ITALIA

Gioco a nascondere

Nel tempo segnato dalla quarantena, l’interno domestico diventa il luogo in cui si mette in scena la sfera pubblica. In questo ribaltamento straniante, i confini tra il pubblico e il privato diventano sempre più indistinguibili

Quello che viviamo è un tempo che permette di scrivere interventi come questo: interventi a perdere come avrebbe detto Fortini, il cui stile deliberatamente avventato può far confondere cronaca per storia, fatti di circostanza per lavoro politico. Eppure…

Partiamo da due eventi accaduti. Fatti che non si limitano a riflettere la società, ma producono società. Fatti che funzionano come relais.

Il primo episodio è del maggio 2019. Un pò dovunque in giro per l’Italia, da balconi e finestre delle case comincia a rimbalzare, da una città all’altra, la protesta contro l’allora ministro dell’interno Salvini. Questa forma di dissenso, scegliendo l’affaccio della propria abitazione privata, già allora ci parlava in maniera matura della dissoluzione di un certo uso dello spazio pubblico. Già allora, la creatività di striscioni prima appesi e poi condivisi sui social media, fondavano un agire collettivo a debita distanza (e poco contano, oggi, le differenze di gusto, di orientamento e di intelligenza che ciascuno esprime musicalmente dalla finestra alle sei di sera: non muta gran che tra la patetica nostalgia di uno, il vibrante scetticismo di un secondo o lo snobismo sprezzante di un terzo vicino di casa).

Il secondo evento è il blitz elettorale “casa per casa” di fine gennaio 2020 quando Salvini, allora segretario del partito Lega che corre per le elezioni regionali di Reggio Emilia, citofona a un appartamento di Bologna. È il clou della campagna elettorale, si grida allo scandalo. Un anomalo gesto il suo, un gesto politico che svela come in Italia, aimè da tempo, la maggior parte delle indicazioni non vengono dalla parte che si ha scelto come propria, ma dagli avversari.

L’interno domestico diventa la perturbante messa in scena della sfera pubblica gettandoci in uno stato di spaesamento, dove a diventare estranea è la realtà sociale. In questa sorta di metamorfosi l’effetto di estraniamento si ottiene quando il nostro “habitat” più usuale e familiare conquista una natura pubblica, tale che la distinzione classica tra questo ambiente e l’agorà, tra la sfera privata e lo spazio pubblico sembra venire meno. In tale dissolvenza, dove sembra non esserci più alcuna distinzione o contrapposizione, una serie di sovrapposizioni alimentano un’ambiguità che si eleva a sistema e che lavora non tanto sull’omonimo, ma su ciò che non può più essere distinto.

Questi due fatti brevemente accennati non sembrano aver anticipato, o scongiurato, il senso dello spazio dove siamo oggi obbligati a rintanarci? Quale immagine di noi chiusi in casa può esser stata sviluppata nella camera oscura di questi due eventi menzionati della recente politica italiana? Una terza domanda permetterebbe poi di individuare ancora meglio la forma di quello che si potrebbe supporre, se è vero che servono tre punti per definire una circonferenza: un’archeologia, o genealogia della “distanza sociale” non dovrebbe prendere in considerazione anche questi fatti? A questi interrogativi non si dovrebbe, in realtà, rispondere, ma risponderne.

Nella latenza che posseggono i fenomeni sociali, in Italia la protesta così come la politica della rappresentanza era già affascinata dai nascondigli. Ricordarsi di questi fatti, oggi, è come giocare a una sorta di nascondino facendo irruzione in angoli poco illuminati, in rifugi separati dalle circostanze quotidiane, in corridoi improvvisati con una coperta. «E il gioco si prolunga, e il gioco non ha fine alla ricerca d’un punto ove lo spazio s’aggomitoli che sia soltanto noi, ma un grido spezza il cerchio… precipita lo spazio di nuovo invade», scriveva Lucio Piccolo mostrandoci quanto straordinario è ciò che è ordinario al di qua della linea d’ombra. «Ma il gioco è nulla in sè, soltanto ci rende vigili» nello spazio nascosto che riguarda e racchiude un mondo. Non è forse questo lo spazio di una certa politica, oggi? Una politica scandita dalla scoperta di cose a cui bisogna essere preparati con un sano accesso di aggressività, e di salti smisurati nell’assurdo. Della ripetizione contro l’evento, della rottura contro la ripetizione, o del quotidiano contro il tempo della sua crisi, se preferite.

Ci servirà una prosa dissanguata, kasher, per prefigurare quello che accadrà nei prossimi mesi nel mondo dei mostri, dei demoni e dei clown, della crudeltà e la poesia non funzionerà come cachet contro il nostro mal di testa storico. Coetera supervenient, il resto ci sarà dato in sovrappiù.