ITALIA

Dentro il seggio

Un racconto dallo scrutinio dell’Italia al voto

Sono le sette, quando aprono i seggi in una scuola elementare di Roma. È presto e piove, ma qualcuno è già davanti alla porta per esprimere la propria opinione sull’Europa e in fin dei conti su di noi, sull’Italia. Un uomo in partenza. Una vecchietta mattiniera. Un gruppo di suore uscite prima della messa. Sembrano eccitate. Distribuiscono santini e benedizioni. Poi arrivano anche tutti gli altri. Buon giorno. Buon giorno a lei. Uomini da una parte e donne dall’altra. E perché? Montano su le donne. Gli uomini hanno un qualche tipo di preferenza? Affatto signora, siete solo su due registri diversi. Peccato che quest’anno su quello femminile ci sia specificato anche il nome del coniuge.

La tessera elettorale, grazie. Un documento. C’è chi addirittura non se lo porta dietro, pensando che basti essere riconosciuto da un testimone. E poi iniziano i codici: numero di tessera, numero di documento, numero di registro, firma. Un bel timbro tondo e uno con la data. La mia tessera è nuova, appena fatta. Allora guardi signore, un bel timbro qui e un altro qui. Lo faccia asciugare, così non si sbafa. Guardi che bello. Le mani nere di inchiostro, il tavolo anche. Due timbri provenienti da un tempo molto passato. E poi la matita, appositamente numerata per indicare il numero di cabina dove nascondersi a votare.

Come se il voto fosse ancora segreto, ormai. C’è scritto tre, signora, so che non si legge. E puntualmente la signora entra nella quattro. E il signore della quattro la trova occupata. E si imbuca nella due, dove però sorprende una ragazza, che si trova stanata mentre appone la sua prima X su un simbolo di partito. Una gran baraonda. Com’è l’affluenza? Claudio scuote la testa. Siede all’estremità di uno dei banchi e si occupa del registro delle donne. 54 anni, disoccupato già da due. Un’estrema sfiducia nel futuro, ma un’affiatata fiducia nel Movimento 5Stelle.

Purtroppo è bassa, signora. Bassissima. La gente non capisce quanto è importante venire a votare oggi. Ci crede molto e lo ripete come fosse un ritornello di una canzone bellissima. Un suo principio, un suo valore. Dalle sette alle ventitré, ogni mezz’ora circa, chiede in giro: com’è l’affluenza? Saremo arrivati almeno al 20%? E a chi lo chiede a lui, risponde scuotendo la testa. Mirko lo deride. Ha dieci anni in meno di lui, quindi statisticamente ha davanti a sé un futuro più lungo del suo. Ma non gliene importa. E menomale se vengono in pochi, almeno avremmo poche schede da scrutinare. Che ce frega a noi. Mirko è il presidente di seggio: cuffie bluetooth nelle orecchie, segue sul tablet tutto il calcio della giornata.

Ogni tanto anche il video di qualche bella ballerina. Precisi ragazzi, mi raccomando. Che se sbagliamo, stiamo qui fino a domani mattina. Ricontrollate tutto per bene, dice agli altri. Ma essere precisi non è facilissimo, con tutto il chiasso che c’è. Un signore sbaglia stanza. Codice cancellato, siglato, sottratto. Toccherà ricordarselo per non contarlo, all’una di notte, quando saremo ancora lucidi dopo diciotto ore di lavoro. Una signora sbaglia addirittura edificio. Qui siamo al civico 336, non al 366, legga bene. Un signore entra urlando che lui sarà pure vecchio rincoglionito, ma che come lui ce ne sono tanti, e dice tanti. E che quindi non è possibile che non funzioni l’ascensore. Che è una cosa che va segnalata. Lei ha perfettamente ragione, signore, ma non dipende da me, risponde Mirko. Lo dica giù all’entrata. E all’entrata chissà cosa gli hanno risposto al signore, visto che dopo di lui ne sono entrati tanti di vecchi rincoglioniti, imprecando che loro non erano gli unici ad esserlo e che non tutti avevano i polmoni per arrivare in cima a votare.

Potremmo portare alcune schede giù, almeno per chi è disabile, propone Carlo, il segretario ingegnere. Puntuale, calmo, accomodante. Riesce a farsi scortare dal vigilante fino all’atrio e a far firmare un sacco di “vecchi rincoglioniti”. Piacere, Carlo, dice a una ragazza sulla sedia a rotelle. Ciao, io sono Laura, le risponde lei sorridendo. E glielo risponde tante volte, scuotendogli la mano senza lasciargliela più. Ascensore rotto, banchi rotti, muri scrostati. Fili elettrici scoperti o ricoperti di disegni. Il corpo umano, l’abaco, i verbi transitivi. Una scuola elementare di confine, non del centro, ma non troppo di periferia. Ancora in piedi per un qualche strano equilibrio architettonico. Uno, due, quarantasette, sessantanove. Aspetti in fila, scusi, sto contando i dati sul registro. Perché durante la giornata è meglio fare delle verifiche. Che se stasera ci manca anche solo una scheda, stiamo qui fino a domani mattina, ribadisce Mirko.

Volevo solo dirgli che non ci vedo, quindi ho messo una X qui, ma non so se la preferenza si legge. Va bene così?, chiede una signora. Tutti alzano le mani, Claudio si tappa addirittura gli occhi. Signora, per carità, copra la scheda, che noi non possiamo vedere! Ma non so se ho scritto giusto! Signora, va bene così, non importa. E invece importa eccome, perché molte schede verranno annullate. Per distrazione, per errore, per mancanza di informazione. Per un’affluenza molto bassa di giovani e molto alta di vecchi rincoglioniti, per nulla agevolati nell’esprimere il loro voto correttamente. Lega, Salvini. Lega, Salvini. Si sente allo spoglio.

Perfetto, segnate. Movimento 5 Stelle, Di Maio. Cosa? Ma non è in lista, annulla. Claudio monta di rabbia: che idioti! Ma non hanno letto? Non lo sanno che lui non c’è? E ancora: Forza Italia, Berlusconi. Oppure: PD, Zingaretti. Eppure, molti di loro prima di votare consultavano i cartelloni elettorali. Un’occhiata alla lista e una alla lista opposta, per imbrogliare gli sguardi indiscreti. Una grattatina in testa e una ciancicata alla matita, prima di entrare nella cabina numerata. X sulla Lega, Salvini e la sua lista, che tanto sono tutti la stessa cosa. Uno e trino. Facile da votare senza errori. Per gli altri invece è un po’ più complicato.

Poi si conta. PD, Lega. PD. Si conta, in un testa a testa che esclude i 5 Stelle dal gioco. Claudio si mette da una parte, come a Monopoli, quando devi stare fermo un giro. Fratelli d’Italia rimonta. Salta cavallo, forse vince il mio o forse vince il tuo. Contate bene, mi raccomando. Anche se alle due, in effetti, la stanchezza si fa sentire. Quanto hai detto? Non ho capito. Entrano i rappresentanti di lista, perfettamente identificabili. Quello che si è registrato fin da ieri, un po’ nervoso, occhiale Ray-Ban, maglioncino e parka.

Quello che passa e dice che lui tanto non si registra, che torna più tardi. E poi viene, inceratato e svelto, a prendersi quello che vuole. Può farci finire, che altrimenti perdiamo il conto?, azzarda Carlo. Troppo buono, lui, che infatti deve dargli subito i numeri. Ma almeno lo manda via. Numeri di previsione che questi rappresentati, paladini della correttezza degli scrutini, portano in fretta ai loro referenti di partito. Tutto torna? 436 schede. Ci siamo? Claudio esulta per aver raggiunto il 50% di affluenza almeno nel suo seggio.

Imbusta, riponi le matite. Riponi il timbro, che ci faranno mai con questo. Sigilla, sigla. Sigla. Sigilla. Porta le buste giù che vanno mandate alla Fiera di Roma. I pasticcini avanzati a chi li diamo? E i cartoni della pizza? Ci penseranno i bidelli domani, dice Mirko. Baci sulle guance, in bocca al lupo per il tuo esame. Salutami tua figlia. Lasciami il tuo numero. La flora e la fauna che ha popolato il microcosmo elettorale, si saluta alla chiusura dei seggi. Qualche selfie alla fine del lavoro. Speriamo bene, dai, dice la rappresentante del Sindaco. Chi deve andare vada. Per gli altri, buona notte a tutti.