ITALIA

GKN: un anno di lotta e convergenza

A un anno dall’inzio della lotta della fabbrica di Campi Bisenzio, intervistiamo Matteo Moretti RSU dell’ex GKN: strategie di lotta, stato della vertenza e prospettive verso l’autunno

Un anno fa, il 9 luglio 2021, scendevate in piazza per la prima volta contro la chiusura e la dismissione della GKN, una vendita che non prevedeva alcun piano di ricollocazione degli operai o riutilizzo della fabbrica. Qual era la situazione della GKN, perché la proprietà voleva chiudere e quali erano le vostre richieste? 

Le avvisaglie che il fondo finanziario Melrose, che aveva acquistato GKN, stesse operando in maniera malsana era già abbastanza chiaro. Non siamo stati la prima fabbrica ad essere chiusa bensì la terza, in seguito ce ne sono state altre in diversi settori. Ma comunque il 9 luglio del 2021 è arrivato come un fulmine a ciel sereno.

Noi avevamo già ricevuto rassicurazioni dall’azienda, anche in sede istituzionale. Nessuno e nessuno aveva mai nominato la chiusura o gli esuberi forzosi, ma accordi su prepensionamenti. Addirittura c’era un accordo siglato in Regione, quello che in seguito ci ha aiutato a vincere la successiva causa in Tribunale, dove la proprietà sosteneva di essere orientata al rilancio dello stabilimento fiorentino.

Il 9 luglio ci era stato dato un giorno di ferie dalla multinazionale, che ovviamente operando nel settore auto, era soggetta a rallentamenti produttivi. Era un venerdì d’estate, non nego un po’ di felicità di avere un week end lungo per andare al mare con la famiglia o con gli amici.

Al contrario, ci siamo trovati davanti ad una delocalizzazione di fatto, con tanto di body guard e guardie armate che sorvegliavano lo stabilimento. Velocemente ci siamo ritrovati davanti al cancello, grazie ai gruppi whatsup del collettivo di fabbrica. Noi avevamo già la nostra organizzazione interna, preesistente all’anno scorso, un’organizzazione sindacale che ha origine negli anni ’70, con delegati di raccordo, il collettivo di fabbrica, molto radicata soprattutto nell’officina. Di fronte quei cancelli in meno di un quarto d’ora abbiamo deciso di rientrare, quella fabbrica era nostra, e non ne potevamo rimanere fuori. Ci siamo ripresi lo stabilimento e abbiamo bloccato la delocalizzazione di fatto.

Il 20 settembre c’è la sentenza del Tribunale che accoglie il ricorso sui licenziamenti, ma la Gkn Driveline Firenze conferma la volontà di chiudere l’impianto. Si aprono i tavoli di trattativa con le istituzioni e continua la lotta nelle strade. Subito dopo Natale viene siglato l’accordo per la cessione dell’intera proprietà tra il fondo Melrose e la QF spa del gruppo di Borgomeo. Eppure in seguito alla sigla dell’accordo quadro, la nuova proprietà non vi ha ancora presentato il progetto e i nuovi investitori, mandando di fatto a vuoto ben quattro incontri istituzionali: 31 marzo, 20 aprile, 27 aprile, 31 maggio. Ad oggi qual è la situazione effettiva dell’ex-GKN?

Tutto quello che è successo in questo anno ci spiega una cosa sola: le aziende possono fare quello che vogliono. Anche la sentenza del tribunale non vieta i licenziamenti, ma accerta un comportamento antisindacale nella procedura utilizzata. Con la corretta procedura si sarebbe potuto licenziare senza problemi. Abbiamo provato a presentare una legge contro le delocalizzazioni, ma il Parlamento non l’ha presa in considerazione. Il 19 gennaio abbiamo firmato l’accordo quadro con uno specifico cronoprogramma di azione con la nuova proprietà, questo è stato messo subito messo in discussione a marzo, quando invece di trovarci di fronte a proposte vincolanti, ci viene nominato solo un ipotetico gruppo industriale come possibile socio. Da lì iniziano le nostre preoccupazioni.

Vengono chiamati i tavoli istituzionali, ai quali la nuova proprietà non dà alcuna risposta alle nostre domande su investitori e progetto industriale. L’ex-GKN dovrebbe passare dal reparto automotive alla produzione di motore elettrici di ultima generazione, ma la non chiarezza di questo progetto, fa sì che dopo 4/5 incontri siamo sempre al punto di partenza. Conosciamo solo l’amministratore unico Francesco Borgomeno e nient’altro. Abbiamo un ulteriore scadenza a fine luglio quando dovrebbero essere firmati degli accordi e resi noti i vari gruppi industriali che compongono questo progetto.

In ogni caso, viene nuovamente violato l’accordo quadro che nel cronoprogramma per luglio/ agosto prevedeva una cessione di ramo d’azienda, cioè QF sarebbe dovuta essere ceduta a questo nuovo soggetto aziendale. Questa cessione è poi scomparsa, e le altre aziende del progetto sarebbero dovute entrate come socie in QF, oggi invece si parla una società consortile.

In ultimo, mercoledì l’azienda ci comunica che Stellantis ha fatto pervenire a QF una richiesta di ritiro materiale. Questo perché dal 9 luglio dell’anno scorso da questo fabbrica non mai è più uscito nulla. Evidentemente questa è una richiesta con dietro GKN, che negli altri stabilimenti europei continua a fornire semiassi a Stellantis. Questa lettera è indirizzata al questore, noi l’abbiamo vista in copia conoscenza mercoledì, così come le organizzazioni e il sindaco. Giovedì ci chiama la Digos per invitarci ad un incontro in Prefettura per il giorno seguente.

Una tempistica stupefacente, calcolando i tempi dei tavoli di trattativa. Ci è stato fatto notare che l’incontro era stringente, e che ci saremmo dovuti prsentare il giorno seguente. Ci è sembrata una provocazione prima del 9 luglio essere convocati in prefettura per una lettera sul ritiro dei materiali dalla fabbrica. L’incontro, dopo ore di discussione, è stato rinviato a lunedì in Prefettura, dove ci troveremo con la nuova proprietà a discutere di un tema che normalmente fa parte dei tavoli sindacali.

Noi facciamo uscire tutti i materiali necessari dalla fabbrica se sappiamo cosa e quando entrerà per la nuova produzione. Una reindustralizzazione non può essere gestita a suon di lettere in Prefettura, se ci sono dei tavoli istituzionali, il negoziato deve essere gestito lì e non di fronte la forza pubblica.

Centrale nella strategia di lotta del Collettivo di fabbrica è stata la parola “convergenza” con le altre lotte, non solo operaie, ma anche ambientaliste, studentesche, e contro la guerra. Che cosa ha significato per voi convergere con altre lotte? Quali le possibilità e difficoltà di questa strategia?

Lo scorso luglio noi eravamo un gruppo di lavoratori compatti, ma sostanzialmente un gruppo di lavoratori, oggi c’è quel gruppo, ma c’è anche un territorio, una comunità, che è pronta a difendere insieme a noi questo stabilimento e tutto il processo che abbiamo portato avanti in questo anno.

Nella nostro lavoro sindacale anche prima del 9 luglio, ci siamo trovati sempre di fronte a differenziazioni. In un’azienda grande come la GKN ci sono varie tipologie di lavoro: c’è il lavoro precario, le cooperative in subappalto, diversi settori di lavoro, la mensa, la logistica…  noi abbiamo sempre provato a ragionare, con successi e insuccessi, con questa logica: sotto lo stesso tetto bisogna sempre difendersi spalla a spalla. Anche se le regole ci impongono che siamo cose differenti, che i tavoli devono essere divisi, che le organizzazioni sindacali non dialogano tra loro.

Noi questo concetto che utilizzavamo dentro la fabbrica, il 9 luglio lo abbiamo portato fuori. Quando abbiamo aperto i cancelli della nostra azienda, non abbiamo mai detto lottiamo tutti per GKN, perché davanti a noi ci trovavamo tutte le difficoltà di questo paese. Chi era senza lavoro, chi lottava per il diritto all’abitare, i precari del centro commerciale di fronte allo stabilimento, gli stessi giornalisti che venivano ad intervistarci erano precari e a partita iva, il mondo dello spettacolo che abbiamo incrociato per le iniziative fatte davanti ai cancelli, con tutte le loro difficoltà lavorative, gli studenti che a luglio son venuti da noi, e che a settembre ottobre ci hanno chiamato nelle scuole occupate, creando un incontro intergenerazionale, alcune volte proprio tra padri e figli/e.

E poi abbiamo incrociato il movimento ambientalista, che già avevamo incontrato nelle lotte contro l’inceneritore e l’allargamento dell’aeroporto, in particolare i Fridays for Future, con cui abbiamo costruito le date del 25 e 26 marzo, il venerdì di sciopero dell’ambiente, e il sabato la manifestazione delle convergenze.

Questo è stato l’aspetto più curioso e innovativo della nostra mobilitazione, abbiamo sfruttato l’onda mediatica della nostra vertenza, per le modalità con cui sono avvenuti i licenziamenti, per dar voce a problemi più grandi della nostra singola fabbrica. I primi mesi ci siamo sgolati con i giornalisti per far capire che il problema non era la mail o il messaggio, ma che nel nostro paese manca una politica industriale, in particolare nel settore auto, ma non solo. In Italia non esiste più la FIAT, oggi è un gruppo francese che la detiene Stallantis, su questo, nelle difficoltà, abbiamo imparato molto dagli incontri con i lavoratori della Telecom e delle privatizzazioni degli anni ’90.

Ovviamente anche al nostro interno spesso si sollevava il problema della ragione per la quale dovremmo partecipare alla manifestazione per il clima o per la sanità pubblica, quando abbiamo la nostra vertenza da portare avanti. Abbiamo discusso molto per creare questo spazio di convergenza, perché – la dico con uno slogan –  “non esiste una fabbrica salva in una società che crolla”. Posso salvare GKN, ma poi ho comunque bisogno di curarmi i denti, mandare mio figlio a scuola, e non avere il mio territorio distrutto dalla siccità o dalle tempeste. Se il settore auto è in difficoltà è anche perché non c’è una chiara politica per la transizione ecologica e industriale.  

Noi siamo divisi in gruppi di lavoro, non tutto viene seguito dalle RSU, tanto viene fatto dal collettivo di fabbrica, c’è chi ha seguito l’ambiente, la scuola, la sanità. Essere un collettivo è anche questo, non c’è solo la rappresentanza sindacale, ma c’è anche un protagonismo da parte dei lavoratori, e tutto viene riportato all’assemblea generale che decide sulla linea di lotta.

Dentro questo processo c’è stata una discussione in particolare su un piano pubblico per la mobilità sostenibile elaborato con l’Università, presentato sia in Regione sia alla nuova proprietà, e che giovedì ci ha visto all’Università Santa Anna a presentare e discutere il progetto con professori, ricercatori e lavoratori, in un incontro in cui la teoria si è fatta pratica. Questa convergenza ci ha portato a scrivere un vero e proprio progetto, portato nei tavoli istituzionali con la nuova proprietà, la quale si è detta pronta a incontrare questo gruppo di docenti e ricercatori per discuterne. Sarebbe importante far marciare i due progetti insieme: il piano pubblico sulla mobilità sostenibile e il progetto di QF sulla reindustrializzazione, anche se ancora non lo conosciamo fino in fondo.

Cosa succede, oggi, 9 luglio nella sede della GKN a Campi Bisenzio e questa estate?

Oggi alla sede della fabbrica ci sarà una “festa”, ma per tutto quello che ho spiegato prima sulla vertenza non è una vera e propria festa. In un clima di festa, questa è una data di lotta in cui rincontreremo e riabbracceremo il territorio che si è stretto intorno a noi, gli chiederemo di avere ancora pazienza, e di starci ancora molto vicini, perché la situazione è complessa. Probabilmente lanceremo un presidio per monitorare questa richiesta di far uscire il materiale dalla fabbrica. Questa comunità di lotta ci deve accompagnare in questa trattiva che noi vorremo si svolgesse nei tavoli predisposti e non in Prefettura. Insomma chiarezza sul piano industriale, su quello che deve uscire, e su quello che deve entrare nella fabbrica.

In ogni caso, in concerto davanti ai cancelli della ex Gkn oggi ci saranno: Lo Stato Sociale, Ginevra di Marco, Arpioni, Carlos Dunga e Iena, Tenore Fi e Sakatena, Mauràs, Malasuerte Fi Sud, Alessandro Giobbi il Menestrello. A fine luglio, invece, saremo al Climate Social Camp a Torino organizzato dai Fridays for Future.

Nella vostra ultima dichiarazione congiunta verso l’autunno si legge “Il ciclo vizioso delle convocazioni aprioristiche e rituali dello sciopero generale deve cessare. Lo sciopero generale agitato in maniera scorretta rischia di bruciare l’autunno e l’idea stessa di sciopero”. Che cosa intendete con questo? Che cosa vi aspettate per l’autunno?

In questo paese, e non solo, ci sono enormi problemi dalla crisi climatica alla crisi economica, il caro bollette, la guerra, la pandemia… Non mancano le tematiche, non mancano le richieste, tutte legittime, quello che manca è cercare di creare il rapporto di forza per cambiare lo stato delle cose.

Il progetto che abbiamo portato avanti per anni dentro la fabbrica l’ho spiegato in precedenza, il collettivo di fabbrica è un punto di incontro tra i vari lavoratori, con varie sensibilità, e varie tessere sindacali, uno spazio di convergenza. La presa di posizione che abbiamo fatto insieme ai Cobas è più o meno questa: è inutile fare una corsa a lanciare la data sull’autunno, la data sull’autunno deve essere lanciata, ma deve essere figlia di un percorso di dialogo, di una discussione tra tutte le forze sociali, che costruiscono delle tappe di avvicinamento a uno sciopero generale e generalizzato. Forse è un po’ semplice come ragionamento, ma il rapporto di forza al momento non è dalla nostra parte, dobbiamo fare un bagno di umiltà, cercare di stare tutti insieme, non dividerci, e capire come costruire un percorso unitario, che pur mantenendo le diversità, ci porti a creare nuovi rapporti di forza nella società.

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