OPINIONI

Guerra in Ucraina, per una diplomazia dal basso transnazionale

Bisogna aiutare gli ucraini e le ucraine che resistono a Putin, ma allo stesso tempo lavorare tatticamente per una pace ragionevole anche compromissoria, ma subito. Alcune proposte d’azione

La fine del secolo americano


A inizio guerra ho scritto un articolo in cui ponevo l’accento sul fatto che questo non sarà il secolo Americano. Continuo a crederlo. È l’inizio del multipolarismo in cui ci saranno sempre più logiche imperiali in conflitto. L’intervento a Varsavia di Biden in cui dichiarava la volontà di far fuori Putin e gli sviluppi dei giorni scorsi mi hanno ancor più convinto che gli Stati Uniti sono in difficoltà. In difficoltà nei cicli della storia, intendiamoci. È la fine dell’impero americano. Un secolo fa gli Stati Uniti avevano preso il posto dell’Inghilterra e dei colonialismi europei, e ci sono volute due guerre mondiali. Ora sono gli Stati Uniti che devono lasciare il posto a qualcun altro. E quando gli imperi finiscono e si tramutano in qualche cosa d’altro c’è sempre la guerra, o le guerre. Questo non significa che gli Stati Uniti in questo momento siano vittime senza peccato e che in Ucraina sia tutta e solo colpa di Putin. Anzi, siccome gli Usa sanno di essere in recessione imperiale, sono molto agitati, cinici e irrequieti e poco diplomatici.

Infatti Biden sbava e fa gaffe ogni volta che si trova davanti un microfono. Ma significa anche, come dicono parecchi interventi di attivisti russi leftist, che l’imperialismo di Putin ha una sua autonomia, e non è Nato-dipendente. Vale a dire che non basta spegnere la Nato per spegnere Putin. E ora che succede?

Succede che gli Stati Uniti e l’Europa sembrano non volere la terza guerra mondiale. E sono stati fermamente contro la concessione di una no fly zone. Succede che l’Europa non ha una voce che possa pesare dal punto di vista della risoluzione del conflitto. Non ce l’ha perché non ha una unità politica e fiscale, che permetta nel tempo ai singoli stati di non fare accordi e politiche multilaterali in direzioni opposte. E quindi è vulnerabile e divisibile nelle politiche economiche strategiche di lungo medio termine. La Cina vincerà raccogliendo una Russia patriottica omofoba e in grave recessione. Una Cina rispettata in Africa come colonialismo dal volto umano, e ammirata dalle ultranazionaliste del sud India e Brasile perché in grado di dare una visione non occidentocentrica.


In Ucraina si combatte. Molt* ucrain*, anche anarchic* e transfemministe e socialdemocratic* vogliono combattere e fare resistenza al fascio patriarcale Putin. Ma abbiamo tutt* bisogno di costruire la pace e di non trasformare tutta l’Ucraina in un nuovo Afghanistan, Iraq o Siria…

Insomma in un parco giochi permanente per guerriglieri dove si scarica l’aggressività testosteronica dei leader, mentre in altri luoghi decidono come si spostano le sfere di influenza finanziarie e commerciali. Perché? Perché questo non fa che alimentare la morte di civili, aumentare l’investimento in armi e i processi migratori che segneranno intere generazioni.


Quindi bisogna aiutare gli ucraini che resistono a Putin, ma allo stesso tempo lavorare tatticamente per una pace ragionevole anche compromissoria, ma subito.

(da commons.wikimedia.org)



Binarismo e propaganda


La superiorità morale dell’occidente è il vero obiettivo. Si certo. E propongo di saltare dalla barca tutt* quant* finchè siamo in tempo. Ma non è così facile, perché dobbiamo pensare bene alle cose da metterci in tasca e come proteggerle prima di saltare.


Non è facile perché prima di tutto non c’è un organismo sovra le parti che può dire quando sia il momento dell’adesso basta. Alcuni indicano l’Onu, ma all’Onu si affacciano tutti gli attori in campo. La prima votazione sono riusciti a dire che la Russia è stata sgarbata con questa invasione, ma la seconda votazione dove gli Stati Uniti hanno chiesto di estromettere la Russia dal Consiglio per i diritti umani, la Cina vota contro, e anche India e Brasile non sono per la quale. Gli Stati Uniti, diciamoci la verità, hanno fatto nel passato di peggio di ciò che Putin sta facendo in Ucraina oggi, ed è rimasta formalmente ingiudicata a colpi di egemonia diplomatica nel consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Ed è per questo che ora stanno dicendo agli Usa per la prima volta che al resto del mondo non piace il suo doppio standard. E ciò sta succedendo adesso perché la posta in gioco è dire agli Usa che ora non sono più quelli che comandano.


Tanto più Biden è irritato e scomposto e testosteronico tanto più Putin può dimostrare ai suoi sostenitori che la Nato è da contenere, ma tanto più Biden svela anche di non avere per nulla la partita in mano. Svela di non avere le leve per uscirne a testa alta sul piano diplomatico senza costi rilevanti. Svela che l’Ucraina non vale il costo sui trattati internazionali che probabilmente gli sta chiedendo di pagare la Cina. E questo si traduce anche sul piano mediatico. L’infosfera sta trattando questa guerra in modo estremamente polarizzato, molto simile a quanto successe per la pandemia fra si-vax e no-vax.


L’occidente contro il resto del mondo autocrate, la democrazia liberale contro le dittature, schema che si traduce tale e quale anche nelle piazze del dissenso, che gridano né Putin né Nato, riconoscendo sempre e solo questi come gli attori in campo, in uno scontro fra titani in erezione. In questa polarizzazione la società civile cessa di essere un attore politico. E intanto arrivano le immagini delle fosse comuni, degli stupri, delle tratte, dei bambini morti, e dei trolley per paraplegici riversi a fianco dei carri armati incendiati. Le due propagande, una un po’ più propaganda dell’altra ma sempre propaganda, parlano il linguaggio delle fake news e delle false flag.


Questo binarismo, o stai con l’occidente o stai con Putin, uccide l’Europa, uccide la Pace, uccide la diplomazia. E infatti dopo gli ultimi negoziati di Istanbul, Biden ha detto che vuole Putin morto, Putin ha detto che vuole l’occidente ferito, i pacifisti occidentali dicono che è tutta colpa di Biden, e gli attivisti dell’est europa che è tutta colpa di Putin.

E non si parla più di come si può costruire la pace. Non si parla più di diplomazia.

(dalla pagina Facebook di Rete mutualismo conflittuale contro la guerra in Ucraina)



Le catene della Cura

In questi due mesi di guerra da molte città europee abbiamo organizzato dal basso carovane per aiutare al confine ucraino profugh* che scappano dalla guerra. Attivist* che tornano dai confini sono sbalordit* dal fatto che tutta la rete di assistenza umanitaria è auto organizzata. Anche a Milano una volta che le persone arrivano in città vengono smistate e ospitate per lo più dalle reti familiari della diaspora ucraina, da innumerevoli associazioni, da infiniti gruppi Whatsapp e Telegram di cittadini, e da piattaforme decentralizzate come Refugee Welcome. Siamo noi. E le istituzioni riconoscono con pacche sulle spalle in conferenze stampa che la rete della cura è auto organizzata dal basso e funziona.


Negli stessi giorni i governi decidono senza dibattiti parlamentari di affrontare la recessione imminente con ingenti spostamenti di spesa corrente in armamenti. Risultato: le istituzioni governative si occupano di spostare la spesa pubblica in armamenti e sicurezza, facendo addensare nubi scure sul futuro dell’investimento in welfare, cultura e sanità. Tanto quella la si auto organizza dal basso.


Ecco l’altro effetto della polarizzazione e del binarismo. È nel femminismo che troviamo gli strumenti concettuali per comprendere la crisi geopolitica. Mentre i media e la politica si occupano di misurare chi ce l’ha più lungo, il lavoro di cura ed essenziale a sostenere le conseguenze della guerra è caricato, invisibilizzato nelle catene della cura.


L’economia di guerra estende la logica del capitolocene. Rende sempre più dato per scontato che la riproduzione sociale e del pianeta sia sotto scacco e inevitabilmente compromessa, innescando un debito da pagare con il ricatto alla buona volontà della gente che si mette a riparare i danni di questo modello economico produttivo. Se la cura dal basso è la colonna portante sociale, tanto più in un momento tellurico come questo dove tutto sta crollando, questo è il momento di non invisibilizzarla, anzi trasformarla nella nuova agenda politica e di governo.


È assurdo pensare di investire in armi quando al contrario dovremmo investire in un altro tipo di sicurezza. La cura infatti definisce il concetto di sicurezza, l’essere sicur*, in tutt’altra prospettiva politica. Questo è il momento di costruire la pace, non di difenderci dalla guerra.

(da commons.wikimedia.org)


Una Diplomazia dal Basso Transnazionale



1/ L’Europa deve essere politicamente, energeticamente e fiscalmente unita per poter non essere sussidiaria o subordinata agli Stati Uniti, alla Russia e nel sempre più breve futuro alla Cina. L’Europa deve costruire una rapporto di interdipendenza internazionale con un’autonomia politica e energetica basata sulle rinnovabili. Nel solco dei tracciati costituzionali post seconda guerra mondiale, deve rappresentare la cultura della forza della diplomazia contro quella dell’armamento.

2/ Occorre svincolare i principi democratici, anti patriarcali, decoloniali e di giustizia sociale, dall’identitarismo occidentale e dai nazionalismi. Non possiamo appiattire questo patrimonio politico sulla guerra di civiltà e la difesa dell’occidente. Questo lo possiamo fare solo instaurando alleanze transnazionali con i movimenti sociali anti regimi, antifascisti, eco attivisti e anti patriarcali e indigeni a livello globale. Dobbiamo mutuare linguaggi, creare spazi di discussione, e infrastrutturare agenzie transnazionali di sinistra, disallineate alle geopolitiche imperiali.

3/ C’è mezzo mondo goverantivo davvero fascista, omofobico e suprematista. Non pensiamo che l’aggressione di Putin all’Ucraina, sia un fatto isolato. Non cadiamo nell’opposta tentazione di fingere che noi europei deteniamo solo un privilegio oppressivo. Non cadiamo nella semplificazione di certa sinistra per cui il problema si riduce all’anti imperialismo americano. Il nostro privilegio, nella cultura dei diritti, nel livello di servizi universali, sistema educativo, accesso alle cure sanitarie e libertà di espressione sono un patrimonio da condividere e da difendere tatticamente. In Ucraina credo che ci siano cittadini che decidono davvero di combattere dando la vita per questi diritti. Dire che l’Europa sebbene le sue accezioni turbo neoliberali e lo zarismo di Putin sono due forme equivalenti di schiavitù e oppressione è credo frutto di una falsa coscienza anti-sistema occidentale che va disambiguata. E molte delle persone che lo affermano non hanno mai vissuto al di fuori dei loro salotti europei.



4/ Per questo dobbiamo prendere sul serio la costruzione di una diplomazia dal basso che usa tatticamente le istituzioni governative europee in due direzioni: da una parte smantellare gli apparati istituzionali coloniali, neoliberali, imperialisti e pro armamenti occidentali, dall’altra usare le istituzioni Europee per difendere i diritti acquisiti e proseguire sulla strada contro la violenza patriarcale, razziale e l’ingiustizia sociale interna. Dobbiamo cogliere l’occasione della crisi bellica in est Europa per aprire la fortezza Europa a tutti i popoli in fuga nelle linee di conflitto armato ed economico globale.



5/ Dobbiamo trasformare questa resistenza interna europea alle regole del capitalismo bellico in innovazione, in nuove istituzioni della cura e della ecologia sostenibile. Una fase costitutente per la pace. E questo non può passare che per una ridiscussione dei nostri consumi e standard produttivi. Insomma consideriamo che entreremo in recessione e dovremmo tagliare i nostri consumi energetici, meno riscaldamento, meno mobilità e trasporti, e meno cibi energivori. La domanda è: siamo disposti a farlo in nome di investimenti in razzi e testate nucleari? O lo vogliamo fare in nome di investimenti in welfare, per un rapporto più sostenibile con il nostro ambiente, e per ospitare chi sta fuggendo dalle conseguenze dei regimi che noi diciamo di non voler essere? L’alternativa è fare accordi con il regime di al-Sisi dove in cambio del silenzio su Regeni, lui permette ad Eni di estrarre gas, fare accordi con Erdogan per far si che regoli i flussi migratori in Europa con lager di detenzione, nella misura in cui abbiamo più o meno bisogno di forza lavoro degradante, in attesa che non siano loro a porre a noi le condizioni su come gestire i nostri affari interni.

Immagine di copertina dalla pagina Facebook di Rete mutualismo conflittuale contro la guerra in Ucraina