MONDO

Feel the Bern!

Attraversando il Nevada sulle tracce di Bernie Sanders, socialista americano. Il racconto vissuto di una campagna elettorale per le primarie statunitensi più pazze di sempre.

In California per un periodo di studio e ricerca, approfitto della mia presenza sul posto per seguire da vicino le primarie democratiche. In queste pagine c’è il racconto della mia esperienza al seguito dei volontari per Sanders in Nevada. Non si tratta di un pezzo di analisi politica, anche se ne raccomando qualcuno tra i tantissimi che sono stati e saranno scritti (1). Qui il lettore troverà alcune osservazioni aneddotiche e impressioni personali su un fine settimana trascorso bussando alle porte di un centinaio di case a Reno e dintorni, Nevada, 2016.

Il contesto, a grandi linee

Le primarie americane sono cominciate. I candidati si sono posizionati, aspettano il momento propizio per calare i loro assi e intanto mobilitano le risorse a disposizione: fiumi di denaro (chi più, chi meno e di varia provenienza), con cui lubrificare gli ingranaggi del sistema mediatico, ma anche molti volontari, da inviare sul campo cercando di stanare i potenziali sostenitori.

Come non accadeva dal 2008, entrambi i partiti sono chiamati a scegliere il proprio candidato e offrono uno spettacolo avvincente e capovolgimenti di fronte.

Il partito repubblicano, che fino a pochi mesi fa era immobile, diviso e senza candidati o idee particolari, è stato rianimato dalla candidatura di Donald Trump, immobiliarista ereditiero, produttore e protagonista dei reality e miliardario demagogo. Trump al momento è dato in testa in tutti i sondaggi, mentre gli altri candidati (ben 11, tra cui l’ex-favorito Jeb Bush) sono in difficoltà, spiazzati dai toni violenti e dall’apparente successo riscosso da Trump.

Il partito democratico vive una situazione apparentemente più ordinata ma potenzialmente esplosiva. Pochi mesi fa Hillary Clinton aveva di fronte a sé un percorso senza ostacoli verso la nomination. Esperienza (prevedibilità), realismo (opportunismo) i punti di forza che le venivano riconosciuti. La candidatura in rimonta del «socialista democratico» Bernie Sanders ha messo in crisi la strategia di Clinton, e oggi l’immagine di «Hillary» è più sbiadita, e l’esperienza e il realismo di Clinton si confondono sempre di più con la prevedibilità e l’opportunismo. Partita nel silenzio generale, la campagna di Sanders è stata premiata da alcune scelte radicali di metodo e contenuti: la critica al finanziamento delle campagne elettorali da parte di miliardari e grandi imprese, l’attenzione costante al tema della giustizia sociale, delle disuguaglianze, delle discriminazioni razziali e della giustizia penale, del rapporto tra politica e big business. La caparbietà, quasi ostinazione, con cui Sanders ha insistito su questi temi trascurati anche dai democratici, alla fine lo hanno premiato, e Clinton vede il suo primato sempre più insidiato, mentre Sanders rimonta nei sondaggi, mobilita sempre più volontari (più di Barack Obama nella stessa fase), conquista i giovani democrats ed erode il consenso a Clinton tra le donne e gli afro-americani. La base del partito si polarizza sempre di più, i due candidati radicalizzano le proprie posizioni, e quella che era una corsa per la nomination si sta trasformando in uno scontro interno al partito che potrebbe ridisegnarne il volto negli anni a venire.

Da Santa Cruz a Reno

Pochi giorni prima del voto Sanders quasi riaggancia Clinton in Iowa (52 delegati, si vota il 1 febbraio) ed è in leggero vantaggio in New Hampshire (32 delegati, 9 febbraio). Il 20 febbraio si vota in Nevada, il caucus mette in palio 43 delegati, non tantissimi, ma una vittoria qui avrebbe un effetto a catena sulle votazioni begli altri stati.

Mi dirigo a Reno, seconda area metropolitana del Nevada e che i locali hanno sentito il bisogno di ribattezzare «la più grande piccola città nel mondo».

Ci arrivo dopo un viaggio in auto di circa 4 ore, partendo da Santa Cruz, capitale del surf e città universitaria nella baia di Monterey, poche miglia a sud di San Francisco. Parto insieme a Susanna, Courtney e Shawn, tre giovani sostenitori di Sanders, tutti e tre ebrei, come il loro candidato, decisi a dare una mano ai volontari del Nevada. Le primarie in California sono lontane, il 7 maggio, e i tre ragazzi non sembrano aver voglia di starsene con le mani in mano. Shawn in particolare è quello più deciso: 28 anni, laureato a Berkeley in environmental studies, da mesi impegnato a tempo pieno nella campagna per Sanders. Insieme a lui Susanna e Courtney, 21 anni entrambe, entrambe da Los Angeles, amiche dall’adolescenza, studiano al campus di Santa Cruz, environmental studies e psicologia. Tutti sono alla prima esperienza politica, e tutti e tre sono molto entusiasti. Shawn indossa una felpa natalizia pro-Bernie e ha portato con sé un assortimento di magliette firmate «Bernie for president», «Bernie 2016», «Feel the Bern» [gioco di parole con feel the burn, «senti il bruciore», che garantisce la riuscita di un esercizio fisico].

Lasciamo Santa Cruz subito dopo il tramonto, seguendo il percorso tortuoso dell’autostrada che si arrampica sulle alture alle spalle di Santa Cruz, poi si lascia alle spalle San Jose, costeggia da lontano la baia di San Francisco e scende dolcemente verso la Central Valley, attraversando una delle zone più fertili del pianeta, il cuore dell’agrobusiness californiano. Davis, sede di un altro campus dell’University of California, specializzata in enologia, Sacramento ultima vastissima conurbazione nella strada verso nord-est, prima di addentrarsi nelle montagne boscose della Sierra Nevada. In cima ci attendono il Lake Tahoe con le sue stazioni sciistiche, ma prima attraversiamo i boschi dove ebbe luogo uno degli episodi più macabri della colonizzazione del West: il Donner party. Fu qui che una colonna di pionieri rimase intrappolata per mesi dalle nevicate autunnali della Sierra Nevada. Molti perirono per il freddo e gli stenti, e quando le scorte di cibo andarono esaurite, i sopravvissuti si fecero coraggio e accettarono l’inevitabile: si nutrirono dei corpi dei loro compagni e parenti morti. Gli ingredienti di questa storia sono una combinazione fatale di avidità, improvvisazione, speranza e ingenuità. Il gruppo doveva percorrere la pista più battuta, che passava più a sud, dove le cime sono meno impervie e le stazioni di sosta più numerose. Invece i pionieri ebbero la disgrazia di incontrare Mr. Donner, un gran cialtrone, il quale li convinse a intraprendere un altro cammino, attraverso il deserto del Grande Lago Salato, e poi, continuando verso ovest, valicando la Sierra Nevada nel punto più alto, circa 3.500 metri. Mr. Donner millantò una conoscenza del territorio che in realtà non aveva, infatti non aveva mai messo piede in quelle lande desolate. Evidentemente la sua arte dissimulatoria o la credulità dei pionieri furono sufficienti per spingere tutti su quei sentieri maledetti. Le possibilità di farcela stavano tutte nel tempo, cioè raggiungere la Sierra Nevada prima dell’inverno, ma un po’ di sfortuna trasformò l’epopea in tragedia: il gruppo venne sorpreso da un’improvvisa nevicata autunnale proprio nel tratto più impegnativo. E accadde l’irreparabile.

Abbandoniamo in fretta queste cime boscose e siamo finalmente in Nevada.

Stato minerario – «the Silver State» – una popolazione dispersa su un territorio vastissimo, prevalentemente desertico e poco propizio all’agricoltura, e dove le disuguaglianze si misurano nel paesaggio: insediamenti improvvisati per le classi popolari, sobborghi ordinati per le classi agiate.

Reno è una città fondata sull’estrazione dell’argento e sul gioco d’azzardo e non è un’informazione difficile da ottenere facendo un giro per la città.

Porta a porta con lo smartphone. Due giorni di canvassing e qualche riflessione

La mattina di sabato i ragazzi si muovono verso il comitato locale per Bernie Sanders, uno spazio affittato appositamente per la campagna. Al suo interno si svolgono le riunioni dei sostenitori e si prepara il materiale elettorale.

L’obiettivo è di contattare il maggior numero possibile di potenziali sostenitori e convincerli a recarsi ai caucus, il 20 febbraio. Per farlo si utilizzano diversi mezzi, vecchi e nuovi. La campagna di Sanders sembra fare un uso sapiente ed efficace dei social network, e in questo ricorda molto la prima campagna di Obama, nel 2008. Inoltre, come e più di Obama, Sanders è in rado di mobilitare più volontari rispetto a tutti gli altri candidati.

Ma a parte i social network, i volontari hanno bisogno di convincere i potenziali simpatizzanti a recarsi materialmente alle assemblee locali democratiche. Per farlo si ricorre a due metodi: telefono e porta a porta, in gergo canvassing. Le autorità mettono a disposizione dei candidati gli elenchi elettorali. Da questi elenchi vengono selezionati coloro che potenzialmente potrebbero sostenere un candidati, in questo caso Sanders: “non partigiani”, democratici, verdi, libertari e altro. Praticamente tutti i non repubblicani. Su questi elenchi sono riportati, l’indirizzo, il numero di telefono, i dati anagrafici e la collocazione politica dei vari iscritti alle liste. A quel punto o li si chiama o si va a bussare alla porta di casa. I sostenitori di Sanders prendono sul serio entrambe le ipotesi, e quando gli chiedo se telefonare ha un senso, loro mi rispondo che funziona. Sull’efficacia delle telefonate devo fidarmi, ma sul canvassing ho l’opportunità di farmi un’idea osservandoli sul campo.

Arriviamo alla sede del comitato, dentro ci sono una decina di ragazzi, tutti tra i diciannove e i trent’anni. Il responsabile Mike, è un ragazzo di Reno dai modi un po’ arroganti a quanto pare il suo lavoro consiste nel dire agli altri cosa fare e nel tenere i contatti con il resto dell’organizzazione. Un altro organizzatore, Lucas, è un ragazzo ispanico e mormone, senza molto entusiasmo ma competente. Altri ragazzi lavorano al computer, redigono lettere, telefonano agli elettori e riportano i dati su

L’area metropolitana di Reno è molto vasta e Lucas mi spiega come hanno organizzato il canvassing. Il territorio viene diviso in zone. Ogni zona è assegnata ad un gruppo. Sebbene sia il mezzo più tradizionale, anche il canvassing è stato rinnovato dall’adozione di internet, GPS e smartphone. Pochi anni fa si distribuivano delle liste stampate e delle mappe che segnalavano le porte a cui bussare. Oggi queste informazioni sono tutte incorporate in un’applicazione per smartphone. L’applicazione centralizza e redistribuisce le informazioni in tempo reale. Ogni volontario consulta la lista sullo schermo del proprio smartphone, si dirige verso la porta indicata e bussa. Dopodiché inserisce una serie di dati nel sistema: se la persona ha accettato o rifiutato il contatto, se appoggia Sanders o un altro candidato, se ha intenzione di partecipare al caucus e se è registrata, se è disposta a contribuire alla campagna.

Lucas si raccomanda: «Si tratta di un’attività di ricognizione più che di propaganda: lo scopo è quello di capire chi andrà al caucus e convincere i dubbiosi. Ma non bisogna perdere troppo tempo. Se la persona è decisa a votare Hillary, non perdiamo tempo a discutere, è controproducente. Salutiamo e andiamo alla porta successiva».

Tra il momento in cui si bussa e quello in cui si va via può succedere di tutto, e un attivista che fa canvassing accetta di mettere a rischio la propria incolumità, e di avere a che fare con persone non proprio gradevoli.

Il primo giorno al gruppo di Shawn, Susanna e Courtney viene assegnata la zona di Sun Valley, un sobborgo ad est di Reno. È una zona povera e abbastanza decadente, le strade secondarie non sono asfaltate, ma fortunatamente la giornata è soleggiata e il terreno è asciutto. Nella zona risiede una popolazione etnicamente mista, prevalentemente anglosassoni e ispanici. Per le strade non circola nessun pedone o ciclista, tutti si spostano su grandi fuoristrada, ai bambini è proibito giocare fuori dallo steccato di casa. I cortili delle case potrebbero aver vissuto tempi migliori. Intorno al centro abitato una grande strada asfaltata conduce a Reno e poi più a sud verso il deserto. Al di là della strada, il territorio è selvaggio e brullo, con aspri rilievi e ammassi di rocce, troppo arido per poter ospitare ogni coltivazione.

Prima di partire Mike avverte i ragazzi: «Qui in Nevada siamo democratici che vanno pazzi per le armi». Non aveva detto che vanno pazzi anche per i cani. Ogni casa ne ha almeno una coppia. Finché sono fuori, sono legati. Il problema è quando le persone aprono la porta di casa: a quel punto la bestia può anche essere abbastanza zelante da saltare addosso prima che il malcapitato questuante possa dire «Berniesanders». Altre case hanno un adesivo messo in evidenza sulle finestre per informare i visitatori che la casa è protetta da Smith and Wesson, e non sono due simpatici individui, ma il nome della famosa industria d’armi fondata in Connecticut nel 1852. Un’altra casa ha un cartello sulla porta: «Pregare è un modo veloce di vedere Dio. Bussare qui per fini commerciali (Soliciting) qui è un modo più veloce». I ragazzi non si fanno intimidire, bussano, la porta si apre e l’ingresso della casa si manifesta con una serie di pistole appese alle pareti.

Del resto il buon Johnny Cash non parlava mai a caso:

When I was just a baby my mama told me. Son, Always be a good boy, don’t ever play with guns. But I shot a man in Reno just to watch him die. When I hear that whistle blowing, I hang my head and cry…

In un’altra casa ci consigliano di essere prudenti, perché alcuni abitanti sono armati e non particolarmente amichevoli. Al contrario alcune persone si fermano a parlare a lungo. È il caso di una donna sui cinquant’anni inoltrati, 7 figli e 19 nipoti. Abita in un appartamento in un complesso residenziale costruito in mezzo alle colline desertiche nella periferia di Reno. Voterà per Sanders, non ama Hillary, ma ha apprezzato le politiche di Obama, «anche se» – dice – «poteva fare di più». È molto preoccupata per l’educazione, «la qualità è molto bassa, qui in Nevada, la peggiore della nazione, e io sono molto preoccupata per i nipoti. Vorrebbero andare a studiare fuori, ma il problema è che le buone università in California costano troppo, anche quelle del governo». I volontari allora le spiegano la posizione di Sanders sull’educazione, cioè di render l’istruzione universitaria pubblica gratuita per tutti. Dopodiché la discussione scivola dai bisogni materiali alla politica internazionale e alla sicurezza. Questa donna di mezza età, che vive in uno dei posti più isolati degli Stati Uniti, teme la minaccia «del terrorismo islamico», è inquieta e ci tiene a parlare con qualcuno. Alla fine sono i ragazzi che devono dare un taglio alla conversazione. Di solito i volontari adattano l’offerta politica a seconda dell’interlocutore e di quelle che presumono siano le sue priorità: è quello che tendono a fare con i residenti di origine messicana. Con loro si insiste molto sulla questione dell’immigrazione, sulla volontà di Sanders di riformare il sistema dei permessi, di garantire l’accesso alla sanità e di favorire il ricongiungimento familiare, e più in generale ribaltare il discorso pubblico sull’immigrazione. Su questi temi l’elettorato ispanico, molto numeroso in Nevada, California e Sud-Ovest, è molto sensibile. Molte delle persone interpellate nel porta a porta ospitano cittadini messicani, molti dei quali non parlano inglese, lavorano nelle pulizie e nei servizi all’industria. La popolazione ispanica (qui la definizione, secondo l’US Census Bureau) negli Stati Uniti supera i 50 milioni, anche se è cresciuta a un ritmo inferiore negli ultimi anni, e probabilmente si stabilizzerà nel prossimo decennio. Il bilinguismo è una realtà in alcuni stati, molte emittenti adottano lo spagnolo accanto all’inglese, e personaggi televisivi come Jorge Ramos rivendicano maggior protagonismo per gli ispanici nella vita politica e culturale del paese. Anche per questo il materiale elettorale distribuito ai volontari è redatto in inglese e spagnolo.

Alla fine della giornata si riportano gli scalpi alla sede del comitato elettorale, cioè la lista delle persone che hanno aderito e che sosterranno Sanders. Il bilancio è di 15 adesioni, che per gli organizzatori è un ottimo risultato. Trascorriamo un po’ di tempo al comitato, diamo tregua ai crampi allo stomaco con della zuppa di chili, piccantissima e untuosissima. Il cibo lo portano i simpatizzanti ogni mattina, oppure si ordina, un’occasione per evangelizzare anche i ragazzi delle consegne. La sede è più popolata e vivace questa sera, ci sono degli studenti appena arrivati da Las Vegas, giovani tecnici e professionisti da San José e Silicon Valley, e qualche adulto in più, anche se la maggior parte delle attività è gestita dai giovani. Anche i ragazzi più attivi non sembrano avere una particolare esperienza di militanza alle spalle, non esiste un lessico condiviso, una comunità militante e un repertorio consolidato dell’azione collettiva. Molto è lasciato all’improvvisazione e alcune pratiche sono mutuate da altri campi, soprattutto quello professionale. Susanna, per esempio, si trova molto a suo agio nel porta a porta, avendo già fatto qualcosa del genere per lavoro. Molto è stato detto e si potrebbe dire sulla socializzazione degli americani alla politica.

La sera andiamo in esplorazione per i bar di Reno, alcuni anche molto belli, anche se c’è questa fissa di mettere lo zenzero in ogni tipo di cocktail, una sorta di revival del gingerino.

Quasi nessuno fuma, impossibile scroccare o comprare sigarette, sono tutti senza. Unica salvezza i portieri dei bar, che arrotondano vendendole sfuse a un dollaro. Passeggiando troviamo il comitato locale per Clinton. Non è molto diverso da quello di Sanders, se non per un piccolo dettaglio: una sagoma di Hillary grandezza naturale, in piedi, al centro della stanza, il suo sorriso sorveglia i volontari e li invita maternamente al lavoro. Susanna Shawn e Courtney fissano l’interno, attraverso le vetrine. A quel punto i sostenitori di Clinton iniziano a fare altrettanto, si sono accorti che i tre ragazzi indossano le magliette di Bernie.

Ma Reno è famosa anche per i suoi Casino, oltre che per la fissa per le armi e la prostituzione legalizzata, e decidiamo di andare a dare un’occhiata. Alla fine i ragazzi portano a casa 15 dollari, e i ragazzi decidono di lasciarli come mancia alla cameriera del motel dove dormiamo, una donna originaria dell’India. Per Shawn ogni lasciata è persa e insieme alle banconota lascia un biglietto: c’è scritto che Bernie Sanders vuole aumentare il salario minimo orario proprio a 15 dollari. Io lo guardo e spero che la cameriera la prenda sportivamente e non ci disprezzi più di quanto meritiamo.

Il secondo giorno seguo Susanna, Courtney e Shawn in un altro comitato a svariati chilometri dalla città. Dentro ci son solo due ragazzi, anche loro non hanno mai fatto politica. Hanno cominciato come volontari per le telefonate e dopo pochi mesi sono stati incaricati di aprire un comitato in questa zona. Una dei ragazzi mi mostra la mappa della zona e mi spiega che la loro zona di competenza è molto ampia. In più le zone demograficamente più povere sono quelle più isolate e lontane e questo comporta un grande lavoro di ricognizione e lunghi spostamenti.

Il quartiere assegnato ai ragazzi, invece, è un sobborgo silenzioso e ben curato. Gli abitanti appartengono tutti alla classe agiata, la zona è «tradizionalmente repubblicana», ci spiegano alcuni residenti, e durante il giro troviamo molti ex elettori democratici che sostengono Trump, oltre a numerosi democratici che appoggiano Hillary Clinton.

L’età media qui è più alta, così come il reddito. Incontriamo un uomo molto anziano, 97 anni, i ragazzi cercano di convincerlo a votare per Bernie, ma lui risponde: «L’ultima volta che ho votato per un democratico, era Franklin Delano Roosevelt», al che i ragazzi si esaltano ancora di più, gli spiegano che molti vedono Sanders come un nuovo FDR, ma il vecchietto, lucido e arzillo, è irremovibile.

Altri repubblicani o indipendenti sono terrorizzati dal «socialismo» di Sanders. «Vuole che tutto sia gratis» protesta una signora, «sono vecchia e lo so come vanno queste cose. Tutto gratis e poi nessuno lavora». Un altro signore ascolta in silenzio, con gli occhi vitrei e poi all’improvviso urla «TRUMP!», scoppia a ridere, chiama Sanders «comunista» e chiude la porta, non prima che Susanna gli dia del «nazista». Se questi sono gli elettori di Trump che hanno il coraggio di dichiararlo, forse altrettanti sono quelli che lo voteranno ma senza ammetterlo. Anche se forse potrebbe accadere anche il contrario: molti elettori potrebbero solo strumentalizzare la candidatura di Trump per imporre alcune questioni sull’agenda politica per poi consumare il tradimento nel segreto dell’urna, votando qualche altro candidato. In questa zona molti elettori democratici sono con Hillary, molti sono indecisi. Entrambe le categorie si dichiarano d’accordo con il programma di Sanders ma lo considerano irrealistico e forse, sotto sotto, lo temono. Alla fine della giornata Courtney, Shawn e Susanna portano a casa 13 adesioni, un buon risultato dicono al comitato, normalmente ne vengono raccolte la metà.

La campagna continuerà fino al giorno dei caucus, il 20 febbraio, i sondaggi danno Hillary Clinton in vantaggio. Sanders ha poche possibilità di aggiudicarsi queste primarie, ma al di là delle primarie Sanders sta dando un contributo eccezionale alla cultura politica dei democratici. E se ricordiamo che all’inizio della campagna non era considerato neanche lontanamente competitivo e che adesso insidia seriamente il primato di Clinton, mobilita migliaia di ragazzi e fa riflettere la nazione intera sulle sue contraddizioni come non accadeva da decenni, allora tanto vale aspettare e seguire questa storica corsa.

Nel momento in cui scrivo si stanno celebrando i caucus in Iowa. Al momento Clinton è in testa in molte contee, ma Sanders la segue a breve distanza. Risultati finali, contestati da Sanders che ha chiesto un riconteggio: Clinton 49,8%, Sanders 49,6%, 23 delegati contro 21, mentre in campo repubblicano l’estremista Ted Cruz, appoggiato dagli evangelici fondamentalisti, ha battuto con 8 delegati Donald Trump e un vistoso successo ha conseguito il moderato Marco Rubio –entrambi con 7 delegati [n.d.r.].

 

Qui sotto qualcuno degli articoli che mi è capitato di leggere negli ultimi giorni sulle primarie e sulla sinistra americana in generale. Un libro cruciale resta la Storia popolare degli Stati Uniti, scritta da Howard Zinn, mentre Sanders ha pubblicato un libro dove fa una riflessione sulla sua carriera e le trasformazioni della politica americana negli ultimi decenni (Outsider in the White House, Londra-New York, 1997 e 2015).

https://www.jacobinmag.com/2015/05/bernie-sanders-president-vermont-socialist/

http://inthesetimes.com/issue/24/16/phillipsfein2416.html

https://www.jacobinmag.com/2014/02/class-action-an-activist-teachers-handbook/

https://www.jacobinmag.com/2014/12/nypd-killings-garner/

https://www.washingtonpost.com/news/the-fix/wp/2014/05/01/why-elizabeth-warren-could-definitely-run-for-president-if-she-wanted-to/

http://www.nytimes.com/2013/09/22/opinion/sunday/douthat-good-populism-bad-populism.html?_r=0

http://www.nytimes.com/2016/01/31/opinion/campaign-stops/trump-sanders-and-the-revolt-against-decadence.html?ribbon-ad-idx=5&rref=opinion&module=Ribbon&version=context&region=Header&action=click&contentCollection=Opinion&pgtype=article