PRECARIETÀ

E’ il capitalismo, bellezza! – Terza Puntata

La montagna senza incanto

Considerazioni sul World Economic Forum di Davos

La guerra valutaria all’orizzonte, o nella quale siamo già immersi, a Davos ha trovato il suo primo tavolo diplomatico. Diplomazia nel mondo multipolare, tra la fine dell’egemonia americana e un nuovo equilibrio tutt’altro che solido, anzi. La Germania ha tuonato contro la svalutazione giapponese, frutto della politica espansiva della banca centrale nipponica: stampa illimitata di yen e acquisto massiccio di bond e azioni europee per far sì che l’euro si rafforzi e lo yen perda peso. A nessuno sfugge ciò che la Germania ha sottratto al Giappone negli ultimi dieci anni: il mercato cinese. Alla Cina la Germania vende macchinari e nuove tecnologie. La concorrenza è spietata e Shinzo Abe, in accordo con la banca centrale, non ha avuto dubbi: svalutazione competitiva.

I tuoni della signora Merkel sono stati tutt’altro che rassicuranti. Alla guerra valutaria, infatti, la Germania potrebbe rispondere, coinvolgendo l’Europa tutta, con la guerra dei dazi e delle barriere doganali. In verità la Germania tuona, ma non accenna minimamente a cambiare idea. Weidmann e la Bundesbank ribadiscono il concetto: le banche centrali non possono e non devono far politica, loro unico compito è quello di garantire la stabilità dei prezzi. La polemica ordoliberale, chiaramente, non ha per bersaglio solo il Giappone. La Fed, infatti, ha anticipato di gran lunga il Giappone e Bernanke non fa mistero ‒ ma d’altronde neanche lo statuto della stessa Fed ‒ che il suo obiettivo è ridurre la disoccupazione. Di disoccupazione, per Merkel e Weidmann, se ne devono occupare i governi, aggiungendo per via amministrativa l’aggettivo “sociale” all’economia di mercato.

Un osservatore attento, George Soros, ha chiarito proprio a Davos le sue di preoccupazioni. L’euro sembra salvo – spiega – nonostante la sua eccessiva valorizzazione, ma le condizioni imposte dalla Germania per la sua salvezza rischiano semplicemente di differire il crollo. Se nella scena globale, infatti, i falchi ordoliberali suscitano poco interesse, in Europa le ricette della Bundesbank hanno segnato una svolta epocale. Le parole non sono quelle marxiane, ma il succo è lo stesso: attraverso la leva del debito pubblico, la Bundesbank sta imponendo una nuova «accumulazione originaria», processo che ha nei PIIGS il terreno di sperimentazione privilegiato.

Sbaglia, però, chi pensa con ottimismo che la furia devastatrice tedesca sia stata respinta con forza dagli States o dal FMI. A Davos non c’è stato intervento che, nel chiarire che l’Europa continuerà a sprofondare nella recessione per tutto il 2013 (la luce al fondo del tunnel viene spostata sempre più avanti), non abbia ritenuto e non ritenga essenziali le riforme strutturali e il rigore di bilancio. Quali riforme? Ma è ovvio: deregolamentazione del mercato del lavoro, liberalizzazioni, riduzione della spesa pubblica e della tassazione per le imprese. Anzi, al buon lavoro di Italia e Spagna, si deve accompagnare quello della Francia che a breve, altrimenti, potrebbe essere preda dell’attacco speculativo dei mercati sui suoi titoli. Più che un avvertimento, una minaccia. Da dove dovrebbe venir fuori la crescita, invece, è davvero impossibile comprenderlo.

Inutile dire che a Davos in molti hanno chiarito, elogiando Monti, il risultato delle elezioni politiche italiane, quelle di fine febbraio: Bersani + Monti. E comunque il programma, qualsiasi cosa accada, è stato già scritto, il resto sono chiacchiere da bar o ninnananne per chi vuole dormire tranquillo la notte.

Pubblicato su MicroMega