MONDO

Gerusalemme condivisa

Quella di Trump è una mossa azzardata

Essere una città sacra, come essere un lavoratore produttivo, è una disgrazia. Purtroppo Gerusalemme lo è per ben tre religioni, ospitando i resti del Tempio con Arca dell’Alleanza (scomparsa) annessa, il Santo Sepolcro e l’impronta di Maometto in visita al paradiso sotto la Cupola della Roccia. Mai le favole hanno portato tanti guai e incassi cinematografici.

Fatto sta che nei secoli è diventata il pretesto per guerre ferocissime, manovre geopolitiche e speculazioni filosofiche. Per giusta nemesi storica questo nodo simbolico è finito nelle manacce di Trump, che scuotendo il suo ciuffo arancione promette finalmente di dare esecuzione a una legge di Clinton per cui Gerusalemme, in spregio agli accordi di Oslo del 1993, fu proclamata nel 1995 capitale eterna di Israele e quindi bisogna spostarvi l’ambasciata Usa, al momento ospitata (come tutte le altre) nella più gaia Tel Aviv. Un annuncio che ieri notte è diventato una decisione a tutti gli effetti.

Probabilmente Trump ha compiuto questa mossa azzardata per salvare sé e lo sventato genero ultraortodosso Kushner dal pressing giudiziario interno che sta scoperchiando gli intrighi russi nella sua ascesa alla presidenza. Un favore anche al vacillante e altrettanto indagato Netanyahu, accolto con scarso entusiasmo da esercito e servizi israeliani, che non desiderano particolarmente una nuova intifada in questo momento.

In complesso sembra una campagna di distrazione di massa innestata sopra la strategia saudita di costruire un blocco sunnita, con la neutralità interessata di Israele, per bloccare la rampante egemonia sciita a guida iraniana.

In quella strategia i curdi avrebbero dovuto costituire un cuneo fra Iran e Turchia e un argine alla ripresa di controllo territoriale in Siria da parte della coalizione Assad-russi. I palestinesi avrebbero dovuto essere compensati economicamente (da Israele e Arabia Saudita) e inseriti nello schieramento sunnita. Una strategia da “immobiliarista” qual è Kushner, ma che fa acqua da tutti i lati e che per di più Trump gestisce in modo ondivago e controproducente, impegnandosi inoltre nello stesso tempo su due scacchieri, mediorientale e coreano, senza nessuna decisione effettiva ma solo tweet e provocazioni.

Infatti il primo risultato del proclama trumpiano è di mettere in difficoltà l’offensiva anti-iraniana dell’ambizioso principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, protettore dei luoghi santi (Gerusalemme inclusa), che diverrebbe molto impopolare scaricando quel simbolo e non riuscirebbe più a corrompere e controllare l’autorità palestinese. Peggio ancora, l’imbarazzo saudita rilancia nel campo sunnita proprio il ruolo del neo-sultano turco Erdoğan (già riavvicinatosi a Iran e Russia), che si presenta come nuovo garante dell’Islam ed estende la sua ala protettiva dai Fratelli musulmani di Hamas (cui era affine) ad al-Fatah. A completare il disastro, anche l’Egitto, feroce repressore dei Fratelli Musulmani e in cattivi rapporti con iraniani, turchi e palestinesi di Gaza, è costretto a riallinearsi, ponendosi all’ombra del Sommo Protettore di sunniti, sciiti e cristiani d’Oriente; lo zar Putin.

Nel frattempo, l’Iraq è passato sotto il pieno controllo iraniano, lo sganciamento del premier libanese (sunnita) Hariri dagli Hezbollah è miseramente fallito, la moderatissima monarchia giordana è inviperita e l’Afghanistan vedremo dove va a parare. Un autentico capolavoro. E non stiamo a pensare cosa ne sarà dei curdi, corteggiati da Israele, sedotti e abbandonati dagli Usa (vedi l’infelice gestione del referendum autonomista da parte di Barzani) e praticamente gettati in pasto ai loro nemici geopolitici.

Si aggrava in tal modo anche la spaccatura con l’Europa.

In primo luogo con Germania e Francia, che hanno corposi interessi regionali (Macron anche velleità egemoniche), perfino con la fedelissima UK – l’Italia, al solito, se ne sta defilata, paga della bella trovata del giro ciclistico con prima tappa a Gerusalemme. Vaticano furente, a buon diritto. La Cina studia la situazione per ficcarcisi dentro.

Quello che si delinea è una situazione caotica: infatti il nuovo asse russo-sciita (dove però pesa assai la componente turca, sunnita e politicamente eterogenea, nonché pilastro della Nato) si rafforza oggettivamente per il passo falso di Trump e lo screditamento del suo braccio destro saudita, ma non è detto che possa allargarsi in positivo agli altri paesi sunniti indignati: Palestina ed Egitto. Del pari antagonistici restano i rapporti fra Turchia ed Egitto e, al momento, non sembra incrinato il fronte fra sauditi e al-Sisi nello Yemen e contro il Qatar, mentre una ricaduta positiva sta nel riavvicinamento fra al-Fatah e Hamas. Certo è soltanto che il gioco si svolge senza una preponderante partecipazione americana e quindi la stessa Israele deve parteciparvi solo in quanto potenza atomica regionale.

Se una terza guerra mondiale dovesse scoppiare è assai più probabile che inizi qui piuttosto che nella penisola coreana. Magra consolazione.

Si apre ora una nuova fase dello scontro in Palestina, che richiede intelligenza strategica ai protagonisti e pure dignità responsabile ai loro sostenitori, compresa la sinistra italiana filo-palestinese. Yerushalayim, Gerusalemme, al-Quds non può essere “liberata” o “conquistata” come nel poema del Tasso, ma condivisa, quale che sia la soluzione di compromesso che sarà adottata al termine della lotta (se, quando). Non è un simbolo appropriabile, ma un insieme di persone, di classi, di monumenti, di tracce superstiziose significanti. Essa dovrebbe essere neutralizzata sia nell’ambito della già indistricabile questione palestinese (come far convivere coloni, autoctoni e profughi?), sia nel quadro molto più vasto del conflitto che dilania il MO, intrecciando vecchie divisioni settarie intra-islamiche aggravate dall’integralismo e nuovi schieramenti imperiali che ricalcano il Grande Gioco ottocentesco (zar, sultano, scià – con in meno l’Inghilterra e in più Israele).

L’unico lato buono dell’avventurismo di Trump è che ha inceppato, per eccedenza, la macchina satanica degli atei devoti (evangelici-ebrei ortodossi-wahabiti), suscitando una diffusa insofferenza per motivi divergenti. In via di principio dovrebbe sgonfiare il bubbone dell’Isis restituendo protagonismo alle potenze di area (con grande vantaggio della Russia e più labilmente della Cina). Non è detto che questo favorisca la pace e ancor meno soluzioni democratiche nei territori palestinesi e curdi. Ma è l’esito inevitabile di decenni di rovinose strategie americane, impostate dalla nefasta coppia Clinton (il modello degli Underwood) ed estremizzate da Trump e la sua banda, e di cui rischiano di essere vittime non solo la Siria, la Palestina e il mosaico curdo, ma la stessa Israele – ormai affidata solo al temporaneo monopolio atomico.

Sarà un banco di prova per l’Europa, che non può seguire le matterie di Trump e l’arroganza della destra israeliana (anche per non ritrovarsi un paio di milioni di profughi a breve scadenza).

Lo sarà in piccolo per l’Italia, che potrebbe cominciare a nutrire timori per l’integrità dei suoi ciclisti in un teatro bellico virtuale. Lo sarà, ancora più in piccolo, per una riflessione della sinistra italiana che voglia sul serio applicare alla Palestina il paradigma del Rojava, una volta che il dispositivo bi-statale si è rivelato impraticabile, se non altro per l’embricazione fra coloni e popolazione originaria nella West Bank.