OPINIONI

Ddl Zan, un ceto politico fuori dalla realtà

Il rischio che il disegno legge contro l’omolesbobitransfobia venga definitivamente affossato si fa sempre più concreto, per via di partiti e rappresentanti politici che vivono ormai in un mondo tutto loro

Diciamolo pure: dei contenuti della legge Zan alle forze politiche italiane favorevoli e contrarie non gliene importa quasi nulla. L’articolato del ddl approvato alla Camera e in bilico al Senato è aggrovigliato e ridondante per sovrapposizione di emendamenti e compromessi sulla prima stesura, d’altra parte – a questo punto, cioè al punto in cui siamo arrivati dopo una lunga stagione di ostruzionismo parlamentare istigato dalla Lega e tollerato dalla Presidente del Senato Casellati – ulteriori emendamenti non sono possibili per una ragione procedurale e per una di sostanza. Infatti (e sarebbe sufficiente) ogni variazione del testo lo costringerebbe a tornare alla Camera in terza lettura e quindi lo esporrebbe a ulteriore ostruzionismo e a quasi certa impossibilità di approvazione in una legislatura agli sgoccioli e già intasata dai molteplici adempimenti imposti dalla Finanziaria e dalle “riforme” programmate nel Recovery Plan.


Ci sta però anche una ragione tecnicamente secondaria ma politicamente primaria: gli emendamenti, volti pretestuosamente a ridurre il carattere “divisivo” del provvedimento e a garantirgli una più larga maggioranza, consistono nella cancellazione di tutte le occorrenze di «identità di genere» (art. 1 e poi a cascata in tutti gli altri che aggiornano l’esistente normativa anti-discriminazioni).

Cioè, in pratica, nel cancellare la ragion d’essere del provvedimento, la sua “divisività”, lasciando soltanto una serie di aggravanti penali e carcerarie che costituiscono la parte opaca della battaglia anti-omobitransfobica.


Insomma, i “pontieri” alla Renzi intendono svuotare la legge per poi consegnarla alla decadenza per mancanza di tempo in terza lettura. Loro ce l’hanno messa tutta e la colpa del sabotaggio sarebbe di altri. Se poi il Pd insiste per il voto immediato senza ulteriore trattativa, sarà colpa sua se al primo emendamento a voto segreto – una volta scremate varie migliaia di emendamenti già pronti – la legge cadrà. Essendo il voto segreto il peso dei 17 senatori di IV scomparirà nel mucchio dei franchi tiratori di tutti gli schieramenti, in primo luogo della quinta colonna di Italia Viva dentro il gruppo senatoriale Pd. Per non parlare del M5S, che è in un tale caos che gli si può attribuire la qualunque.

(da commons.wikimedia.org)

Salvini aveva già bloccato di fatto l’approvazione del disegno di legge al Senato, Renzi ci ha costruito sopra un dilemma del diavolo per Letta: o mangia la minestra di un compromesso imposto facendo una figura di m…, senza neppure la garanzia di portare a casa la legge scempiata, o salta dalla finestra della caduta della legge, dimostrandosi un estremista capace solo di fare scaramucce di bandiera senza realizzare niente del suo programma.

Salvini sarà riconoscente perché qualcuno, meno sospettabile di lui di omobitransfobia, gli ha tolto le castagne dal fuoco e si apre una rigogliosa prateria per la trattativa per un candidato “moderato” all’imminente voto sul nuovo Presidente della Repubblica, con una maggioranza destre-transfughi assortiti-IV. Renzi, che aveva organizzato i famosi 101 franchi tiratori sulla candidatura Prodi nel 2013, è il killer ideale – la scuola Bin Salman non può che avergli giovato.


Ma torniamo alla nostra ipotesi iniziale. Dei contenuti della legge, a quelle raffinatissime menti (ivi compreso Letta che di volta in volta rilancia legge Zan e Ius soli, mai troppo implementati quando c’era una maggioranza giallo-rossa, per conferire identità di genere al Pd) gliene importa qualcosa?

O è tutto un gioco in cui entrambe le parti dànno per scontata la morte della legge e cercano di addossarsene reciprocamente la responsabilità, traendone frutti elettorali o per ritagliarsi un potere di ricatto? Con l’unica differenza che Salvini e Meloni sono apertamente omofobi e fanno ridere quando si fanno sponsor delle obiezioni di Arcilesbica o di Se non ora quando al dettato della legge Zan, mentre Letta non ha proprio nulla contro il mondo LGBT+, ma è piuttosto recente scopritore dell’identità di genere e della fluidità, e infine Renzi è perfettamente indifferente al merito della questione e bada soltanto a dove può far più danno con i suoi 17 voti e gli alleati occulti infiltrati.


Comunque Letta fa benissimo a rifiutare il compromesso e rischiare piuttosto la sconfitta secca: sa che la legge Zan è sul binario morto e che in certi casi la soluzione peggiore è rifiutare la battaglia illudendosi in un armistizio e legittimando il bandito che si è offerto come mediatore. Quindi ha ragione sul piano della tattica, non perché stia conducendo una battaglia di sinistra contro il nemico di classe, i negatori dei diritti umani e i traditori prezzolati. Ma cosa succede dopo quella mossa tattica?

Una volta smascherato l’inganno renziano e quanto sono cattivi e sessualmente retrogradi quelli di destra, occorrerebbe avere un’idea strategica, rilanciare la battaglia sui diritti civili e sul genere e magari anche su altri terreni sociali. Di questo non c’è neppure l’ombra – e dunque tutta questa storia è in complesso un disastro, l’ennesimo fallimento della sinistra.


Siamo ancora più precisi: è un fallimento dell’intera classe politica e di una generazione che con i problemi dei diritti e delle identità (a differenza del ceto politico di altri paesi, -Europa e Usa) è assolutamente incompatibile.

Vive in un mondo diverso da quello dei ragazzi per cui la fluidità di genere – come la precarietà del lavoro e la flessibilità identitaria – sono esperienza corrente su cui si costruiscono idee e pratiche diverse, ma con cui sono familiari quanto l’uso dello smartphone e delle app. È inutile provare a farglielo entrare in testa a quelli, a quella generazione politica che sta ancora a lucrare voti su gay, migranti e decoro urbano o ad aggrapparsi a qualsiasi formula di governo purché sia tale (Monti, Gentiloni, Draghi), come se la politica finisse lì, nelle trattorie intorno a Montecitorio e al Nazareno, negli apparati amministrativi dal Mes alle Asl alle partecipate. Mica stiamo parlando di rivoluzione (per ora, mai dire mai), ci accontenteremmo di Biden, Sánchez, Lula, Merkel… vabbè, pure AOC e Podemos, BLM manco ce lo sogniamo.

(foto di Dinamopress)


Ben venga se, archiviata una legge con tanto di intervento concordatario, la battaglia sul genere ritornasse nella società civile – naturalmente senza escludere una riproposizione legislativa o vertenze giurisdizionali – e così si facesse valere il consenso maggioritario del Paese a un cambiamento del costume, come del resto avvenne per altre battaglie sui diritti civili.

E sarebbe meglio che anche i contrasti esistenti in merito ai contenuti e alle formulazioni della legge Zan nella sinistra e all’interno del movimento femminista non si compromettessero con la bassa strumentalizzazione della battaglia da parte di frazioni contrapposte di un ceto politico nel suo complesso sordo tanto ai diritti civili quanto alla condizione del proletariato precario, al genere come al reddito di base.


Non diciamo che avversari e sostenitori del voto subito sulla legge Zan siano la stessa cosa (alcuni fanno più schifo degli altri), ma questa vicenda, oltre che (temiamo) conclusa sta fuori della realtà, va ritessuta da capo.

Immagine di copertina di Vittorio Giannittelli