OPINIONI

Gesti di immaginazione radicale: un programma per la rivoluzione utile

Di fronte alle minacciose tendenze tecno-autoritarie che l’emergenza Covid-19 potrebbe dischiudere, è necessario mobilitare l’immaginazione per pensare un cambiamento radicale

Ora si cambia? Probabilmente sarà sempre peggio: la deriva tecno-autoritaria  

La gestione del corona virus rischia di trascinare tutti nel tecno-autoritarismo: ci aspetta una vita sociale in cui siamo controllati ad ogni nostra mossa. Attraverso il gps, le celle telefoniche, le telecamere negli spazi pubblici e nelle strade si potrà capire se rispettiamo davvero le regole del distanziamento sociale. Prima ci diranno che sono dati anonimizzati per capire i comportamenti di massa. Poi arriveranno alle sanzioni individuali e a sistemi integrati di graduatorie. Se siamo senza lavoro dovremmo stare a casa o andare al massimo a fare la spesa, se avremo un lavoro ci potremo spostare o prendere un aereo. 

Se avremo la febbre un sensore lo proverà per noi, e lo dirà direttamente a chi sta processando il quadro completo del nostro profilo. Dati biometrici individuali, dati sul nostro spostamento, dati sulla nostra situazione economica, dati sul nostro sonno e il nostro tempo libero, trasformeranno la società e il modo in cui viene gestita, e illuminerà le zone sociali da sostenere e  le zone da sacrificare. 

Questo è quello che ci aspetta dopo il Covid-19, questo è il modo in cui gli stati e i mercati stanno pensando di riorganizzare la crisi e il post crisi o l’infra crisi permanente. Questo è la cassetta degli attrezzi del biopolitico con cui il 900 è terminato. Ed ora chi ci governa si sta rivolgendo proprio a quegli strumenti. Negli ultimi dieci anni forse la Cina è stata la più audace testando un programma governativo di controllo sociale pervasivo e data driven dal nome Social Credit System, la Silicon Valley si è esercitata con Cambridge Analytica pilotando con piuttosto successo  due o tre elezioni… ma erano solo banchi di prova. La società deve essere amministrata attraverso i dati che possiamo raccogliere. I dati devono essere più accurati e precisi possibile. In questo modo possiamo diminuire i rischi. I rischi di chi? I rischi del mercato, della crescita e della produttività. Se ci sono troppi malati dobbiamo rallentare la catena di montaggio nelle fabbriche, e far partire un po’ meno aerei. Se ci sono pochi malati possiamo spingere per un attimo sull’acceleratore. Se ci sono troppe sommosse dei poveri dobbiamo aumentare un poco il welfare. Se nessuno si lamenta possiamo far crepare silenziosamente i vecchi negli ospizi, gente non più produttiva che pesa solo sulle pensioni.
Questa crisi non arriva dalle banche e dal sistema finanziario ma dall’economia reale. Per questo motivo la reazione non vedrà semplicemente il sistema finanziario vampirizzare il welfare statale, investimenti immobiliari e le condizioni di lavoro, ma quello che ci aspetta è qualcosa di ancor peggio: un controllo diretto selettivo  sulle popolazioni e sulle risorse. L’estrattivisimo finanziario non è più sufficiente: il capitale abbisogna di sterminio ragionato delle vite e controllo delle risorse.
Questa è probabilmente la vera novità dopo l’avvento del virus: il controllo biopolitico basato sull’analisi dei dati non sarà solo funzionale ad una agenda neoliberale, ma volto ad un programma malthusiano di sterminio selettivo e di controllo biotecnologico e militare delle vite e delle risorse naturali a livello globale. 

 

Photo by Markus Spiske from Pexels

 

Cose fuorimoda

Questo utilizzo scientifico dei dati per amministrare la società-fabbrica, sarà la risposta neoliberale e bi-partisan al COVID-19. E credo che contenga un principio di selezione del superfluo, di chi è considerato inutile e debole, di fatto più selettivo di chi è dichiaratamente fascista, nazionalista e desideroso dei pieni poteri. Sarà il trionfo demodè del progetto modernista che vuole la società come una ragionata macchina produttiva che estrae valore dalle vite e dalle risorse per accumulare profitti. 

Dico fuori moda perché l’immaginario cui si ispirano questa stanca classe politica è quella dei grandi film di fantascienza degli anni 80 e degli anni 90, fino ad arrivare alle prime serie di Blackmirror di dieci anni fa. Non credo di essere troppo pessimista se dico che questo è ciò che più probabilmente succederà. Mentre a noi interessa tutt’altro: non ci interessa il probabile ma il possibile. 

Perché il probabile è il risultato di un calcolo dove si ottimizzano i costi e i benefici senza mettere in discussione il paradigma esistente. Il punto non è solo minimizzare le perdite, ma è cambiare le regole del gioco. 

Noi siamo i figli e le figlie  eretiche di questa generazione. Per noi questa roba è fuori moda. Noi non vediamo con questi occhi. Noi ci rifiutiamo di essere ridotti a numeri che contano per un tasso di interesse, dobbiamo saper guardare oltre ai dati, ai profili, a quante stelline riceviamo, non siamo solo potere di calcolo. 

Se il futuro che ci attende è data driven, il punto non è solo comportarci bene e ubbidire in modo dinamico alle regole di distanziamento sociale, ma il punto è a quale modello politico queste regole sono in funzione? Se stiamo solo minimizzando le perdite di vite umane per garantire un minimo di profitto al modello economico che ci ha portato a questa crisi è giusto scioperare. 

Noi siamo già al di là di questo sogno tecno feticista di controllo sulla natura, sulla crescita e sulla produzione. 

 

L’immaginazione radicale 

Ci piacciono i profili, ci piacciono le curve, e le sappiamo anche leggere, ci piacciono i software, ci piacciono i sensori, e li sappiamo anche codare. Ci piace mettere la sveglia e fare pensare ad una macchina delle cose al posto nostro. Siamo quella generazione cresciuta con algoritmi e schermi, al posto delle bambole e delle macchinine…. Abbiamo giocato, amato, usato al contrario, buttato contro il muro intelligenze artificiali, cose di plastica, schermi touch e metal detector. 

Non siamo contro i computer e i dati, ma ci ribelliamo al sogno fin troppo umano e porno-patriarcale di ridurre tutto ad un joystick in mano a gente sempre più impotente. 

Ed ora che abbiamo capito cosa significa essere impotenti, apriamo la porta e sentiamo la brezza della paura di morire. Noi che non vogliamo morire e non vogliamo uccidere i nostri cari. 

A noi quello che importa ora è un cambiamento radicale. Un gesto di immaginazione radicale. 

Il problema fondamentale cui dobbiamo rispondere ora senza perdere tempo alcuno è rispondere alla domanda che cosa è utile? che cosa serve davvero ora? 

Se stiamo dentro la psicosi dell’emergenza non faremo altro che aumentare l’ansia e sbaglieremo sempre di più. Quello che sta succedendo è reale, non è un’invenzione. La gente sta davvero morendo di un virus che ha fatto il salto di specie e che abbiamo difficoltà a controllare. 

Il tema della costruzione del sé è legato ad accettare che l’altro non è qualcosa da controllare con isteria, ma da comprendere. Quando Donna Haraway dice che solo alcuni concetti possono pensarne altri, mi suggerisce il fatto che tutto è in una “relazione specifica”. Il nostro compito, ora più che mai, è stare in questa comprensione o respons-ability… Se lasciamo correre la macchina nella direzione in cui ha accelerato fino ad ora andremo sempre di più, nella tragedia, a sbattere contro un muro. 

 

Photo by Markus Spiske from Pexels

 

Il sogno di una cosa: alcuni punti per il grande salto

1/ UBI. La crisi economica in cui il mondo e l’Europa sta entrando non sarà uguale per tutti. In molti non saranno in grado di sostenersi attraverso il loro lavoro. Lavorator* precar*, autonom*, disoccupati* non avranno un reddito da lavoro sufficiente a sopravvivere. 

Il modello produttivo, il sostegno a banche ed imprese per rimettere in moto il lavoro e i salari non sarà sostenibile. E’ urgentissimo impostare le misure economiche per questa crisi in modo diverso. 

Questo è il momento per un reddito universale e incondizionato di base, che copra tutta la popolazione. Deve essere una misura non di emergenza ma un piano di lungo periodo. 

Le coperture finanziarie per le misure economiche anti-crisi non devono accrescere i debiti nazionali, ma L’Europa deve promuovere per la sua stessa sopravvivenza politiche fiscali ed economiche comuni di mutualizzazione del debito nella creazione di nuova liquidità. 

La stessa logica deve essere seguita nelle reti auto organizzate dal basso di spazi economici alternativi a livello locale e transnazionale. Dobbiamo sviluppare reti mutualistiche in cui non si creano crediti o debiti, ma si gestisce insieme portafogli comuni sostenendo l’accesso ai beni e il reddito di tutti. 

 

2/ LA CURA.  Questa pandemia ha reso evidente lo scandalo delle politiche neoliberali di taglio al welfare degli ultimi 30 anni. Questa pandemia ha mostrato con tutta la sua evidenza la centralità e l’importanza della riproduzione sociale. Tutto ora ruota attorno alla capacità della sanità pubblica, dei medici, ricercatrici, ricercatori e infermier*, di riuscire a far fronte alla saturazione delle camere di rianimazione. Ora tutti vedono che siamo nella mani di chi sta consegnando beni e alimenti nelle case. Sono per lo più lavoratori e lavoratrici  migranti, chi sta pulendo gli uffici e gli ospedali, chi sta prendendosi cura degli anziani, chi sta continuando a raccogliere i pomodori nelle campagne. Sono le donne che stanno subendo ancor di più in questi giorni le violenze domestiche, detenute nei loro appartenenti. Sono le persone che si stanno prendendo cura dell’educazione dei bambini e delle bambine ora che le scuole sono chiuse. Questo è il blocco sociale da sempre invisibilizzato, denigrato e considerato marginale agli occhi delle politiche economiche e degli investimenti. Inutili! Sono loro che ci stanno salvando il culo, proprio ora che il capitalismo è sotto shock e non sa che pesci prendere, sono proprio queste persone che, come sempre, ripeto come sempre, stanno facendo il possibile per risolvere le crisi. 

E’ da questo welfare autorganizzato dal basso, dai gruppi di attivisti che stanno portando farmaci e cibo alle persone che non possono muoversi dalla loro abitazione, da questa nuova logistica del fare comune, del prendersi cura, del fare ciò che è utile, è da qui che dobbiamo ripartire.

E’ da una politica che mette in primo piano gli investimenti pubblici nella sanità, in centri antiviolenza, nell’educazione, diritto alla casa e ai servizi sociali che dobbiamo pretendere che si riparta. 

Dobbiamo pretendere subito una regolarizzazione di tutti gli immigrati sul suolo europeo. 

E se avranno il coraggio di tornare a invisibilizzare la cura, criminalizzarla, o darla in pasto alle privatizzazioni dovremmo scioperare, perché mai come ora se questo blocco sociale si ferma si ferma il mondo.


3/ IL COSMO. E’ inutile lottare come dei super eroi per la natura, per le foreste e contro i cambiamenti climatici. Siamo ad un bivio politico molto importante. La posta in gioco è considerare l’ambiente come un ecosistema e come un common. Il processo di costruzione di uno spazio comune non vede l’uomo eroe o colpevole da una parte, e il clima, la biodiversità, la plastica e i robot dall’altra. Dobbiamo uscire da questo paradigma del moderno, da questo sistema di controllo, profitto, eroi, colpe e debiti. Anche in uno scenario calvinista di autoflagellazione e sensi di colpa continuiamo a considerare l’uomo vitruviano al centro dell’universo. Un’ottica ecosistemica è l’inizio di una nuova cosmogonia. Dove l’uomo non è al centro dell’universo: lotta con la foresta, non nella foresta. L’uomo non è un corpo estraneo e privilegiato. L’uomo lotta con la biodiversità, con l’aria e con l’acqua. Noi siamo un elemento fra gli altri e dobbiamo costruire relazioni equilibrate. Dobbiamo comprendere il sistema complesso in cui siamo e lottare di conseguenza. L’industria agroalimentare, farmacologica, la logistica e i trasporti, l’esaurimento delle sacche di rifugio delle risorse e dell’approvvigionamento energetico sono il problema all’origine di questa pandemia. Occorre capire e comprendere questo nesso relazionale. Questo è il linguaggio del virus e di queste ondate pandemiche a spillover. La reazione politica globale è legata alla nostra capacità di metabolizzare questa relazione. L’uomo non può fare la rivoluzione da solo, non ha più senso fare la rivoluzione se non la si fa con il pianeta, assieme all’aria, all’acqua, al cielo, alle foreste e ai giacimenti di litio. 

 

4/ DIGITAL PLATFORMS. Inventare nuove piattaforme digitali che tolgano il monopolio alle grandi piattaforme del capitale. Dopo la crisi del 2008 le grandi piattaforme digitali hanno assunto il compito di monitorare e determinare il comportamento sociale. Il futuro pandemico aumenterà il ruolo delle piattaforme digitali nel determinare il nostro comportamento sociale. L’unica alternativa a questa concentrazione di potere è  aumentare il controllo democratico delle piattaforme sociali, rimettendole sotto più punti di i vista nella mani degli stati democratici. Allo stesso tempo dobbiamo sviluppare modelli cooperativi di piattaforme digitali. Dalla archiviazione dei saperi, alla logistica, alla distribuzione, ai servizi di welfare, alle catene alimentari ed energetiche, dobbiamo sviluppare piattaforme cooperative auto organizzate che decentralizzano la governance e federalizzano le alleanze riproduttive e produttive. 

Dobbiamo promuovere questo doppio movimento: rafforzare il ruolo degli stati democratici nello sviluppo e controllo delle infrastrutture digitali come servizio di welfare e non business oriented, e contemporaneamente sviluppare piattaforme cooperative e indipendenti dal basso. Una sola di queste due direzioni si può rilevare debole o autoritaria, per questo dobbiamo promuovere una loro proliferazione sinergica e coesistente. 

 

5/ I CORPI. stiamo perdendo il nostro corpo e la relazione fra i corpi così come la abbiamo fino ad ora conosciuta. Rivendicare un corpo significa sottrarsi alla digitalizzazione totale delle nostre interconnessioni. La velocità della fibra ottica, la velocità di trasmissione e produzione di informazione  non è paragonabile alla velocità di trasmissione del nostro sistema nervoso. Se saturiamo la nostra percezione alla velocità della fibra ottica ci dissolveremo. Il nostro corpo non può che soffrire, urlare, impazzire, paralizzarsi e dissolversi se verrà immobilizzato e connesso la maggior parte del tempo ad un router wifi. 

Per disautomatizzare questo processo di digitalizzazione delle nostre relazione e distruzione del nostro corpo, dobbiamo costruire nuove ritualità. Nuovi circuiti di fabbricazione delle relazioni. 

La creazione di questo corpo è un lavorio ecosistemico: dobbiamo costruire sistemi complessi  bilanciati che siano rifugio per tutte quelle scarsità e risorse in esaurimento. Affettività, elementi, sessualità, cibo, concetti, economie, intelligenze artificiali…  si devono tessere fra di loro per costruire un corpo sociale nuovo, mostruoso, e bilanciato. 

 

6/ LA CULTURA. Nella digitalizzazione della vita sociale quello che più viene meno è la produzione culturale. In una società reclusa e digitalizzata, in una società disciplinare automatizzata quello che più verrà meno è il saper pensare.  Musei, scuole, università, concerti, cinema, spazi d’arte, centri di ricerca, biblioteche non hanno fisicamente più ragione di esistere così come li abbiamo fino ad ora costruiti, pensati e frequentati. 

La cultura deve reclamare un diritto di intermittenza: poter essere il luogo per prendere distanza, l’epoché in un mondo infetto, lo spazio conviviale per poter  dormire, riposare e sognare. La cultura è il luogo della costruzione dell’alterità. Il diritto di dormire e sognare significa staccare la spina ad alcune delle forme che fino ad ora hanno drogato e saturato la forma della produzione artistica. Il virus renderà forse impossibili le biennali, le settimane della moda, tutti i grandi eventi che negli ultimi decenni hanno caratterizzato il ciclo di valorizzazione della creatività trasformandolo in un grande indotto dell’industria del turismo e del mercato immobiliare. Ecco: non possiamo che brindare alla loro possibile obsolescenza. Questo è il momento in cui riempire questo vuoto con un’idea di produzione artistica basata sulla cura, sul lungo periodo, sull’integrazione con le filiere territoriali e decentralizzate. Su un’idea sinergica delle varie discipline artistiche  non più spettacolarizzate ma motore simbolico e campo di ricerca per sognare il mondo che verrà.

 

Sul sito Institute of Radical Imagination è stata pubblicata una versione inglese dell’articolo

Immagine di copertina di Negative Space da Pexels