cult

CULT

“Culture eXtreme”, vent’anni dopo l’anomalia Mutazioni giovanili tra i corpi della metropoli

Torna in libreria, con una nuova edizione, l’opera etnografica di Massimo Canevacci, “Culture extreme” (DeriveApprodi 2021) dedicata al rapporto tra corpo giovanile e mondo urbano a cavallo tra gli anni ’80 e ’90

Si ripresenta sugli scaffali vent’anni dopo la sua edizione originale Culture eXtreme: Mutazioni giovanili tra i corpi della metropoli, saggio edito DeriveApprodi,  scritto da Massimo Canevacci, etnografo e docente universitario di  Antropologia Culturale. Un libro che si ripropone in un momento adatto,  di crisi di tutto ciò che riguarda la vita dei giovani metropolitani, praticamente negata dal fenomeno pandemico. Ed è anche un momento adatto per questioni editoriali, con alcune tematiche (accelerazioniste e cyberpunk) sapientemente trattate dall’autore già vent’anni fa e passa. L’autore e l’editore nella nuova prefazione raccontano dell’impresa che fu del saggio, voler raccontare «il passaggio della città industriale verso la metropoli comunicazionale, segnata da soggettività mutanti, culture digitali, movimenti tra asfalto lacerato e social purificato, migrazione diasporiche».  

Negli anni ’90  Canevacci individua l’anomalia storica: il movimento contro-culturale, dopo l’apoteosi sessantottina, è in fase di mutazione. Negli anni ‘70 la controcultura nasce in opposizione alle ortodossie marxiste e all’intellettualismo borghese, in ogni caso, una dimensione di opposizione a tutto ciò che era cultura dominante. Ma nel corso di vent’anni la dicotomia tra cultura egemonica e quelle subalterne si esaurisce, regalando alla fine degli anni ‘80 masse giovanili «disinteressate a contrastare i fantasmi sopravvissuti alla catastrofe».

«Non esiste più una controcultura perché è morta la politica come utopia che trasforma il mondo impegnando il futuro prossimo». Sì passa quindi dalla Generazione X, dove l’X sta a rappresentare una generazione d’incerti e di incertezze a una cultura giovanile eXtreme, eXtraterrestre, radicale, internettiana: una x che rimanda alla pornografia e all’illegalità, alle esperienze al limite dell’ecstasy, sostanza del regno dei cieli in terra, il rave. 

I corpi dei giovani metropolitani vivono in un mondo che William Gibson rappresenta con parole ri-appropriate: lo sprawl (Neuromante, 1984) non più la città diffusa del ventesimo secolo, ma conglomerato spazio-tempo nel quale le subculture vivono a un livello comunicativo ipertrofico che le fa rigenerare in poche settimane.

Secondo Canevacci il gioco a tre tra culture giovanili metropolitane, media e consumo è qualcosa che affonda le radici nell’America degli anni ‘20: già The Jazz Singer, un film del ‘27, racconta una dinamica di democrazia visuale, nella quale lo spettatore (cinematografico) «è sollecitato a identificarsi col figlio innovatore e contro il padre autoritario». Nella metropoli entra in gioco il mediascape, un asse panoramico  fatto di sogni, una fonte di desiderio notturno e immaginato. Domanda più complessa di quanto sembri, Canevacci si chiede cosa significhi essere giovani. O almeno quando non lo si è più: «il lavoro come lavoro salariato si presenta da subito come una cesura netta dalla quale non si torna indietro». Il posto fisso, che sia nel privato come nel pubblico, in ufficio come in industria. Il giovane poi è «tale perché consuma», protagonista assoluto della società dei consumi. La merce si moltiplica, filtra ovunque, nel mondo dello spettacolo si fa merce visuale. Nel mentre il caos avanza, pronosticato prima da film come Rebels Without a Cause (Gioventù Bruciata), poi dichiarato nell’anarchismo del rock. 

In Italia lo scollamento tra gioventù e politica (rappresentanza partitica) si interrompe dopo l’omicidio di Aldo Moro nel ‘78. I giovani che si allontanano dalla politica istituzionale riempiranno la metropoli: saranno l’alternativa allo yuppismo degli anni ’80, affermando «un processo creativamente disgregatore».

Canevacci scrive in un periodo storico in cui la morte del lavoro e del corpo naturale è un presagio, ma ha l’intelligenza di valorizzarla in un contesto di incompletezza definizione del periodo della giovinezza. 

La metropoli dei giovani dei primi anni ’90 sembra anticipare la fine del lavoro (precariato) e la fine del corpo (ben arrivati cyborg), il mondo è come lo sprawl del cyberspazio, dove è indifferente definirsi qualcosa ma dove si è entity, «post-concetto in cui diventa quasi impossibile classificare». Liberate da ogni dualismo, le entità sdoganano il nomadismo (anche) del corpo, scoprono Donna Haraway e la possibilità di una rivoluzione xenofemminista (sembra strano a dirlo, ma fu una scoperta in Italia fatta molti anni prima di oggi).

Inutile dire che l’autore del saggio si sia interessato (obbligatorio, per i temi trattati) ad Hakim Bay, figura leggendaria, pensatore delle TAZ (Zone Temporaneamente Autonome), al quale affianca il concetto di interzona in William Burroughs: «l’orlo psicogeografico – in cui è la percezione psichica di tale fluttuante cartografia che trasporta brandelli di vissuto tra zone diverse». Infine c’è l’inevitabile Ballard (Crash, 1973), perché nomadismo metropolitano è mobilità, una mutazione che ha come punti nevralgici i ponti e i cavalcavia, «le autostrade dalle forme sessuate preistoriche e futuribili».

Affascinato dal concetto del codice a barre, emanatore di valori feticisti, scrive che «Le merci – le nuove merci-visuali – si avvicinano in modo perturbante e animato ai mondi organici. […] Il codice a barre è una sorta di madre seriale e alterata […] una discendenza artificiale e computerizzata delle merci né matrilineare nè patrilineare, bensì matrix-lineare. […] Il feticismo immateriale si fa spettro comunicativo dentro cui entrare techno-ludicamente per spiazzare ogni forma di controllo linguistico e informazione».

Nella scrittura poeticamente delirante di Canevacci  si coglie la capacità di prevedere la migrazione digitale di massa che sarebbe avvenuta qualche anno dopo, ma non si stabilizza (o almeno non succede più, oggi, 2021) quello “slittamento dei codici” e quella “soggettività anonima” del corpo merce-tatuato. 

Quello che purtroppo avviene è che il capitale muta forma, si adatta, «sii come l’acqua», per citare Bruce Lee, riorganizza la propria struttura: è un corpo adattivo come quello del T-1000 in Terminator 2. Una mutazione del capitale che in quel momento Canevacci non può sapere, così come non può sapere che quella feticizzazione del codice a barre si sarebbe trasformato in un cookie per le offerte personalizzate vent’anni dopo. Nei flussi comunicativi anonimi penetrerà il capitale mutato, con annessa l’ennesima vittoria del neo-liberismo, perseguitati dall’algoritmo che prevede, vede e provvede i nostri acquisti: destinati a essere merce inconsapevole.

Canevacci ha la bellissima idea di voler chiarire una volta per tutte chi siano questi giovani extremi, un dossier di band, personaggi, riviste perdute nel tempo. Ci sono le Fuckin Barbies, band di punk femministe, viste «durante questa festa, al Forte Prenestino, suonano per una nuova rivista – “Torazine”, che si svolge al limite e contro i limiti»; la rivista cyber-femminista “Fika Futura”; parla degli Autocostruttori di Bologna, che raccoglievano oggetti per riassemblarli secondo un ordine di estetizzazione dello scarto. Gli Autocostruttori nascevano sulla scia della Mutoid Waste Company, gruppo di artisti che ha creato nei dintorni di Santarcangelo una comunità ancora attiva. Chi ha frequentato (l’ei fu) XM24, storico centro sociale di Bologna, sa di cosa si sta parlando; Canevacci scrive delle feste alla Facoltà di Sociologia occupata, dei party Trash di Toretta-style. La musica trash e il cut-up, le danze e le droghe, come innovazioni incomprensibili, nelle quali «si frammentava il potere musical-sonoro dei media e lo si ri-componeva a piacimento»; la già citata rivista “Torazine”, fondata nel ‘96 e durata fino al 2001, fatta di «escursioni pop-citazioniste su esoterismi, cannibalismi, alchimismi, tantrismi misterici, numerologie», alfiera dell’avant-pop delle riviste italiane; ci sono i racconti dei rave, il paradiso che avviene nelle antiche cattedrali del fordismo, tra industrie abbandonate e altri relitti del passato; i Luther Blissett, della leggendaria storia della festa sul bus notturno ed il processo presso il tribunale di Roma a un collettivo che aveva il nome di un mediocre calciatore inglese; poi il  centro sociale Link, bolognese, «una specificità chiara: unire le sperimentazioni e le nuove tecnologie»; la Pirateria di Porta a Roma e altri luoghi vengono attraversati, sempre in prima persona, da Canevacci. Il quale nella nuova edizione compie un cambio sulla terza parte del libro, nella versione originale intitolata “Concetti liquidi” ora “Concetti Anonimi”: dall’euforia della società liquida di Bauman Canevacci ha alla fine maturato una criticità sulla stessa teoria che preferisce, in un gioco di parole. Ne esce fuori un dizionario di termini chiave: aporia (post-coloniale e ispirata al Can the Subaltern Speak? di Gayatri Spivak, diaspora, e-space, nonorder, anomia, mediascape, amnesia: «sette concetti sterminati che scorrono su territori diversi. I primi tre ripensano le definizioni stabili legate al trio logica-legge-memoria; gli ultimi tre esplorano dimensioni material/immateriali connesse a traslochi, confini, spazi». 

Mutazioni giovanili è stato scritto prima del 2001, quindi prima del G8 di Genova. Anno in cui si intravede l’inizio della crisi dei movimenti no-global, dell’attentato delle Torri Gemelle e a poca distanza della grande crisi finanziaria di liquidità. Tutto quello che viene dopo le culture extreme ‘80-’90 sembra crepuscolare se paragonato alle vibrazioni delle telluriche esistenze degli anni descritti da Canevacci. Oggi, dell’universo cyberpunk ci sembrano vittoriose le istanze distopiche, con i monopoli di Amazon e Facebook che sembrano ereditare lo spirito delle (mega)corporation del genere.

Ci rimane, comunque, un diario etnografico prezioso: «fu un tipo di ricerca atipica, basata su un coinvolgimento spontaneo attraverso i miei studenti nelle pratiche irregolari che si accesero in quegli anni: in particolare rave, stili musicali e corporali, invenzioni estetiche, la nascente cultura digitale, il vagare psico-geografico tra interstizi metropolitani, la ricerca di aree ex-industriali per trasformare i luoghi di lavoro in zone per feste illegali, modifiche delle relazioni spazio-temporali, sessuali e quindi politiche, l’uso di sostanze alteranti».

 

*L’immagine raffigura un’installazione dei Mutoid Waste Company ed è in cc