ROMA

«È il momento di fare la storia». Gli stati genderali lgbtqia+ e disability a Roma

Le nuove prospettive per il movimento queer alla fine di un anno di lotta in parallelo al ddl Zan si incontrano a Roma, per una assemblea che si prospetta “istituente” e che è molto più di una semplice ricomposizione di parti

Sabato 11 e domenica 12 dicembre si svolgeranno a Roma gli Stati Genderali LGBTQIA+ e Disability, un appuntamento nodale alla fine di un lungo periodo di mobilitazioni importanti. Abbiamo chiacchierato con due attivist* di Bologna che hanno contribuito alla costruzione dell’iniziativa, Renato e Babs del collettivo Smaschieramenti, per comprenderne il valore e l’importanza.

Ci volete raccontare il percorso che ha portato a questa data?

Babs: Da più di un anno si sono date una serie di mobilitazioni spontanee e organizzate che hanno accompagnato tutto l’iter parlamentare del DDL Zan. Si è delineata una prospettiva politica chiara per le persone lgbtiaq+ e disabili: una legge solo punitiva non sarebbe mai stata sufficiente. La violenza abilista e omolesbobitransfobica che viviamo è una violenza sistemica e in quanto tale va affrontata. Produce esclusione sociale e una violenza fisica e psicologica che viviamo ogni giorno e che va fermata.

Le mobilitazioni si sono trasformate in un vero e proprio movimento che ha portato all’organizzazione di una piazza comune in tutta Italia il 15 maggio 2021. Per la prima volta in quella occasione hanno preso parola le persone coinvolte nella lotta e non si è seguito il solito schema delle associazioni che parlano per i soggetti lgbtqia+.

Questa mobilitazione è stata preceduta e seguita da assemblee nazionali online che hanno portato, anche a seguito dell’affossamento del DDL, alla decisione di vederci in presenza a Roma in questi Stati Genderali.

In maniera partecipata abbiamo scelto alcuni temi centrali su cui costruire tavoli di discussione. Tra questi vi è l’autodeterminazione di genere, perché, visto quanta violenza transfobica si è scatenata per affossare il decreto, crediamo sia fondamentale riporre al centro il tema dell’identità di genere. Un altro tavolo sarà su AIDS e HIV+, nel 2021 siamo ancora ben lontan* dal superamento dello stigma ed è importante parlarne anche in vista di una riforma della legge 135 in parlamento. Un tavolo sarà su lavoro, welfare e migrazioni interne, un altro su migrazioni esterne e contesto internazionale e si parlerà dello status di rifugiato lgbtqia+, un altro su famiglia e diritti riproduttivi, per ripartire dalla sconfitta del decreto Cirinnà, uno su educazione e formazione, altro tema infuocato nel dibattito sul DDL Zan.

Ci sarà anche un tavolo su percorsi di fuoriuscita dalla violenza, visto che in Italia non c’è ancora una legge che garantisca un finanziamento organico per case rifugio per persone vittime di violenza omolesbobitransforbica. Ci sarà pure un tavolo sulla comunicazione e rappresentazione a partire da quanta violenza mediatica si è espressa contro le persone lgbtqia+ durante tutto il dibattito pubblico inerente alla legge Zan, dentro e fuori il parlamento. Ci sarà anche infine un tavolo disabilità e neurodivergenze e sarà il primo importante appuntamento in cui ci incontreremo tra movimenti in una assemblea.

In tal senso, colpisce la presenza fin dal titolo della questione disabilità. Ho l’impressione che la questione sia rimasta nell’ombra nella rappresentazione mediatica durante le manifestazioni per il DDL Zan…

Babs: Sono d’accordo perché l’abilismo è talmente sistemico che pure le forme di protesta sono state invisibilizzate.

Non è una alleanza inedita quella che avremo in questo fine settimana. Sono decenni che, in altre parti del mondo, i movimenti che si occupano dei diritti di persone con disabilità si sono affacciati ai movimenti lgbtqia+ e gli elementi in comune sono dati da questo sistema violento che produce le stesse pratiche nei confronti dei nostri corpi: medicalizzazione, invisibilizzazione, esclusione sociale ed economica, infantilizzazione, violenza.

Ricordo che per noi la prospettiva intersezionale non è un escamotage retorico, noi stessi condensiamo nei nostri corpi diversi livelli di soggettivazione e identità. Le persone con disabilità hanno trovato nel metodo orizzontale e inclusivo che abbiamo utilizzato verso gli Stati Genderali un contesto in cui poter prendere parola. Nel Rivolta Pride di Bologna stiamo vivendo questo processo.

(Renato Ferrantini)

In un’articolo scritto a caldo su Dinamo nei giorni successivi all’affossamento del ddl Zan, prefiguravi in quel momento una sorta di giro di boa per il movimento lgbtqi+, la fine della delega in bianco a una politica che ormai non rappresenta più nessun* e il ritorno alla piazza molto più radicale e senza l’egemonia arcigay. Credi ancora che sia così e se sì, che ruolo potrebbe avere l’incontro di questo fine settimana in questo percorso?

Renato: Credo che queste ipotesi di fondo siano tutt’ora valide, indizi in tal senso sono il processo di avvicinamento dell’associazionismo mainstream verso quello di movimento, una serie di riconoscimenti reciproci, e l’assenza di un soggetto egemonico da alcuni anni a questa parte, visto che forse una vera e propria egemonia non si può più avere.

Dopo la fase aurorale degli anni ‘70, negli anni ‘80 i movimenti lgbtqia+ hanno avanzato una serie di rivendicazioni quali matrimonio egualitario, legge contro l’omotransfobia, e proprio in quel momento è nata la centralità di alcuni soggetti. Ora è molto più complessa la composizione perché ci sono molte altre variegate soggettività. Proprio in questo momento è importante dare una risposta, esplicitare la crisi del modello preesistente e tentare di superarlo in forme differenti.

Gli Stati Genderali sono un tentativo produttivo istituente, un momento che può aprire uno spazio di nuovo movimento che tenga assieme pluralità di soggettività, di bisogni e di rivendicazioni.

Anche dal punto di vista del metodo esprimiamo un valore differente. Per anni il movimento è stato messo da parte in nome di operazioni per lo più verticistiche basate sulla delega alla politica rappresentata. L’affossamento del ddl Zan ha dimostrato che sono strategie fallimentari.

Si sta inoltre riconfigurando il movimento che non vede più il gay cis maschile al centro, come è stato per decenni, e non a caso chiamiamo ancora il Pride un gay Pride. Prendono invece sempre più spazio nuove marginalità e soggettività non binarie. Siamo all’inizio, ma sono intuizioni profonde che possono essere agite ed esperite politicamente, permettono di prefigurare trasformazioni che vanno ben oltre i confini di un incontro di movimento. Il desiderio di cambiare in modo radicale c’è, attraversa tutte le componenti che si sono mosse verso questo incontro, dal mainstream all’antagonismo, al queer, al transfemminismo.

In tante stagioni passate siamo state la parte minoritaria che si opponeva al mainstream. Abbiamo compiuto un lunghissimo giro di boa dal 2000 in poi, lavorando sul queer, collegandoci a contesti internazionali, spogliandoci della cornice omonazionalista. Abbiamo lavorato al margine, attraversando sciopero sociale e movimento femminista, e ora ritorniamo nel movimento lgbtqia+ con una potenza ed una visione e un desiderio di trasformazione che è ampio. È un passaggio storico, potremmo anche fallire, ma falliremo in modo queer, cioè dopo averci provato.

Cosa può imparare questo movimento dalle intersezioni che ha vissuto e vive tutt’ora con il movimento transfemminista Non Una di Meno?

Renato: Abbiamo attraversato Nudm per anni, ed è stata una contaminazione ricchissima. Il movimento transfemminista ha dato indicazioni importanti in termini di autorganizzazione, autonomia rispetto all’esterno, metodo organizzativo assembleare, costruzione del consenso.

Nudm ha cambiato la percezione a livello culturale e sociale rispetto alla violenza maschile e di genere aumentando enormemente la consapevolezza e il rifiuto nei confronti del fenomeno. Ha permesso di far capire ad ampi strati della popolazione che viviamo una violenza sistemica riuscendo ad incidere anche nella sfera istituzionale. È riuscita a dimostrare che si può influenzare la società e trasformarne la visione di un tema così scottante.

Alcune soggettività e tematiche però hanno poi bisogno di una loro declinazione, molti hanno attraversato Nudm portando fuori il metodo e riportando dentro il movimento queer importanti contributi. L’alleanza tra femminismo, transfemminismo e queer oggi è una forte e potenziante alleanza di soggettività e di corpi.

(da archivio)

Un elemento che caratterizza la recente ondata è la compresenza di fasce giovanissime della popolazione (medie e universitarie) e invece adulti con anni di esperienza alle spalle, che equilibrio si può trovare tra queste componenti?

Babs: Una degli aspetti più belli di tutti i movimenti è la capacità di costruire spazi intergenerazionali. Penso che in questo momento ci sia uno scambio estremamente proficuo e che ci sia una grande soggettivazione politica e una voglia di orizzontalità. C’è voglia di stare dentro le discussioni, partire da sé e confrontarsi. Questo fa molto bene anche alla generazione precedente, soprattutto chi era abituato ad altri modi di fare politica. Per noi che veniamo da una tradizione di movimento transfemminista, questo scambio intergenerazionale è vissuto come completamente naturale.

Noi siamo entratu anni fa in questo spazio condividendo gli spazi con attivistu che c’erano prima, che ci hanno lasciato spazio, hanno costruito strumenti collettivi, in cui siamo crescitu, sta accadendo in modo reciproco con nuove generazioni ora.

Renato: Più sei radicale più sei considerato giovane, in qualche modo essere radicali ci ha permesso di continuare a far politica vedendo identificati come giovani, anche se siamo ormai abituati oggi a stare in contesti che vedono la presenza di persone dai 18 ai 50 anni e oltre. La costruzione di genealogie tra contesti temporali geografici e territoriali diversi, garantita da contatti intergenerazionali, ha permesso di trovare nuovi modi di leggere la realtà. Figure come Liana Borghi, ad esempio, sono state fondamentali per la mia crescita.

Non c’è mai un semplice passaggio di testimone. I perdenti di ogni generazione trovano uno riscatto nelle lotte di nuove soggettività anche grazie a figure di snodo molto importanti tra le une e le altre. Inoltre, ci sono nuove generazioni esposte a un livello tecnologico avanzato, che è giusto che queste prendano parola perché hanno strumenti di conoscenza così significativi che abbiamo solo da apprendere.

Babs: La nostra cultura politica transfemminista si basa così tanto sull’ascolto reciproco che questo ha reso non solo possibile ma quasi inevitabile la contaminazione generazionale.

Se dovessi convincere una persona a venire a Roma questo weekend, cosa gli/le diresti?

Babs: Ci vogliamo vive libere autodeterminate. Abbiamo sentito tutte e tuttu un bisogno diffuso di dare una risposta chiara radicale e autentica alla violenza istituzionale espressa in quell’aula del Senato. Davanti a quel fallimento vogliamo costruire una cultura lgbtqia+ che sia antiabilista, antirazzista, anticapitalista e che risponda ai nostri bisogni del presente. È il momento di ricominciare a fare la storia.

Renato: Vieni perché siamo in un contesto in cui i giochi non sono già fatti, non c’è una regia se non la capacità collettiva di mettere a fuoco i temi. È un gioco aperto che ha una capacità reale di permettere la partecipazione in prima persona a tuttu, una possibilità che per tanto tempo l’associazionismo non ha garantito.

È un nuovo inizio aperto, libero da qualunque gerarchia precostituita, un carattere che offre enormi potenzialità.

Immagine di copertina da archivio