editoriale

Chi specula sull’emergenza sicurezza?

Il Corsera dopo l’editoriale xenofobo di Panebianco rilancia la paura in prima pagina. Pochi numeri e tanti strepiti, peccato che i reati sono in flessione in tutti i paesi occidentali e non è merito delle politiche securitarie, lo dice l’Economist.

Il Corriere della Sera di oggi rilancia l’allarme in prima pagina, con un editoriale firmato dal vicedirettore Giangiacomo Schiavi. Il titolo ricorda un poliziottesco all’italiana “Mai così tanti furti nelle case, ma il cittadino viene lasciato solo”. “Quel che si avverte dalla Lombardia al Veneto all’Emilia è un senso di insicurezza che contraddice i bollettini ufficiali del ministero dell’Interno – argomenta preoccupatissimo Schiavi – la gente non si sente tutelata. I ladri arrivano di giorno e di notte, agiscono con tranquillità incredibile, a volte pasteggiano nella cucina di casa lasciando tracce maleodoranti del loro passaggio. Ci sono denunce di amministratori locali, lettere ai giornali, volantini e inutili appelli al governo che chiedono da mesi un segnale d’attenzione, qualche azione decisa di contrasto”.

Il pezzo contiene pochi numeri e molto sensazionalismo. Prima di agitare il feticcio della «sicurezza» e inseguire la cosiddetta «pubblica opinione», quando si parla di reati, carcere, certezza della pena e magari amnistia bisogna innanzitutto prendere atto di una tendenza per certi versi sorprendente, che ormai da qualche tempo fa discutere gli analisti: negli ultimi dieci anni nei paesi del G7 (cioè Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti) e in molti paesi ricchi il numero di rapine, omicidi e furti di automobile è sceso sensibilmente. Secondo una ricerca Eurostat, da quindici anni a questa parte il tasso di rapine è sceso del 20 per cento, quello di omicidi del 30 e quello di furti d’auto addirittura di quasi il 60 per cento.

Negli anni novanta in Inghilterra e Galles si contavano circa 500 rapine a banche ed uffici postali all’anno: in tutto il 2012 ce ne sono state solo 69. Nel 1990 solo a New York si archiviarono denunce per 147 mila furti d’auto, l’anno scorso non si arrivò ad almanaccarne diecimila. In Francia, dove pure nelle ultime settimane il Front National vola nei sondaggi cavalcando la paura generata da alcune rapine, i reati contro la proprietà sono scesi di un terzo a partire dal 2001. In Italia la tendenza è più o meno la stessa: crescono nell’ultimissimo periodo i furti in appartamento ma la serie storica dei dati degli ultimi venti anni ci fa capire che il fenomeno è in decrescita come in molti paesi occidentali. È il caso di ricordare che aumenta in maniera considerevole la violenza sulle donne, che spesso si compie dentro le mura di casa e dunque ha poco a che fare con le politiche repressive tradizionali. L’ultimo rapporto Istat sulla sicurezza sostiene che, quanto a omicidi, l’Italia è «uno dei paesi più sicuri d’Europa».

Già nel 2007, l’allora capo della polizia Gianni De Gennaro – non esattamente un garantista: è l’uomo che gestì il disastro del G8 genovese del 2001 – aveva trattato il fenomeno compilando una relazione intitolata «Lo stato della sicurezza e la comunità civile». Il faldone finì sulla scrivania dei parlamentari che si trovavano ad affrontare la virtualissima «emergenza sicurezza». A pagina 122 di quel documento, De Gennaro affermava che «la percezione diffusa di una maggiore insicurezza non è sempre fondata su di una reale situazione di maggiore esposizione a rischi». Poco oltre, il capo della polizia parlava degli elementi che contribuivano ad accentuare l’insicurezza percepita, scrivendo che «un ruolo determinante è rappresentato dall’effetto moltiplicatore dei media in ordine a singoli eventi delittuosi»: in altre parole, la televisione. I numeri del Secondo rapporto sulla «rappresentazione della sicurezza» curato da Demos e dall’Osservatorio di Pavia confermavano: le «persone spaventate» sono quelle che stanno davanti alla televisione per più di quattro ore al giorno e guardano prevalentemente le reti e i notiziari berlusconiani di Mediaset.

La stampa estera tratta la questione in maniera molto diversa dalla gran parte di quella italiana. Il compassato The Economist nel luglio scorso ha dedicato la cover story al fenomeno della diminuzione della criminalità, chiedendosi esplicitamente: «Dove sono finiti i ladri?». E soprattutto: come mai i reati tradizionali, che colpiscono l’immaginario dei cittadini più di una frode fiscale o dello sfruttamento dei clandestini, diminuiscono proprio in tempi di crisi? Le ipotesi sono tante, non tutte in contraddizione, a volte sono anche suggestive. Secondo alcuni, la diminuzione dei reati corrisponde all’invecchiamento della popolazione. Altri sostengono la tesi secondo cui la storia del piccolo crimine è la storia di tipi di droga, e che quindi il declino di crack ed eroina abbia migliorato la vita in strada. Per altri ancora, questa flessione avrebbe a che fare con le nuove tecnologie: si pensi a come è cambiato il mondo degli spacciatori da quando questi possono utilizzare un telefono cellulare per incontrare i clienti al sicuro e non in strada. Si affermerebbe il modello “Breaking Bad” invece che quello de “I Soprano”, per fare una metafora serial-televisiva.

Qualcuno dirà: “Tutto questo è dovuto alle misure securitarie degli ultimi anni?”. Non è così. Tra le poche certezze, c’è il fatto che i dati sulla riduzione del crimine di cui sopra non hanno nulla a che vedere con lo spauracchio del carcere e della repressione. Il calo dei reati è uniforme e abbraccia paesi con politiche repressive del tutto differenti. Negli ultimi venti anni la popolazione carceraria Australia, Gran Bretagna e Stati Uniti è raddoppiata, mentre è sensibilmente scesa in paesi come Estonia, Olanda e Canada senza che ciò abbia corrisposto ad un aumento del crimine, tutt’altro. Per di più, il carcere non funziona affatto da deterrente: chi ci entra anzi tende a essere recidivo. In Gran Bretagna il numero dei debuttanti nel mondo del crimine è sceso del 44 per cento, mentre cresce il numero di quelli che accumulano almeno quindici condanne. In Italia i dati su reati sulla recidiva dopo l’indulto sono più che confortanti: pochi di quelli che hanno goduto del provvedimento di clemenza sono ricascati nelle maglie della giustizia. Ne prendano atto, gli allarmisti di casa nostra.