ITALIA

I mandanti degli omicidi bianchi

Chi ha paura dei referendum? Perché c’è chi li vuole insabbiare? Uno dei cinque quesiti riguarda morti e incidenti sul lavoro, una strage di donne e uomini, braccianti, metalmeccanici, edili e ora anche studenti, uccise ogni anno per negligenza, indifferenza e ritmi di lavoro “competitivi”

Negli ultimi 10 anni le vittime sul lavoro sono state in media 1.200 l’anno. Un tempo dicevamo che si trattava di “omicidi bianchi” e il manifesto, agli inizi delle sue pubblicazioni, metteva in prima pagina un riquadro per segnalare ogni giorno morti e feriti. Ora li chiamano “incidenti sul lavoro” quasi a sottolineare che sono cose che possono succedere, fatalità.

Secondo gli ultimi dati dell’Inail, nel 2023, a fronte di 585.356 denunce – ma sappiamo bene che molti datori di lavoro o operai non denunciano –  1.041 hanno riguardato infortuni mortali. Le denunce di infortunio da parte di persone con nazionalità italiana sono state l’anno scorso 388.876 e 101.849 quelle sporte da persone straniere. La fascia di età più colpita in contesto di lavoro e in itinere è quella che va dai 45 ai 54 anni con 130.010 denunce (il 22,1% del totale). Tra il 2015 e il 2024 ci sono stati 160 incidenti mortali plurimi, quelli in cui hanno perso la vita più lavoratori, che nel 2024 hanno provocato 39 vittime, cinque in più rispetto alle 34 dell’anno precedente.

Esattamente dieci anni fa, ero consigliera regionale del Lazio e membro, tra l’altro, della Commissione “speciale” che si occupava dell’indagine conoscitiva sul fenomeno della sicurezza e prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro. La definizione di “speciale” era inversamente proporzionale alla importanza che ricopriva. Infatti, se non sbaglio, in cinque anni si riunì tre volte, tutte e tre per ascoltare lo statistico di turno che sciorinava tabelle e dati. Eppure, lo dico con enorme tristezza, a pochi mesi dal nostro insediamento, proprio nella sede del consiglio Regionale, in via della Pisana, ci fu un morto, un giardiniere che si rovesciò con il trattorino mentre tagliava l’erba e venne schiacciato. Andammo al funerale, facemmo una colletta. E tutto finì lì.

Ora c’è un referendum a ricordarci che tutto non finisce lì e che di Satnam Singh, il bracciante con un braccio tranciato scaricato morente davanti casa, ce ne sono tanti, troppi. Agli adulti, recentemente, si sono aggiunti anche le e gli studenti della alternanza scuola lavoro: il dato provvisorio del 2024 è di 77.883 denunce, in aumento del 10,9% rispetto alle 70.215 del 2023.

Non che in Europa le cose vadano meglio: morti e feriti sono quasi ovunque ancora più che in Italia. Dagli ultimi dati Eurostat emerge che nel 2022 gli infortuni sul lavoro avvenuti nei 27 Paesi dell’Ue sono stati quasi tre milioni, in aumento del 3% rispetto al 2021, e i casi mortali 3.286, in calo dell’1,8% rispetto all’anno precedente. Il confronto a livello continentale è reso ancora difficile dalla grande disomogeneità dei sistemi di tutela e di rilevazione e delle differenti strutture economiche. C’è da dire che anche i salari affogano nel mare magnum della disomogeneità che vede però sempre il nostro Paese fanalino di coda.

Per gli infortuni mortali del 2022, l’Italia ha un valore di 0,87 decessi per 100mila persone occupate, al di sotto di quello rilevato per la Francia (3,35), Spagna (1,53) e Ue-27 (1,26) e superiore a quello della Germania (0,61). Storicamente questo indicatore ha mostrato per il nostro Paese un valore sempre inferiore alla media Ue e a quello di molti altri Stati. Negli ultimi anni l’Italia ha registrato valori sempre al di sotto della media europea anche per gli infortuni non mortali: nel 2022 rispettivamente 968 contro 1.342 casi per 100mila persone occupate, notevolmente inferiori a quelli di Francia (2.454), Spagna (2.371) e Germania (1.535). Non è una consolazione, ma solo la presa d’atto, ancora una volta, che evitare le stragi sui luoghi di lavoro non è una questione che i singoli stati possono risolvere “a casa loro” ma che, al contrario, avrebbe bisogno urgentemente di un indirizzo comune.

A dare una sterzata alla palude di indifferenza, interessi e omertà che avvolge, come in un sudario, gli omicidi bianchi può essere uno dei quattro referendum sul lavoro sui quali tra pochi giorni tutta la cittadinanza italiana maggiorenne sarà chiamata a esprimersi.

Il quesito è, come sempre, sibillino: «Volete voi l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” come modificato dall’art. 16 del decreto legislativo 3 agosto 2009 n. 106, dall’art. 32 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modifiche dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché dall’art. 13 del decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, limitatamente alle parole “Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici”?».

Detto così non si capisce niente. Comunque, lo si può decodificare più o meno così: il referendum si propone di rafforzare i meccanismi di responsabilità delle imprese committenti negli appalti, a tutela della salute dei dipendenti degli appaltatori.

Certo che il cosiddetto “servizio pubblico” cioè la Rai non sta facendo un buon servizio, sia perché cerca in ogni modo di “spiaggiare” (cioè di spingere ad andare al mare invece che al seggio elettorale) tutti e cinque i referendum non graditi dalla maggioranza, agli imprenditori, a un bel mucchio di economisti e a una certa quantità di Soloni nelle file dell’opposizione.

Uno per tutti, prendiamo Tito Boeri, economista, docente, presidente dal 2014 al 2019 dell’Istituto nazionale di previdenza sociale, scuote la testa dicendo che sono sbagliati perché «aumentano l’incertezza sui costi effettivi dei licenziamenti».

Quanto alle garanzie per limitare gli infortuni, non va bene nemmeno quello perché introdurrebbero «una norma che non ha precedenti al mondo». In altre parole. A decidere della vita e della morte delle lavoratrici e dei lavoratori è il mercato e ci sarà una ragione se nessun altro Paese ne vuole sentire parlare.

L’immagine di copertina è di Filea Cgil

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