ROMA

Extracittà, un libro in viaggio nel mondo dell’autogestione a Roma

Il primo libro di dinamopress racconta quattordici storie romane di autogestione. Frammenti di bellezza e ricchezza condivisa che gli spazi sociali continuano a produrre nella città. Lo potete trovare al banchetto di dinamo durante il festival L\ivre 2019, dal 18 al 22 dicembre presso l’atelier autogestito Esc (via dei Volsci, 159 – Roma)

C’è un pezzo di Roma che vive in autogestione e un altro che grazie all’autogestione può vivere meglio. È la Roma degli spazi sociali, della democrazia diretta, dell’autonomia, delle forme di vita fuori norma che disegna rotte indipendenti nelle mappe della città. Dal fossato del Forte Prenestino al prato de La Torre, dal tetto di ESC alla palestra del Corto Circuito, dalle scale di Astra al campo di rugby di Acrobax, dai murales del Chentro al giardino di Casale Falchetti, dal capannone di Strike al cortile di Communia, passando per i centri antiviolenza, per l’associazionismo militante, per i comitati autorganizzati, corrono tanti fili rossi che disegnano nuove strade, che tessono altre reti, dentro e contro la metropoli. Centri sociali oltre i centri sociali, sinergie che superano i muri, passioni che invadono le strade, caricano la polizia o assaltano i palazzi del governo. Sotto attacco e all’attacco. Sempre, contemporaneamente.

Il mondo dell’autogestione romana è una città dentro la città, ma fuori dal mercato. Una sorta di extracittà, un circuito di relazioni, conflitto, solidarietà e mutualismo al cui interno si intrecciano tante storie che meritano di essere raccontate. Quello che avete tra le mani, è il primo di due volumi che provano a farlo, attraversando alcuni degli spazi che configurano quest’anomalia metropolitana.

 

Non si tratta del tentativo di ricostruire una storia completa o un’interpretazione coerente di esperienze che sono variegate, molteplici e contraddittorie. Non c’è alcuna promessa di metodologia scientifica o di un punto di vista orgogliosamente neutrale. Al contrario, le parole stampate attraverso queste pagine sono intimamente intrecciate alle passioni politiche che raccontano. Mani, cuori e teste hanno operato dentro e fuori il libro: un giorno nella narrazione, un altro nella lotta. Dalla tastiera ai picchetti, dalla macchina fotografica alle assemblee. Il prodotto è un collage, lo stile irregolare e la narrazione soprattutto uno strumento di autodifesa e di contrattacco.

Il libro è nato, quasi senza volerlo, dentro una fase di pesante attacco alla Roma autogestita. A gennaio 2016, la buca delle lettere di molti spazi sociali e realtà associative è stata raggiunta da una missiva firmata dai burocrati della città. I grigi uffici dei tribunali amministrativi e della sezione patrimonio ordinavano con fare minaccioso di lasciare per sempre quei luoghi che le lotte e le progettualità comuni avevano sottratto al vuoto, colorato di vita e restituito ai quartieri. Qualcuno aveva detto che il canone sociale strappato anni prima da battaglie intense era illegale, perché tutto deve essere venduto al prezzo di mercato. Qualcuno aveva detto che queste esperienze erano abusive, parassitarie, che pesavano sulle casse pubbliche. Qualcuno aveva detto che i centri sociali andavano sgomberati e che su questa storia bisognava metterci una pietra sopra. Di fronte a tante menzogne non potevamo restare ad ascoltare. Per questo, abbiamo risposto chiaro e tondo – rivolgendoci alla nostra città – che nessuno spazio comune sarebbe stato abbandonato al degrado statale o privato. Abbiamo promesso di continuare a difendere la bellezza, con i corpi e con i desideri. Quando hanno provato a chiudere porte e serrande, siamo accorsi dai quattro angoli di Roma per impedirlo e abbiamo riaperto subito ciò che avrebbero voluto sigillare. Bisogna sempre fare la cosa giusta, anche quando la legge è sbagliata!

In mezzo a cortei in centro e in periferia, assemblee nelle piazze e negli spazi, blitz negli uffici comunali, iniziative nei quartieri, abbiamo anche iniziato a scrivere, a raccontare e raccontarci. Perchè Roma è una città grande, dove accadono tante cose. Alcune volte, capita di perdere di vista l’orizzonte, mentre altre volte diventa difficile riuscire a guardare oltre la fine della propria strada. Anche per questo, speculatori e politici riescono a nascondere l’assurdo dietro la maschera del vero. E così qualcuno ha creduto davvero che il problema del debito non dipenda dalla rendita immobiliare e finanziaria, ma da chi ha restituito il patrimonio pubblico a un utilizzo comune. Mentre qualcun altro si è veramente convinto che povertà, emarginazione e razzismo siano questioni di decoro.

Così, dove c’era vita, amore, passioni e desideri hanno detto che andava fatto il deserto e che sarebbe stato meglio per tutti.

Dentro questo libro, invece, ci sono frammenti di bellezza e di ricchezza condivisa che gli spazi sociali continuano a produrre, nel solco di una storia che a onda le sue radici nell’“area dell’autonomia” e vede le sue prime esperienze intorno alla metà degli anni ‘80. In quel periodo, dopo la lunga notte della repressione statale, tantissimi giovani romani iniziano a occupare, per aprire spazi di libertà, controcultura, resistenza all’eroina, produzione culturale e musicale indipendente. A Roma, tra gli altri, nascono il Forte Prenestino a Centocelle, Hai visto Quinto? a Val Melaina, Ricomincio dal Faro al Trullo, Break Out a Primavalle. Scorre del sangue nuovo nelle arterie della metropoli. Negli anni ‘90 parte una seconda ondata: il movimento della Pantera, la lotta per la casa, le mobilitazioni anti-razziste e i primi segnali del movimento no global rompono schemi di comportamento, modalità di fare politica e lucchetti di edifici abbandonati. Prendono casa il il Villaggio Globale a Testaccio, il Brancaleone a Montesacro, il Corto Circuito a Lamaro, La Strada a Garbatella, la Torre a Casal de’ Pazzi, Auro e Marco a Spinaceto, Spaziokamino a Ostia, l’ex Snia Viscosa al Prenestino, Spartaco al Quadraro, l’ex Casale Falchetti a Centocelle vecchia. Questi nuovi spazi offrono da subito servizi autogestiti, sportelli di difesa e di organizzazione di precari e disoccupati, progetti di sport popolare. Nell’etere si accendono segnali sovversivi: molti provengono dai palazzi occupati dei nuovi movimenti di lotta per la casa che irrompono in città. Intanto arriva il 2000, il millennium bug non manda in tilt i computer del pianeta ma, dopo aver visto Genova, una nuova generazione di attivisti porta il panico in città. Aprono le porte: Strike a Portonaccio, Acrobax a Ponte Marconi, Astra al Tufello, Esc a San Lorenzo, Horus a piazza Sempione. Produzioni di saperi indipendenti e collettivi universitari, street parade e musica hip hop, palestre popolari e squadre di rugby. Si fanno spazio nuovi linguaggi e una nuova generazione ricostruisce la grammatica dell’autogestione.

Un’altra volta, un’altra Onda spazza le certezze, rompe le consuetudini, invade le strada. Quando il mare sembra ritirarsi, rimangono a riva sperimentazioni dirompenti che combinano produzione culturale autonoma e organizzazione dei lavoratori dell’immateriale, riempiendo ancora una volta edifici vuoti. Da Roma, si diffondono in tutta Italia i teatri e cinema occupati e autogestiti.

Questa storia, queste storie, sono il negativo che ci ha permesso di sviluppare le fotografie presenti nel libro. Tutte insieme costituiscono un mosaico proteiforme, che si può guardare da diverse angolature con lenti di molteplici colori. Un mosaico che esce dal libro per intrecciarsi con l’esperienza del lettore. Con chi negli spazi autogestiti ha studiato una nuova lingua o visto un concerto, trovato uno scudo dalla violenza maschile o un supporto contro gli abusi padronali, avuto la possibilità di fare teatro o di guardare dei film, praticato sport o assistito a seminari, mangiato e bevuto in compagnia o avuto un primo contatto con una nuova società.

Come vascelli di pirati metropolitani, le esperienze di autogestione hanno attraversato amministrazioni comunali di segno opposto, sono sopravvissute a governi sempre nemici, si sono dissolte e riassemblate in forme nuove. Oggi, più di 30 anni dopo che a Roma i primi lucchetti di un edificio abbandonato venivano rotti per invaderlo di vita, rumore, politica, energia, i centri sociali sono ancora là. Sgomberi, “letterine” amministrative, minacce di “messa a bando”, retoriche su legalità e decoro, interessi speculativi non sono riusciti a far scomparire la Roma migliore. Quella che in una società organizzata dalla legge del profitto, continua orgogliosamente a esistere “Fuori Mercato”.

Una piccola parte di questa città è raccontata tra le pagine che avete tra le mani. Il consiglio è di andare oltre quello che leggete, di usare le parole stampate e le fotografie per guardare negli occhi i posti raccontati, per toccarli con mano e incontrare dal vivo chi continua a farli vivere. E perché no: per attivarsi e partecipare in prima persona (plurale) a una battaglia che coinvolge tutti e tutte.

 

INDICE

Che Roma sarebbe senza autogestione?

Spartaco

Casale Falchetti

Auro e Marco

Città dell’Utopia

Grande Cocomero

Casale Garibaldi

Nuovo Cinema Palazzo

Lucha y Siesta

Esc

Forte Prenestino

Be Free

El Chentro

Ararat

Puzzle