ROMA

Grosso guaio a Centocelle

Un racconto da dentro il quartiere di Roma Est, tra i fatti recenti e la memoria di un passato recente. «Una volta qui era tutto Marsigliesi»

Un film: un locale va a fuoco in piena notte a Centocelle a poco più di 48 ore da un altro incendio avvenuto in un caffè-libreria distante qualche centinaio di metri, presidiato da giorni dalle forze dell’ordine con blocchi stradali e presidio permanente. Vicino al locale incendiato, a una ventina di metri, è aperto un bar 24h i cui gestori dicono di non aver sentito né visto nulla. In questa storia, in verità, nessuno sa nulla: i carabinieri intervenuti sul posto, i consiglieri del Comune e del municipio, oltre ovviamente ai proprietari dei locali.

La sequenza degli eventi è quasi cinematografica: il 25 aprile viene incendiata La Pecora Elettrica, caffè-bar di via delle Palme, una strada buia a ridosso del parco esterno di Forte Prenestino. Il 9 ottobre le fiamme distruggono la pinseria Cento55, quasi di fronte a La Pecora Elettrica. Quindi di nuovo quest’ultima, proprio a ridosso della riapertura, viene messa a fuoco la notte tra il 5 e il 6 novembre. La sera del 6 un corteo di qualche migliaio di persone sfila per le strade di Centocelle in solidarietà con i proprietari del caffè-bar. Tempo 48 ore e, come si diceva, viene distrutto e ancora dalle fiamme, il Baraka Bistrot, via dei Ciclamini.

Ansia. Anzi, ansia e frustrazione. Gli attivisti, gli amici, qualche abitante del quartiere accorrono ogni volta sul luogo di questa specie di via crucis di macerie fumanti. Cosa può essere successo? Nessuno riesce a darsi uno straccio di spiegazione. Le ipotesi (i fascisti, gli spacciatori del vicino parco, la criminalità organizzata) sembrano tutte plausibili e tutte comunque, alla fine, non del tutto convincenti. Ansia. Perché non si sa neppure con chi prendersela.

Marco, il proprietario del Baraka Bistrot appena ristrutturato e ora ridotto a un ammasso bruciacchiato, è atterrito: «Non riaprirò più, ci rinuncio». Perché? «Perché non so nemmeno contro chi devo combattere, non ho la più pallida idea su chi sia l’autore e perchè abbia fatto tutto questo». Stessa cosa quelli del municipio di questo territorio, il Quinto. «Non riusciamo a capire, non sappiamo. Non avevamo segnali». Sentirlo dire dall’assessora ai lavori Pubblici, Paola Perfetti, grillina, è piuttosto sconsolante.

Davanti alle macerie c’è anche un consigliere comunale della Lega: niente neanche lui. Neppure un cenno di polemica politica, che pure potrebbe fargli comodo dato che è all’opposizione. Niente. «Qualche segnale che poteva mettere in allarme?». «Niente, mi creda». Polizia e carabinieri, manco a parlarne. Che direzione abbiano preso le indagini dopo il primo incendio del 25 aprile, nessuno lo sa. Soltanto dopo l’incendio alla pinseria era stato fermato un tizio, un egiziano che frequentava il parco, perché aveva degli accendini. Pare non c’entrasse niente e fu rilasciato.

Oggi sembrano tutti presi in contropiede dagli eventi. Eppure uno studio svolto pochi anni fa (e confermato da un report della Dia del 2018) che spezzettava la città in territori d’influenza criminale, indicava chiaramente la forte presenza della camorra a Centocelle. Ma fino agli incendi  di questi giorni non sembra che qualcuno abbia monitorato in maniera doverosamente capillare, movimenti e strategie di penetrazione nel territorio. O almeno, se è stato fatto, sicuramente le istituzioni non sono state avvertite. Fino a essere presi in contropiede dagli eventi e rimanere completamente ignari dell’accaduto. Fino alla prossima mossa di quella che sembra essere diventata una tragica partita a scacchi.

Una volta qui era tutto Marsigliesi

Una volta a Centocelle c’erano i Marsigliesi. O almeno così era sempre pronto a giurare zio Arturo, tossicodipendente anomalo nella cerchia degli eroinomani di piazza dei Mirti negli anni ’80: aveva più o meno 70 anni (nemmeno portati male), occhiali, capelli bianchissimi e camicia bianca sempre aperta sul petto. Lui, che spiccava in mezzo a quei ventenni o poco più del “treppio” riunito tutte le mattine davanti al Ser.T. che si affacciava sulla piazza, era capace di raccontarti di una canna che si fece in gran segreto con Gino Bartali (giurava). E di quando l’eroina a Centocelle la portavano i Marsigliesi per quei pochissimi pionieri che, quando quei tossici imberbi che lo stavano ad ascoltare erano ancora in fasce, già stavano “a rota”. Anzi, “ a rrrota”, come diceva nel suo accento siciliano spinto.

Nessuno seppe mai se romanzasse un po’ troppo quei ricordi o se fosse tutto reale. Era sempre di corsa. Perché in una curiosa e inedita inversione di ruoli, era la figlia a controllare lui e a sgridarlo quando lo trovava nel “treppio”, fino a farlo vergognare. Qualche volta lo trascinava via e se lo riportava a casa e chissà se gli ha mai dato persino uno scappellotto, come a un adolescente riottoso. C’era anche un altro “zio” tossico a Centocelle: zio Andrea, meno anziano di zio Arturo ma anche lui di età considerevole, dormiva in una cabina Acea nel parco esterno di Forte Prenestino, proprio sul lato di via delle Palme (quella cabina probabilmente oggi non c’è più).

I Marsigliesi stavano a piazza dei Gerani ma non proprio sulla piazza (spazio alternativo e “liberato”) ma alla Sala giochi (che poi diventò Snai), su un lato, dietro al capolinea dei tram che portano alla stazione. A quei tempi c’erano in giro tutte le icone del più vieto immaginario anni ’80 di periferia: i tossici che “scollettavano” («c’hai cento lire?»), i coatti nei bar (una metà spacciatori, l’altra metà no), le donne in strada che si stringevano la borsetta per paura degli scippi, come fosse un gesto ordinario e in giro c’erano quelli della narcotici, piuttosto conosciuti da tutti, che pattugliavano il quartiere da mane a sera. Andò così per anni. Lungo quel decennio (ma anche più) il tempo sembrava cristallizzato in quelle figure che alla fine sembravano essere diventate grottescamente familiari. Un presepe di periferia. All’improvviso tutto ebbe un’accelerazione.