ITALIA

Chi è in debito con chi? Intervista a Ugo Marani

Intervista al professor Ugo Marani che riflette sugli effetti delle politiche di austerità su welfare e enti locali. Il 21 febbraio, il sindaco di Napoli Luigi De Magistris ha promosso una manifestazione a Montecitorio per portare avanti la campagna contro il debito illegittimo

Professor Marani, da una sua descrizione storico politica abbiamo intenzione di iniziare per inquadrare il periodo storico che stiamo vivendo dagli anni ’80 alla doppia crisi finanziaria 2008/2011.

Per 30 anni, dalla fine degli anni ’80 al 2007/2008, altrimenti detta la Golden Age, le economie occidentali si caratterizzano per tassi di crescita significativi e per una continua e sperequata distribuzione del reddito. In questi stessi 30 anni la quota dei salari da lavoro dipendente sul reddito nazionale scende significativamente e si manifesta sempre più un processo non studiato a fondo: la finanziarizzazione dell’economia. Si costruisce il castello dei derivati finanziari, nati come assicurazioni su andamenti di titoli (credit default swap, detti CDS); come tutti gli strumenti finanziari, essendo incerto, diventa fonte di speculazione portando l’intera economia occidentale a speculare sull’andamento dei CDS. I derivati, in quanto volatili e potenzialmente altamente remunerativi, vengono all’attenzione delle maggiori banche di investimento nel mondo che arrivano ad avere in derivati un capitale 15 volte maggiore rispetto al capitale posseduto in titoli standard. I derivati si sviluppano anche fuori dalla borsa (over the counter, OTC) con tutta una struttura di broker e dealer che sviluppa un vero e proprio mercato fuori dalle contrattazioni correnti.

Negli USA durante il 2008 il fenomeno degli OTC, divenuto enorme, si coniuga con una speculazione immobiliare fortissima, ovvero le banche danno prestiti anche a soggetti senza fissa dimora, né lavoro (NINJA, no income no job asset); la banca guadagna fortemente poiché, anche nel caso in cui il destinatario del prestito non dovesse pagare, il valore in forte crescita del settore immobiliare, e quindi della casa che per mancanza di pagamento del mutuo finisce nelle mani della banca, supera di molto il prestito erogato. Nel momento in cui questa bolla speculativa termina, si apre una stagione di crisi profonda di cui noi stessi, ancora oggi a 10 anni di distanza, non sappiamo con precisione e certezza cosa sia accaduto. La società Edge (sponsor del Manchester United) che assicurava le banche da possibili crack finanziari, a sua volta riceveva flussi di cassa da asset derivati; al crollo del sistema finanziario derivato, la Edge, che assicurava fra l’altro anche treni e aerei negli USA, crolla a sua volta e quindi negli Stati Uniti, l’indomani non sarebbero potuti partire né treni né aerei sul territorio nazionale ed internazionale senza un intervento diretto di mille miliardi di dollari da parte del ministro del tesoro Poulsen (di Goldman Sachs) al passaggio di consegne tra Bush e Obama. Stranamente soltanto la Lehmann Brothers viene fatta fallire mentre le altre banche vengono salvate dal fallimento a catena dopo il crack del loro assicuratore principale Edge.

I derivati, in quanto volatili e potenzialmente altamente remunerativi, vengono all’attenzione delle maggiori banche di investimento nel mondo che arrivano ad avere in derivati un capitale 15 volte maggiore rispetto al capitale posseduto in titoli standard.

 

Professore, quali sono state quindi le risposte alla crisi del 2008 delle due principali economie mondiali USA e UE?

La risposta che le due economie danno a questa straordinaria e folle crisi finanziaria è del tutto differente.

Gli americani capiscono che il salvataggio del sistema finanziario è pregiudiziale al riassetto economico, emanano il TARP, Troubled Asset Relief Program, rifinanziando le banche in crisi e acquisendo il capitale tossico delle medesime banche, come avevano fatto genialmente negli anni ’30 con l’IRI Beneduce e Saraceno. In questo processo si inserisce Marchionne, acquisendo le fabbriche automobilistiche americane. La risposta degli USA è stata quindi un Keynesismo finanziario; la più grande contestazione a questa soluzione adottata dal governo USA è stata “Occupy Wall Street”, al grido “Da Main Street a Wall Street”. Certamente sono stati foraggiati enormi quantità di denaro alla finanza ma questo intervento ha evitato che l’economia si avvolgesse su se stessa. Questo intervento keynesiano non poteva essere evitato perché una involuzione dell’economia americana sarebbe sotto ricatto del debito sovrano che si trova sostanzialmente nelle mani della Cina, che al primo sentore di default dell’economia americana avrebbe fatto definitivamente saltare l’intero sistema. L’Europa dà una risposta antitetica rispetto a quella americana: Trichet, presidente della BCE, aveva alzato i tassi di interesse, poi con Draghi si inaugura una stagione di politica monetaria espansiva e politica fiscale recessiva, mentre negli USA la politica espansiva si è verificata in entrambi i settori sia monetario che fiscale. L’Europa dunque trova e applica una ricetta bizzarra: non volendo adottare alcuna politica fiscale europea, la BCE attraverso il quantitative easing regala soldi alle banche nazionali (politica monetaria espansiva) e inizia a comprare titoli di aziende private a sua scelta (ENI è finanziata direttamente dalla BCE). Questo porta ad un peso sempre maggiore delle banche nella politica nazionale. La stagione delle politiche fiscali recessive apre le porte alle politiche dell’austerità che ancora oggi sono attive in larga parte della comunità europea.

 

Potrebbe specificare in maniera più approfondita a chi appartiene questa teoria economica che la UE ha adottato per rispondere alla crisi?

Giavazzi, Jappelli e Pagano, i cosiddetti Bocconi Boys, hanno elaborato la teoria “Degli effetti keynesiani di politiche economiche non keynesiane”, ovvero “effetti espansivi di politiche recessive”; ebbene queste teorie non hanno traccia nella realtà: secondo il falsificazionismo alla Popper e Kuhn una teoria sociale sconfessata nella realtà va rivista o abbandonata, ma nell’epoca del neoliberismo come razionalità assoluta del mondo non bastano i dati reali per sconfessare la teoria, dunque le politiche di austerità vengono comunque applicate per difendere l’ideologia neoliberista. L’idea di fondo delle politiche dell’austerità è far riprendere l’economia senza la figura improduttiva dello Stato e senza la presenza dello Stato nell’economia e nelle competenze economiche. Il potenziamento delle banche viene deciso attraverso il quantitative easing e poi le medesime strutture di salvataggio decidono cosa fare nel futuro degli stati salvati. Nel futuro di questi stati salvati dalla politica monetaria espansiva ci dovrà essere un sempre ridotto intervento statale attraverso un contenimento dell’azione economica e di investimento grazie a misure che vanno oltre il parametro del 3% di Maastricht, arrivando a imporre il pareggio di bilancio nelle costituzioni dei singoli stati (Fiscal Compact). In Italia, l’introduzione del fiscal compact è dovuta al governo Monti, e votata da tutte le maggiori forze di maggioranza e opposizione (tranne la Lega e alcuni parlamentari sparsi).

Nell’epoca del neoliberismo come razionalità assoluta del mondo non bastano i dati reali per sconfessare la teoria, dunque le politiche di austerità vengono comunque applicate per difendere l’ideologia neoliberista.

 

Quali sono i maggiori effetti del fiscal compact sulla nostra economia?

Il Fiscal Compact determina 3 cose:

1) Non si può fare spesa se non c’è un introito;

2) Il Disavanzo Pubblico deve essere pari a 0;

3) Ogni anno bisogna rientrare di 1/20 della quota di debito che eccede il 60% del PIL.

Per una economia come quella italiana che ha un rapporto deficil/PIL del 130%, oltre al blocco della spesa, significa dover rientrare di 50 miliardi all’anno, fino al 2040 (con leggera diminuzione ogni anno). Tutto questo porta ad una folle aritmetica del debito pubblico perché questo meccanismo del fiscal compact è come se si riferisse ad un sistema a 4 variabili indipendenti: tassazione, spesa pubblica, tassi di interessi e crescita. Nella realtà queste variabili non sono indipendenti, bensì legate tra loro: se si applica una tassazione più alta della spesa pubblica, si manifesta bassa crescita dei redditi e quindi sale il rapporto deficit/PIL, con conseguente involuzione dell’economia. Come già detto precedentemente, l’attuale politica economica ha effetti enormi sulla redistribuzione delle ricchezze (a vantaggio delle “classi” più abbienti): poiché si accresce la distanza tra i redditi da lavoro dipendente e la media nazionale. L’ideologia neoliberista sta dunque vincendo.

Se si applica una tassazione più alta della spesa pubblica, si manifesta bassa crescita dei redditi e quindi sale il rapporto deficit/PIL, con conseguente involuzione dell’economia.

 

Professore, dunque, come possono gli stati, date le variabili macroeconomiche così fissate, adempiere ai memorandum imposti dalla UE?

Date le ipoteche sulle variabili economiche, l’unica via che hanno gli stati per adempiere ai memorandum è cercare fondi nei centri di spesa che si possono controllare con certezza. Si fanno due operazioni importanti:

1) Si vincolano i centri di spesa fondamentali, come ad esempio la sanità;

2) Si impone il patto di stabilità ai comuni e alle regioni.

È chiaro in questo scenario che il primo settore da tagliare nei confronti di comuni e regioni è proprio il welfare.

Pertanto, a parità di inefficienze, il patto di stabilità degli enti locali nasce come vincolo di spesa per alimentare il plafond dello stato al fine di adempiere ai memorandum imposti dalla politica economica comunitaria.

Per adempiere ai memorandum imposti dall’Unione Europea è chiaro che il primo settore da tagliare è proprio il welfare.

 

Arriviamo in questa maniera alla situazione napoletana, potrebbe descriverci la cronistoria della genesi del debito successivo all’applicazione delle politiche dell’austerità?

Come gli altri comuni, il comune di Napoli si trova a dover fronteggiare le esigenze di gestione dei servizi e del welfare in una situazione molto complessa. Ci sono tre strade per affrontare questo scenario: la prima sarebbe stata quella di studiare la situazione e determinare i gradi di libertà possibili nell’azione del comune e qualora non ve ne fossero stati, si sarebbe dovuto, seduta stante, sancire il pre-dissesto o il dissesto finanziario. Se la tempistica fosse stata immediata, infatti, la responsabilità sarebbe stata esclusivamente di chi politicamente aveva preceduto l’amministrazione, ma una volta trascorso del tempo, nell’immaginario collettivo la responsabilità è diventata condivisa; la seconda è andare avanti seguendo i gradi di libertà a disposizione nel bilancio, ristrutturando profondamente le partecipate e non tagliare le spese sociali; la terza è il laissez-faire continuando a far maturare gli interessi sul debito.

Il Comune di Napoli ha lanciato una forte campagna politica di rivendicazione sul debito e sulla situazione critica degli enti locali nel garantire servizi e welfare ma non è seguita a questa giusta e seria iniziativa di carattere politico alcuna manovra di risanamento strutturale delle incapacità e delle inefficienze locali soprattutto sulle partecipate. Pertanto da un punto di vista economico la strada scelta dal Comune di Napoli è la terza.

C’è stata una straordinaria occasione perduta quando non si è scelto di seguire la prima opzione; bisognava però non dichiarare dissesto in maniera solitaria soltanto come Comune di Napoli, ma andava fatta una operazione congiunta di dissesto tra tutte le grandi città che allora, come ora, hanno problemi finanziari molto seri. Il ministro dell’economia di fronte ad una situazione del genere avrebbe sicuramente modificato le posizioni prese.

Per seguire la seconda strada c’era bisogno di manager parecchio esperti nel settore partecipate per non dilazionare nel tempo una situazione ormai in cancrena. Bisognava dunque, anche volendo continuare, immediatamente ristrutturare le partecipate e le situazioni che tendono a peggiorare nel tempo come la questione dei derivati, scaturita dall’Assessore Cardillo che ha firmato contratti derivati per avere liquidità immediata e lasciare una problema di difficile soluzione anni dopo. Attualmente quindi la situazione è la seguente: dal 2021 al 2035 il comune di Napoli dovrà dare 255 milioni all’anno per risanare l’attuale debito.

 

Data l’attuale situazione dovuta a scelte precise dell’amministrazione negli ultimi anni quali sono secondo lei gli scenari possibili per uscire dalla attuale morsa del debito?

Innanzitutto va posta una questione seria di trasparenza sui derivati. Negli ultimi 15 anni abbiamo assistito ad una progressiva finanziarizzazione degli Enti locali e alla introduzione di enormi manovre cosmetiche a carico dei bilanci locali attraverso gli strumenti derivati. Sui derivati esiste una questione di segreto di stato. Questo è un punto centrale: bisogna capire a livello locale (ma anche nazionale) se questi possono essere chiusi, a che costi e con quali scenari economici, oppure quali di questi possono essere soggetti a default selettivo; ovvero verso quali di questi contratti ci si può ritenere insolventi senza dover adottare la politica di un default complessivo del comune di Napoli. Chiaramente questa strategia ha dei problemi immediati, ovvero che le maggiori agenzie di rating il giorno dopo dichiarerebbero spazzatura il rating del comune di Napoli. Ma questa operazione sui derivati e sul debito in generale non è di natura esclusivamente tecnica, bensì politica, infatti la seconda parte della strategia dovrebbe essere un cambio di interlocuzione dalle banche creditrici allo stato; il Comune dovrebbe trattare direttamente la questione del debito con Cassa Depositi e Prestiti. La CDP è una struttura molto più potente delle banche private, è una vera e propria IRI, il motore attuale della economia italiana, si finanzia chi si vuole e si salva chi si vuole. Attualmente più di Padoan conta l’Amministratore Delegato di Cassa Depositi e Prestiti.

 

Professore, come accennava prima, esiste anche un grande problema sulla questione delle partecipate. Potrebbe darci una sua versione sulla attuale situazione ANM?

Anche sull’ANM (Azienda Napoletana Mobilità) per anni la strategia è stata il laissez-faire, nel senso che la situazione già disastrosa nel 2011 è stata rimandata attraverso avvicendamenti al vertice senza effetto che hanno poi prodotto uno scontato peggioramento economico. Esistono delle inefficienze in ANM ed esiste il problema della mancanza di introiti dovuti all’evasione del pagamento del titolo di viaggio ma manca anche e soprattutto la scelta di manager di valenza nazionale per risolvere la questione senza dover necessariamente passare esclusivamente per accordi sindacali e per il taglio di servizi e personale. Allargando lo sguardo oltre la competenza strettamente comunale, c’è anche la questione relativa alla redditività delle linee che nessuno affronta, parlando più spesso di inefficienze della linea quando invece è riconosciuto a livello internazionale che la linea orografica della cumana è praticamente perfetta. La via dei tagli al personale non è assolutamente l’unico tema da porre per il risanamento.

Sull’ANM la via dei tagli al personale non è assolutamente l’unico tema da porre per il risanamento.

 

Siamo dunque arrivati al cuore del tema dell’intervista: quale è secondo lei la parte di responsabilità politica dell’amministrazione alla situazione attuale delle economie del Comune di Napoli e quale è la parte del contesto politico economico in cui questa amministrazione opera?

Le responsabilità evidenti e pesanti del contesto le abbiamo già precedentemente descritte. Non tanto esiste una quota politica di responsabilità per questa giunta, perché dal punto di vista della rivendicazione e della costruzione del punto politico l’azione dell’amministrazione è stata giusta. Esiste però una quota importante di responsabilità amministrativa per questa giunta, perché la via scelta del laissez-faire ha continuato a lasciare ai posteri la maggior parte del problema. La questione delle partecipate dal 2021 diventerà esplosiva e questa strategia del rimandare sarà ancora più pesante da recepire come eredità. Esiste, dunque, ad ora anche una necessità immediata di chiarire la situazione debitoria delle partecipate. Posso sintetizzare in questo modo la mia posizione sul tema volendo essere stringato ma efficace: in questa amministrazione è presente una cesura enorme tra la volontà politica e l’intraprendenza tecnica nel contesto drammatico delle politiche dell’austerità europea ma con una incapacità di analizzare i gradi di libertà del bilancio del Comune di Napoli. Di fatto, non affrontando il problema lo si sta affrontando negativamente.

 

Intervista a cura di Massa Critica, NDO Napoli Direzione Opposta e Attac Italia

Apparsa sul sito massacriticanapoli