ROMA

Emergenza abitativa: perché i senza casa hanno respinto la proposta del Comune

Fallito il tavolo tra istituzioni e senza casa. Il Comune offre posti letto ad anziani malati e donne incinte. Nessuna soluzione per tutti gli altri. Domani alle 9.30 i movimenti per il diritto all’abitare lanciano un presidio in piazzale dell’Esquilino, durante l’incontro Minniti-Raggi.

Questa mattina una delegazione di persone sgomberate da piazza Indipendenza e via Quintavalle, insieme ad alcuni portavoce dei movimenti per il diritto all’abitare, ha incontrato Virginia Raggi, la prefetta Paola Basilone e l’assessore regionale alle politiche abitative Fabio Refrigeri. L’incontro, che era stato fortemente voluto da tutti coloro che da giorni stanno lottando per il diritto alla casa, si è concluso con un nulla di fatto.

«La proposta del Comune è irricevibile», hanno dichiarato i senza casa all’uscita dalla Prefettura. La sindaca Raggi, infatti, ha offerto soltanto un nuovo “censimento delle fragilità” al fine di stabilire, tra le centinaia di persone che da giorni sono costrette a dormire nelle strade della capitale, chi ha diritto a un tetto e chi non ha diritto a nulla. Sotto la voce “fragile”, categoria fumosa che è stata il cavallo di battaglia della giunta durante tutti questi giorni, rientrerebbero donne incinte o donne sole con figli e anziani malati. E tutti gli altri? Per loro nessuna soluzione, a quanto pare.

È la seconda volta che le persone sgomberate sono costrette a non accettare i palliativi offerti dalle istituzioni. Nel primo caso, si trattava di una sistemazione temporanea e riservata solo a un numero ristretto di persone, nella provincia di Rieti. Avrebbero dovuto rinunciare ai percorsi di inserimento, alla continuità scolastica dei figli e, in alcuni casi, anche alla possibilità di mantenere il lavoro (per chi un lavoro ce l’ha). E non solo. Il trasferimento degli sgomberati, per la maggior parte rifugiati, avrebbe potuto facilmente innescare una bomba sociale. Quelli che oggi li accusano di aver rifiutato la sistemazione, infatti, sarebbero stati in prima fila ad alimentare la guerra tra poveri e a creare contrapposizioni con le persone vittime di un terremoto che appena un anno fa distruggeva migliaia di case, proprio in quella zona. La seconda proposta, quella odierna, consisteva di fatto nel dividere i nuclei familiari e affidarne una minima parte, quella più “fragile”, al circuito dell’accoglienza romana. Per gli altri soltanto la strada.

«La fragilità di chi si è trovato costretto a occupare una casa per non far dormire la propria famiglia in strada è economica, non dipende dal fatto di avere un bimbo in grembo o di essere malati. Siamo tutte persone fragili», hanno denunciato gli attivisti per il diritto alla casa all’uscita dall’incontro. Contemporaneamente, a pochi metri di distanza, alcune donne contestavano la sindaca sul tema della delibera regionale. La Regione Lazio, infatti, già alcuni mesi fa ha stanziato 40 milioni di euro per affrontare il problema delle case vuote e delle persone senza casa. Ma Tronca prima e Raggi poi non accettano che una percentuale di queste nuove abitazioni, strappate grazie alla lotta di chi per anni ha rivendicato il diritto alla casa per tutti, venga data agli occupanti di case. Italiani o migranti, poco importa. Chi non ha atteso per strada il proprio turno, alla fine di interminabili graduatorie, chi ha deciso di riprendersi un diritto primario, garantito persino dalla Costituzione, secondo Commissari e 5 Stelle non può avere un tetto. Un’umanità di serie B che, al massimo, può ambire all’elemosina riservata ai più sfortunati.

La proposta avanzata oggi dal Comune è ancora più assurda se confrontata con il comunicato che Virginia Raggi diramava soltanto ieri e che iniziava con dei numeri precisi: «Duecentomila case vuote, diecimila persone in lista d’attesa». Numeri spaventosi, da un lato e dall’altro, ma che hanno una correlazione precisa. Il numero delle case vuote è venti volte superiore a quello delle persone in emergenza abitativa. Ipotizzando che, mediamente, 3 o 4 persone vivono nella stessa abitazione, basterebbe riempire l’1,5% delle case senza gente. Ovviamente, questo significherebbe mettere a disposizione dei poveri proprietà comunali, palazzi requisiti alla mafia o requisire alcune proprietà di quei palazzinari che hanno riempito Roma di cemento, ma continuano a lasciare i palazzi vuoti per mantenere alti i prezzi degli affitti.

Molto più facile appellarsi a un vuoto principio di legalità, allora. E buttare legalmente in strada centinaia di persone. È questa vergogna che, con grande dignità, i senza casa e gli sgomberati di piazza Indipenza e via Quintavalle hanno rifiutato. Dall’altro lato, invece, il M5S ha preso parola e messo in bocca a Virginia Raggi, mai come oggi sindaca a sua insaputa, le parole con cui intende costruire la sua città. Chi aveva creduto al loro progetto di contenimento di consumo del suolo è accontentato. Roma dovrà continuare a giocare in difesa degli interessi di sempre: quelli di chi ha fatto della rendita il materiale con cui impastare i mattoni delle case. Questa volta la Casaleggio Associati ha introdotto un elemento nuovo: la ferocia. Bisogna fare carta straccia della delibera regionale che destina soldi all’emergenza abitativa perché quei signori avevano accompagnato la loro delibera con un sacrosanto riconoscimento: vedere le occupazioni non come un veleno all’interno del corpo della città, ma come un vero e proprio antidoto a chi vuole annientare chi la città la vive e non può legarsi ai progetti di indebitamento perché povero. Oggi la sindaca Raggi ha segnato la pagina più nera di questa città e questa volta non lo ha fatto a sua insaputa. Ha seguito gli ordini di Casaleggio jr. e Grillo.

La battaglia, però, non è ancora finita. Sgomberati e movimenti per il diritto all’abitare hanno lanciato una nuova mobilitazione per domani mattina, alle ore 9.30 a piazzale dell’Esquilino. Allo stesso orario, pochi passi più in là, si incontreranno Virginia Raggi e Marco Minniti.