrazione degli studenti fuori sede tra i beneficiari di Edilizia Residenziale Sociale, permettendo così anche agli studenti di accedere ad affitti a canone calmierato. Si tratta di una dichiarazione di intenti che contiene alcuni elementi interessanti – come lo stop alla dismissione del patrimonio pubblico, una costante delle politiche pubbliche dagli anni ’90 fino al più recente decreto Lupi. Adesso aspettiamo gli atti.

A Napoli è stato convocato un presidio sotto la sede della Regione Campania per il 12 novembre. «La conversione di un grande numero di immobili a uso abitativo in attività ricettive extra-alberghiere (circa 8000 nel centro di Napoli) ha fatto diminuire drasticamente il numero degli alloggi disponibili sul mercato e, di conseguenza, ha fatto crescere (del 10% nel solo anno 2018) il costo dell’affitto di quelli rimasti» scrive il nodo SET di Napoli. «Giganti del web come Airbnb e Booking estraggono enormi ricchezze dai territori senza nulla redistribuire, protetti dai paradisi fiscali in cui collocano la loro sede legale. (..) A beneficiare del nuovo business speculativo delle locazioni brevi digitali sono pochi possidenti immobiliari, detentori di decine e decine di appartamenti» prosegue la nota.

Gli attivisti di Ocio (Osservatorio civico indipendente sulla casa) di Venezia stanno svolgendo un importante lavoro di raccolta ed elaborazione dei dati (spesso difficilmente accessibili) sulla situazione abitativa, mappando gli affitti brevi e organizzando camminate per la riappropriazione dell’abitare.

Contro queste pressioni, Airbnb mobilita i suoi host. Abbiamo visto questa strategia all’opera nel 2015 a San Francisco, in occasione del referendum per limitare l’attività su Airbnb a 75 notti l’anno. Airbnb spese 8 milioni di dollari in una campagna di marketing (affidata a una società di comunicazione) fondata in gran parte sul il reclutamento, l’organizzazione, la mobilitazione degli host, formati per «raccontare le loro storie ai loro rappresentanti in modo efficace, per partecipare alle audizioni e testimoniare, per tenere conferenze stampa e così via».

La strategia adottata per influenzare l’opinione pubblica di San Francisco fu quella di spostare l’attenzione dalla questione abitativa, sfruttandola, alle «migliaia di persone ospitanti della classe media a San Francisco che avevano bisogno di soldi extra» che Airbnb sostentava di aiutare, mentre di fatto contribuiva a espellerle. Con una narrazione pianificata Airbnb sfrutta le preoccupazioni del cosiddetto ceto medio impoverito nascondendo i propri interessi dietro le storie degli host per influenzare le politiche pubbliche a suo favore. Non potrebbe farlo senza una esibizione teatrale, con tanto di prove generali, di pratiche di partecipazione politica come cornice entro cui far passare il suo interesse privato per un interesse collettivo.