EUROPA

Confini senza Europa

Riflessioni verso un primo marzo di mobilitazioni europee. Leggi anche Note sullo spazio europeo dei movimenti. Lo spazio europeo rischia di essere ridefinito in senso regressivo da retoriche razziste ed escludenti. Ribaltiamo il piano. Non arrendiamoci al presente.

Intorno alle politiche migratorie dei paesi europei si stanno determinando delle accelerazioni foriere di conseguenze nefaste. Per tutti. Quella che viene definita nel discorso mediatico “crisi dei rifugiati”, infatti, sta contribuendo a ridefinire in senso regressivo lo spazio europeo e i territori che lo circondano. E le responsabilità non sono certo dei rifugiati.

Da un punto di vista geopolitico, la rotta migratoria orientale ha conferito un’enorme importanza strategica alla Turchia di Erdogan. L’Unione Europea sembra impotente di fronte al ricatto del presidente turco. La strategia, a trazione tedesca, di puntare tutto sull’accordo per trasformare il paese nel tappo che dovrebbe impedire ai rifugiati di proseguire il viaggio verso l’Europa del Nord ha accresciuto esponenzialmente il potere negoziale di Erdogan. Che è passato all’incasso.

All’interno del paese conduce da oltre due mesi un’offensiva militare contro la popolazione curda. Più che di guerra bisogna parlare di pulizia etnica e di strage continua, perché in guerra ci sono due eserciti che si affrontano. Qui c’è il secondo esercito della NATO che attacca una popolazione civile con l’artiglieria pesante, bombardando case, imponendo coprifuoco a città intere per lunghe settimane, uccidendo ogni giorno bambini, donne, anziani e uomini, costringendo migliaia di persone a lasciare la propria casa e la propria terra. E tutto questo avviene in diretta, con le foto dei morti che circolano in tempo reale su twitter, e in un paese che fa parte del Consiglio d’Europa, che vorrebbe entrare nell’Unione, che dovrebbe essere vincolato al rispetto dei diritti umani dai trattati internazionali che ha firmato. E invece niente. I governi europei rimangono in silenzio davanti ai crimini contro l’umanità dell’alleato turco.

Situazione simile in Siria. Qui, dopo aver sostenuto e finanziato lo Stato Islamico, il governo turco si comporta in modo sempre più spregiudicato, contribuendo a minare qualsiasi possibilità di un effettivo processo di pace (comunque complicatissimo). Mentre continua a minacciare (o preparare?) un’invasione via terra, ha messo il veto sulla partecipazione dei curdi alle trattative di Ginevra. In altre parole: la componente politico-militare che ha respinto l’ISIS, l’unica che è riuscita a pacificare la parte del paese sotto il suo controllo, non è stata invitata al tavolo che dovrebbe discutere come uscire dal conflitto siriano perché Erdogan non lo ha voluto. Anche in questo caso nessuno dei governi europei ha opposto alcuna obiezione. Eppure, senza risolvere la crisi siriana è chiaro che nessun tappo potrà fermare la fuga di centinaia di migliaia di persone, costrette dalla guerra ad abbandonare tutto. La situazione, inoltre, sta rapidamente peggiorando a causa dei bombardamenti russi, soprattutto quelli sulla città di Aleppo, assediata dalle truppe del regime. Interi villaggi e quartieri si sono messi in marcia negli ultimi giorni per raggiungere la Turchia, che nel frattempo ha chiuso la frontiera. Del resto, è ovvio che anche Putin utilizza politicamente i flussi migratori e punta a farli crescere per destabilizzare ulteriormente lo stato dell’Unione. Infatti, per un verso l’opposizione a Merkel nella campagna elettorale tedesca si giocherà sul tema dell’accoglienza dei siriani, per un altro le forze dell’estrema destra, finanziate lautamente dal presidente russo nell’ottica di una disgregazione del progetto europeo, continuano a crescere speculando sui rifugiati.

E ci sono almeno altri due aspetti della questione che bisogna necessariamente considerare. Il primo è che le recenti decisioni di alcuni paesi europei e l’incapacità complessiva di affrontare il fenomeno delle migrazioni in un’ottica di medio-lungo periodo stanno affossando definitivamente il patto sociale su cui si reggeva l’Unione Europea. Mentre cinque anni di crisi e di misure neoliberali di austerity hanno distrutto i residui diritti sociali e lavorativi, adesso è la volta dei diritti civili e, perfino, di quelli proprietari. L’attacco riguarda insomma gli elementi basilari che hanno plasmato i sistemi politici e giuridici europei venuti fuori dalla seconda guerra mondiale. Le persone che annegano nel Mediterraneo o quelle che muoiono congelate lungo la rotta balcanica senza incidere minimamente nel dibattito politico continentale, o tanto meno nel sentire comune, denunciano una mutazione sociale e culturale già avanzatissima. Le leggi che prescrivono la requisizione dei beni personali in base alla razza o al nome del paese inciso sul passaporto alludono a un passato che si affaccia dietro l’angolo. Quello che sta accadendo in questi mesi, e nello specifico dopo la grande ondata di solidarietà verso i siriani che ha attraversato e unito l’Europa e i territori circostanti durante la scorsa estate, sta producendo precedenti pericolosissimi in ambiti diversi. E sono nodi che verranno al pettine molto presto.

Per ultimo, non tutte le sparate dei leader europei si trasformano in leggi. Non tutte le dichiarazioni altisonanti si concretizzano in nuove norme. Tutte, però, nessuna esclusa, agiscono in maniera performativa sul piano simbolico. Fissando dei punti di non ritorno. Quando vengono annunciati treni per deportare decine di migliaia di persone in paesi che vivono situazioni di guerra significa che i fantasmi degli anni più bui del secolo scorso, che per lungo tempo hanno segnato il punto di limite del dibattito, sono svaniti. Con il rischio che tornino a permeare pratiche sociali, norme giuridiche, scelte politiche. Nelle ultime settimane, in Germania si sono moltiplicati gli attacchi neonazisti contro i rifugiati. Bombe nei centri di accoglienza, aggressioni, accoltellamenti sono diventati pane quotidiano per il paese che ha costruito il proprio ordinamento politico e culturale sul rifiuto del nazismo. E lo stesso avviene in altri paesi europei: sul tema dell’immigrazione si sono sdoganate numerose componenti neofasciste, con tutti gli effetti che questo comporta.

I flussi di rifugiati che cercano riparo in Europa dovrebbero imporre una trasformazione complessiva delle politiche di accoglienza e delle relazioni internazionali rispetto ai regimi che circondano il territorio europeo, nella direzione di garantire maggiori diritti e sostenere ovunque le forze che lottano per la democrazia. Invece, ciò che accade è esattamente il contrario. Chi è così miope da pensare che simili azioni non producano effetti decisivi anche nello spazio europeo, dovrebbe iniziare a preoccuparsi seriamente di quello che forse costituisce il motivo ultimo del cammino verso l’unione mancata: la garanzia di uno spazio di pace. Elemento garantito fino ad oggi dell’Unione Unione, ma certamente non dato per sempre e a priori. Oggi la guerra circonda quello spazio da più lati, da sud a est. Muri di filo spinato frastagliano Schengen, l’area di libera circolazione. Forze politiche minacciose impongono un ordine del discorso che puzza già di morte e devastazione.

Di fronte a tutto questo, è quanto mai necessario rivendicare un’Europa senza confini, contro il progetto di confini senza Europa che i governi sembrano perseguire. Il Primo marzo avranno luogo mobilitazioni su scala europea per rivendicare uno spazio libero di movimento, svincolato da frontiere, luoghi di contenimento, detenzione amministrativa e selezione. Animeremo le piazze di numerose città, nominando i luoghi dello sfruttamento e della precarizzazione del lavoro migrante e nativo, che producono forme gerarchizzate di cittadinanza e di accesso al già eroso welfare universale. Non cadiamo nella trappola delle retoriche emergenziali e securitarie, che, oltre a costruire politiche criminali lesive delle libertà individuali, ci vorrebbero chiusi in un fortino identitario costruito su narrazioni e pratiche razziste ed escludenti. Attraverseremo con determinazione questa data, perché il diritto a partire e restare, ad essere accolti degnamente e a scegliere la propria traiettoria di vita, sia un diritto di tutte e tutti.

Siamo consapevoli del fatto che qualsiasi data, seppur fortemente simbolica ed importante per il significato che evoca, è di per sé insufficiente. Tuttavia crediamo anche che ogni data, in questa fase, se attraversata da questi temi, assuma un’importanza enorme per non arrendersi al presente.