ITALIA

Il 22 novembre Non una di Meno scende di nuovo in piazza contro guerre e patriarcato

Dopo i mesi di mobilitazione per Gaza e le lotte territoriali e nazionali contro le politiche punitive, populiste e guerrafondaie del Governo Meloni, Non una di Meno torna in piazza in corteo nazionale il 22 novembre, per continuare a lottare per l’autodeterminazione dei corpi e dei popoli

Alla vigilia del corteo nazionale, chiamato come ogni anno dal movimento transfemminista. Non una di Meno, l’Osservatorio NUDM sui femminicidi, trans*cidi e lesbicidi rileva il dato allarmante di 156 casi, inclusi suicidi e tentati femminicidi, numeri che, anche se eloquenti, non danno la misura reale della quotidiana e sommersa realtà della violenza strutturale di genere nel nostro Paese.

Dopo i mesi intensi di mobilitazioni per dire NO alle politiche genocidiarie di Israele in Palestina e per prendere le distanze da chi lucra sulla morte di innocenti e fa del colonialismo d’insediamento un modello economico globale, sabato 22 novembre le piazze e le strade di Roma si riempiranno di nuovo della marea transfemminista, per ribadire con rabbia e desiderio che il disegno neocoloniale che si sta dispiegando ancora oggi in Palestina, nonostante la finta «tregua», deve cessare.

Nelle passate settimane, moltissime città in tutto il Paese, e non solo, hanno assistito all’esondazione di corpi che si sono riappropriati dello strumento dello sciopero generalizzato, che hanno praticato blocchi diffusi, che hanno espresso ostilità contro governi complici, attraverso discorsi e pratiche radicali.

In uno scenario in cui il paradigma genocidario e la guerra stanno cambiando il volto dell’economia, del welfare e della produzione, Non una di Meno ribadisce con forza che «la Palestina riguarda tuttə e che lottare per l’autodeterminazione dei popoli significa lottare per l’autodeterminazione dei corpi e delle vite, a partire dalle soggettività specifiche che ne sono maggiormente colpite: donne, giovani, migranti, precariə, persone trans, queer, non binarie e lavoratrici».

Come sostengono le attiviste transfemministe di Non una di Meno: «la violenza patriarcale diventa programma di governo ed è normalizzata dalla produzione ossessiva di misure e leggi misogine e transfobiche». L’approccio punitivista scelto dal Governo è pura propaganda: mentre mostra il pugno di ferro con l’ergastolo per i colpevoli di femminicidio, attacca i centri antiviolenza, la loro storia politica femminista, le pratiche e le metodologie per la fuoriuscita e la prevenzione della violenza di genere».

Al tentativo di controllo sulle interruzioni volontarie di gravidanza e al tentativo di inserire «soggetti terzi» nei consultori, Non una di Meno risponde chiaramente che ciò di cui c’è bisogno già esiste ed è garantito dalla Legge 194/78 sull’aborto e dalla Legge 405/75 sui consultori, che sono e devono restare gratuiti, laici e universali; spazi sicuri in cui garantire il diritto alla salute e all’autodeterminazione.

Al tentativo di sostituire l’antiviolenza femminista, finanziata e libera, con l’ideologia punitivista e confessionale, che trasforma i femminicidi in strumenti di propaganda e che inneggia alla “famiglia tradizionale” eteronormata come “spazio in cui le donne possano essere al sicuro”, la marea risponderà portando i corpi nelle piazze, per ricordare che le strade sicure le fanno le donne e le persone queer che le attraversano e non uno Stato repressivo e securitario.

È nelle parole di DIRE (Donne in rete contro la violenza), che racchiude 88 organizzazioni antiviolenza in tutto il territorio nazionale, che si evidenzia la volontà di opporsi ai tentativi oscurantisti e ostracisti del Governo Meloni: «I Centri antiviolenza non sono servizi da amministrare. Sono presìdi politici di libertà e autodeterminazione, nati dalle donne per le donne. Luoghi dove l’ascolto, la credibilità e il riconoscimento non sono procedure, ma scelte culturali precise. Eppure, nel modello istituzionale che si sta consolidando, i Centri vengono trattati come strutture neutre valutabili solo in termini di governance, efficienza o rendicontazione».

Non serve infatti molto sforzo per capire che ciò che serve per combattere il potere sistemico patriarcale è un radicale cambiamento culturale e che senza di esso la violenza continuerà a riprodursi.

La soluzione non risiede nel controllo istituzionalizzato e nelle norme coercitive. Il voto a favore, da parte della Commissione Cultura del Senato all’emendamento che, di fatto, subordina l’insegnamento dell’educazione sessuo-affettiva al consenso dei genitori, ostacola un processo trasformativo indispensabile, svuotando la scuola pubblica di un ruolo educativo insostituibile nella diffusione della cultura del consenso e delle differenze.

A poche settimane dalla chiusura tardiva di gruppi sessisti e misogini come “Mia moglie” e del sito “Social Media Girls”, che quella violenza l’hanno prodotta e protetta per anni, Non una di Meno ricorda che: «Violenze, abusi e umiliazioni fanno parte dell’educazione sentimentale dei maschi italici da tempo, eppure le indicazioni nazionali di Valditara vanno proprio nella direzione di sdoganare la violenza, del disciplinamento di studentə e docentə, della militarizzazione dei saperi e della formazione, di un approccio alla cultura bigotto e autoritario».

A questo scenario già inaccettabile si accompagna poi la stretta sui percorsi di affermazione di genere che, con la Legge Disforia, porta avanti la crociata ideologica anti-gender, che colpisce soprattutto infanzia e adolescenza e che, di fatto, subordina a percorsi clinici e a strutture sanitarie la libertà di essere e di esistere.

Le donne, le persone trans*, lə precariə, lə migranti pagano doppiamente il prezzo della militarizzazione delle relazioni, della vita, della società e dell’economia portata avanti dal Governo Meloni che, mentre investe in politiche sul riarmo e in centri in Albania, ignora realtà come i salari da fame, il part-time imposto e il taglio del welfare.

La nuova manovra finanziaria propaganda il sostegno alle famiglie, ma di fatto elargisce spicci. Il Bonus Mamme e le continue spinte a tornare a casa per curare figli e parenti non rappresentano e non contemplano alcun reale sostegno economico. Gli incentivi alla natalità e alla famiglia tradizionale nascondono una realtà oscura, che scarica altro lavoro gratuito sulle donne, per compensare i tagli alla sanità e ai servizi sociali.

In un Paese in cui cresce l’intensità del disagio economico, con più di 2 milioni di famiglie in povertà assoluta (di cui 1 milione di minori), in cui si è poverə anche avendo un lavoro e con i salari tra i più bassi d’Europa, in cui non esistono tutele dal ricatto economico, dalle molestie sul lavoro e dallo stress mentale, si configura una legge di bilancio “austera” che non fornisce risorse e non garantisce miglioramenti.

Per tutto questo e per un’antiviolenza femminista e libera, per una scuola libera da condizionamenti e diktat, per la libertà di ricerca e di insegnamento, per l’educazione sessuo-affettiva nella scuola di ogni grado e nelle università, per il diritto alla salute e all’autodeterminazione dei corpi e dei popoli e contro la manovra finanziaria, ci vediamo a Piazza della Repubblica a Roma, sabato 22 novembre dalle 14.30 per il corteo nazionale e il 25 novembre in moltissime città italiane per le mobilitazioni locali.

Noi la guerra non la paghiamo! Né complici né vittime della conversione bellica.

La copertina è di Daniele Napolitano

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