Deconstructing Di Battista

Decrittare la posizione del grillino emergente sull’orrore di Lampedusa.

Conoscete l’ipereccitato Alessandro Di Battista? Si tratta di un deputato grillino di strettissima osservanza. È uno di quelli che va in televisione, che partecipa ai meeting milanesi con Casaleggio. È uno che ci crede davvero, che scrive su Twitter di non riuscire a dormire per l’esaltazione o che sgrana gli occhi e annuisce compulsivamente durante le interviste. E che si commuove quando sente parlare Beppe.

Di Battista è uno di quelli che dicono che destra e sinistra sono categorie superate. “Io non sono di sinistra, ovvio, non sono neppure di destra, sono del ’78!”, dice con trasporto. Dice, Di Battista, che “i cittadini”” devono unirsi senza distinzioni sociali, che “la gente” deve “mandarli tutti a casa”. E che per poterlo fare bisogna aspettare che il Movimento 5 Stelle raccolga la maggioranza assoluta dei voti, senza fare accordi con nessuno.

Per formazione cerco sempre di non personalizzare le questioni, di trarre valenza generale senza puntare l’attenzione su un nome e cognome. Con questo spirito leggo quello che Di Battista scrive su Facebook quasi ogni giorno. I suoi post sono preziosi documenti della cultura che sostiene il grillismo, materiale da archiviare per i posteri, testi da decostruire per dire a chi non c’era: “Guarda che cosa accadde”. I testi di Di Battista sono facili da leggere, scritti in prima persona e con trasporto. Frasi brevi e concitate. Sono sfoghi emotivi e al fondo irrazionali, pieni di “idee senza parole”, zampillano battute poco concrete ma molto immaginifiche, conoscono zoom improvvisi che ti fanno perdere di vista la logica generale e ti accendono su dettagli magari reali ma davvero insignificanti.

Di Battista, questa mattina ha consegnato ai suoi seguaci sul social network un commento all’orrore della strage di uomini e donne migranti di Lampedusa. Siamo davanti a un tema delicato: come abbiamo sottolineato più volte, Beppe Grillo ha sempre mostrato posizioni di destra quando si trattava di migranti e diritti di cittadinanza. Dopo un cappello introduttivo sulla depredazione dell’Africa ad opera dell’Europa, che serve ad attirare l’attenzione di quelli che non vogliono passare per razzisti e che magari hanno fatto qualche donazione filantropica in televisione, Di Battista passa al nocciolo della questione.

”I soldi sono lo sterco del demonio scriveva Massimo Fini”.

Massimo Fini è il polemista che da tempo ha abbracciato posizioni quantomeno reazionarie. Fini si è schierato contro i diritti delle donne, ha difeso la guerra come sanità del mondo, ha ribadito più volte di essere per un sano ritorno all’ordine tradizionale. Si dirà, come si dice, “sono provocazioni”. Ma procediamo con Di Battista su Lampedusa.

“Barconi di nuovi schiavi salpano per l’Italia nella speranza di trovare un lavoro che non c’è, non c’è più. È drammatico”.

Il lavoro in Italia non c’è, dice Di Battista. Dunque che vengono a fare? Pare quasi di sentire il mantra razzista dell’uomo medio (“Statevene a casa vostra”). E infatti eccolo che arriva. Un po’ mascherato, ma arriva.

“I fratelli africani dovrebbero stare a casa loro ma a casa loro ci sono immense imprese europee e nordamericane che ungono le classi dirigenti locali per avere appalti e concessioni e continuare la depredazione dell’Africa costringendo i cittadini afrcani a cercare nuovi spazi e nuove opportunità”.

È vero che l’Occidente sfrutta l’Africa. Ma non è questo il punto. Perché per Di Battista, le migrazioni non sono parte della storia dell’umanità, e dunque la libertà di movimento non dovrebbe essere un diritto. No, le migrazioni sono frutto dei poteri economici. Sono una malattia da curare. Una cosa infame.

“È quel che succederà a noi italiani se non prendiamo in mano il Paese. Già espatriamo direzione USA, Australia, UK ma in futuro andremo a vendere Noi le rose nei bar delle zone ricche di Mumbai”.

La conclusione è evidente. Piace, come piace il grillismo, perché non è spiazzante ma rassicurante. Come la lama nel burro, affonda nel senso comune dominante da almeno venti anni a questa parte. Permettetemi di sintetizzare: “Se non torniamo padroni a casa nostra faremo la fine degli africani”, dice il grillino. Di Battista non affronta il tema delle migrazioni in termini globali, meticci, connessi. Non si sogna neppure di chiedere la cancellazione della legge Bossi-Fini o del reato d’immigrazione. Perché ragiona in quanto italiano, cercando di salvare la sua nazione. Qualcuno penserà: ma difendendo la sovranità delle nazioni, Di Battista rivendica anche di voler difendere i “fratelli africani”. È quello che fanno molti pensatori di estrema destra (a partire da Alain de Benoist, molto amato da neofascisti, comunitaristi e leghisti), che a parole sono per l’uguaglianza di tutti i popoli ma sostengono la necessità che ognuno se ne stia a casa propria, senza contaminarsi. Forse Di Battista quei testi non li ha mai letti. Ma a furia di leggere il mondo da un punto di vista nazionale, rivendicando l’unità del popolo italiano e braccando oscuri complotti plutomassonici mondialisti, finisce per venderci una narrazione di estrema destra.

Dal blog di Giuliano Santoro suduepiedi.net