EUROPA

Conlutas: «Ucraina, sosteniamo la resistenza della classe operaia»

Una rete internazionale di sindacati lancia una carovana di sostengo a lavoratori e lavoratrici in lotta contro l’aggressione di Putin. «La storia insegna che è possibile battere l’imperialismo»

Dalle parole di condanna alla solidarietà concreta: la rete internazionale dei sindacati composta da Conlutas (Brasile), Cgt (Spagna) e Solidaire (Francia) lancerà la prossima settimana una carovana di sostegno a lavoratori e lavoratrici che stanno lottando nel contesto di guerra in Ucraina. «Difendiamo il diritto della classe operaia a combattere con le armi», ci dice in maniera molto netta il dirigente di Conlutas Herbert Claros. «Purtroppo, in questo momento, è difficile intravvedere la possibilità di negoziato e, perciò, occorre costruire un movimento internazionale di supporto alla resistenza».

Si tratta di uno spunto d’azione che sarà preceduto da discussioni e iniziative più ampie: dal 21 al 24 aprile, infatti, appena prima della partenza della carovana si svolgerà l’incontro di numerose realtà e sigle sindacali a Digione (Francia) in cui, oltre alla situazione bellica, verranno approfondite le tematiche dei diritti del lavoro durante la pandemia, il lascito di esperienze di protesta sociale come Black Lives Matter e altre questioni. È il quarto appuntamento di questo tipo promosso dalla rete sindacale a partire dal 2013 e, ora, la prospettiva di costruzione di una solidarietà operaia a livello globale si carica di interrogativi urgenti che riguardano la recente aggressione di Putin. Con Claros, abbiamo approfondito la visione dei sindacati promotori.

Quali sono le vostre posizioni sulla guerra in Ucraina?

Fin dal primo giorno del conflitto, la nostra rete ha espresso la propria posizione in solidarietà ai lavoratori e alle lavoratrici vittime della guerra. La nostra prospettiva sull’aggressione russa è fortemente critica. Ci sono organizzazioni sindacali che addirittura appoggiano la Russia nel suo diritto di “lottare contro l’imperialismo” e anche da parte nostra è molto chiaro come l’imperialismo europeo e statunitense abbia interessi in questa guerra e non favorisca di certo la pace. Questo è ben esemplificato dal fatto che, per esempio, i salari nella zona est-europea e post-sovietica sono i peggiori in tutta Europa. Le aziende dell’ovest, le grandi multinazionali insomma, hanno tutto l’interesse a mantenere la riserva di manodopera a basso costo rappresentata dall’area geografica di cui l’Ucraina fa parte. A questo si aggiunge anche la “partita” relativa ai gasdotti e alle miniere presenti sul territorio.

Dall’altra parte, però, ci è altrettanto chiaro come il blocco di potere dell’oligarchia russa – che Putin rappresenta alla perfezione – ha grandissimi interessi nella regione. Non si tratta dunque di una “guerra difensiva” contro l’espansionismo della Nato né si tratta di una guerra nazionale per difendere la bandiera o cose del genere. Queste sono bugie per giustificare una guerra di aggressione mossa innanzitutto per interessi economici e finanziari. Ogni guerra nel contesto del capitalismo globale è mossa da questioni di questa natura. Ecco perché, in una tale situazione, solo i governi capitalisti e la borghesia possono avere interesse in una guerra. Ecco perché la nostra posizione è contro l’aggressione russa, ma allo stesso tempo vogliamo denunciare l’ipocrisia dell’imperialismo europeo e statunitense che si esprimono attraverso la Nato. Chi muore in guerra (così come è successo durante la pandemia, in un certo senso) sono i lavoratori, le persone delle classi sociali più deboli, donne, bambini e anziani. I potenti, i grandi capitalisti sono invece ben protetti nei loro bunker.

Come agire dunque?

Noi ovviamente siamo per la pace. Ma cosa vuol dire? Non siamo per la pace in maniera astratta, come dicono tutti (le stesse compagnie e multinazionali sono per la pace in questo momento). Per noi, purtroppo, una vera pace in Ucraina non si può ottenere con un negoziato, perché nelle date condizioni e negli attuali rapporti di forza un negoziato rappresenterebbe una vittoria per Putin. Anche sulla base di quanto ci dicono i nostri compagni ucraini e le nostre compagne ucraine, ci è chiaro che qualsiasi accordo o la vittoria militare di Putin significano la trasformazione dell’Ucraina in una dittatura sotto il controllo straniero. Putin è un leader di estrema destra e la Russia è di fatto una dittatura, sebbene con una patina superficiale di democrazia.

Abbiamo amici sindacalisti a Kryviy Rih (tra Dnipro e Mariupol, dove è presente un’azienda di Arcelor Mittal per cui lavorano 24mila minatori) che ci raccontano come la situazione di lavoratori e lavoratrici nella regione del Donbass è molto simile a una dittatura: da circa 10 anni è impossibile organizzarsi in sindacati o partiti indipendenti. In sostanza, una parte del territorio ucraino è già sotto una specie di dittatura per via dell’influenza esercitata su quelle zone da Putin. Ecco perché i nostri amici ci dicono che, fondamentalmente, se Putin dovesse vincere questa guerra, la situazione attuale nel Donbass diventerebbe la situazione generale in tutta l’Ucraina. Nessuna possibilità di organizzazione sindacale e nessuna libertà democratica.

Ovviamente sappiamo che la democrazia ucraina non è un modello ideale, così come le democrazie liberali non lo sono in nessuna parte del mondo. Ma questi tipi di regimi sono certamente meglio di una dittatura esplicita. Perciò pensiamo che l’unica opzione percorribile per la classe lavoratrice ucraina, nelle condizioni attuali, è quella di vincere la guerra. E per farlo, pensiamo che sia necessario sostenere e rafforzare la resistenza dei lavoratori.

Ma non rischia di essere velleitario contro un esercito così potente come quello russo?

Molti ci dicono che siamo dei folli a pensare questo. Eppure, il motivo per cui l’esercito di Putin si è ritirato da una parte del territorio ucraino è perché la resistenza si è rivelata forte e agguerrita. È molto chiaro che il popolo ucraino non ha nessuna voglia di abbandonare il proprio paese nelle mani del leader russo. D’altra parte, l’esempio del Vietnam ci dimostra come sia possibile battere l’imperialismo. Ecco perché siamo contro la guerra, contro l’aggressione russa, contro anche gli interessi dell’imperialismo occidentale ma allo stesso tempo pensiamo che sia importante rafforzare la resistenza ucraina con invio di armi, di aiuti, di cibo e materiale sanitario affinché il popolo possa vincere questo conflitto. Pensiamo inoltre che sia importante sostenere tutte le mobilitazioni di protesta contro l’aggressione che avvengono in Russia, in Bielorussia e in ogni parte del mondo per mettere pressione a Putin.

Appoggiare la resistenza significa di fatto appoggiare lo stato ucraino, che generalmente non porta avanti gli interessi della classe lavoratrice, e addirittura appoggiare gruppi di estrema destra…

In una situazione di conflitto unilaterale e di aggressione che dobbiamo affrontare, l’unità della classe operaia è necessaria. Penso che una guerra sia un momento in cui c’è bisogno di combattere insieme ad altri gruppi, anche se ci sono divisioni politiche molto profonde con loro. Se il tuo paese è sotto l’occupazione di una forza straniera, la classe operaia deve unirsi alla resistenza, ma senza fidarsi ciecamente del governo, poiché ogni governo capitalista ha odio di classe. E una cosa è difendere il proprio territorio e la propria sovranità, un’altra è difendere un governo o gruppi di destra. Devi combattere contro l’occupazione e anche usare le armi in mano per difendere i tuoi diritti come classe operaia.

Questo a maggior ragione nel contesto attuale: a fine marzo, il governo ucraino (in piena guerra!) ha approvato una legge fortemente lesiva dei diritti di lavoratori e lavoratrici. Si tratta chiaramente di un gesto inaccettabile e assurdo, se pensiamo che una buona parte di persone che stanno resistendo all’invasione russa sono membri della classe lavoratrice e stanno dunque difendendo indirettamente quello stesso governo che approva leggi contrarie ai propri interessi. Nel mentre che si combatte, è dunque necessario mostrare e denunciare queste contraddizioni. Non è che perché siamo impegnati nella stessa lotta, allora i contrasti interni scompaiano. Ed è proprio per questo motivo che difendiamo il diritto di lavoratori e lavoratrici a imbracciare le armi: perché in questo modo stanno lottando contro l’invasore e allo stesso tempo possono lottare per i propri diritti in seno alla società di cui fanno parte.

Pensiamo alla seconda guerra mondiale in Francia: fu dopo la vittoria contro l’occupante nazista e dopo la riconsegna delle armi da parte dei lavoratori al governo che quest’ultimo aumentò la repressione verso la classe operaia. Anche durante la guerra delle Malvinas, alcuni membri della classe lavoratrice chiesero le armi addirittura allo stato argentino, che a quel tempo era una feroce dittatura, per resistere all’invasione e avere così pure maggiore voce in capitolo nei processi interni. Oppure ti faccio un esempio nel presente: quando Zelensky ha approvato la legge che menzionavo prima, è successo in realtà che imprese e compagnie multinazionali si sono rivelate molto restie a metterla in pratica proprio perché hanno paura della forza di lavoratori e lavoratrici che in questo momento sono armati.

Come ci si può muovere allora dal punto di vista internazionale? Credi sia possibile una sorta di “alleanza trasversale” fra classe operaia dell’Ucraina e quelle di Russia e Bielorussia?

Ci sono molti modi di sostenere la resistenza di lavoratori e lavoratrici in Ucraina. Una di queste è creare delle carovane di solidarietà, nonostante sia molto difficile inviare materiale nel paese sotto attacco. A ogni modo, è quanto proveremo a fare noi dopo l’incontro di Digione per consegnare i nostri aiuti a rappresentanti del sindacato dei minatori di Kryviy Rih con cui siamo in contatto. Dall’altra parte ci sono altri esempi di partecipazione internazionale alla lotta e alla resistenza, come il boicottaggio messo in atto dai sindacati statunitensi e inglesi dei Dockworkers.

Abbiamo anche vari contatti in Bielorussia, che si sono creati a partire dalle proteste del 2020, i quali ci confermano come la maggioranza di lavoratori e lavoratrici che stanno sotto il regime di Lukashenko sono contrari alla guerra. Esiste dunque già una forma di solidarietà fra classe operaia ucraina e bielorussa e credo sia di massima importanza provare a creare legami e alleanze in questo senso. Dall’altra parte, la situazione sembra un po’ diversa per quanto riguarda la Russia: lì chiaramente il governo esercita un controllo sui sindacati che, in linea di massima, appoggiano l’”operazione speciale”. In definitiva, allora, la nostra posizione è la seguente: provare a costruire un’alleanza trasversale e un fronte unito con le sigle sindacali di ogni paese che si oppongono alla guerra e, allo stesso tempo, porre pressione affinché quelle realtà sindacali che invece sono ancora “vacillanti” prendano una posizione fermamente contraria all’invasione.

Immagine di copertina da commons.wikimedia.org