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Chi è Anders Breivik?

Non un lupo solitario, ma un maschio bianco legato a tanti altri come lui. Il corpo a corpo con il corpo dello stragista, nel libro di Giuseppe Genna “La vita umana sul pianeta terra”, riedito in versione aumentata per Edizioni Alegre (collana Quinto Tipo, diretta da Wu Ming 1). Per raccontare questo Occidente inadatto, vacuo, vuoto

È stato arrestato qualche giorno fa a Bari, in Italia, un maschio bianco di 23 anni. Apparteneva a un’organizzazione suprematista bianca americana: The Base. Promuoveva in rete contenuti misogini, antisemiti e neonazisti. In casa aveva delle armi. Su di esse c’erano dei nomi, tra cui Gendron, Tarrant, Traini e Breivik. 

Chi sono Gendron, Tarrant, Traini e Breivik? Gendron è un maschio bianco di 18 ani. Questa primavera a Buffalo, negli Stati Uniti, ha compiuto una strage in un supermercato in diretta streaming. Ha ucciso dieci persone e ha pubblicato un manifesto sul suprematismo bianco. Nel manifesto sono citati alcuni nomi, tra cui Tarrant, Traini e Breivik. 

Chi sono Tarrant, Traini e Breivik? Tarrant è un maschio bianco di 28 anni. Nel 2019 a Christchurch, in Nuova Zelanda, ha compiuto due attacchi terroristici in diretta Facebook. Ha ucciso 50 persone, altrettanti i feriti. Era un adepto di molteplici organizzazioni neofasciste. Sul fucile utilizzato per la strage c’erano dei nomi, tra cui Traini e Breivik. 

Chi sono Traini e Breivik? Traini è un maschio bianco di 28 anni. Nel 2018 a Macerata ha tentato una strage. Non gli è riuscita. Anni fa era candidato con la Lega di Salvini. A casa sua era pieno di paccottiglia fascista: busti del duce, manganelli, celtiche, svastiche. Come la cameretta di uno qualsiasi dei nostri nuovi ministri, sottosegretari e deputati della maggioranza. Tra i suoi ispiratori c’era Breivik.

Chi era Anders Behring Breivik? A questa domanda prova a dare una risposta Giuseppe Genna nel suo libro La vita umana sul pianeta terra, appena riedito in versione aumentata per Edizioni Alegre, nella collana Quinto Tipo diretta da Wu Ming 1. Una collocazione perfetta per uno scrittore la cui cifra nel testo e nel paratesto è sempre stata ibrida, impura, meticcia. La scrittura delle vittime, e non dei carnefici.

Genna comincia così un corpo a corpo con il corpo di Breivik, lo segue inquieto in una folle detection che spazia da Milano a Oslo a Berlino, per trovarsi intrappolato in una ragnatela di «tracce, reti, network, segreti, trame, incoerenze, casualità». Perché, nonostante ogni volta che un maschio bianco commette una strage ci raccontano che ha agito solo, che è un lupo solitario, come Gendron, Tarrant e Traini anche Anders Behring Breivik non è mai stato solo. 

Sei ore prima di compiere le stragi a Oslo e Utøya, la cui preparazione è durata diversi anni, nove a essere precisi, Breivik mette in rete un memoriale di 1516 pagine intitolato 2083 – Dichiarazione europea di indipendenza. Lo spedisce a un migliaio di attivisti di estrema destra tra Europa e Stati Uniti. Poi esce di casa. «La malattia occidentale ha prodotto il suo sintomo gramo e finale».

Esce di casa e nel giro di un pomeriggio, il 22 luglio del 2011, prima fa detonare gli edifici dove si trova il governo norvegese a Oslo, causando la morte di otto e il ferimento di trecento persone, poi si dirige all’isola di Utøya, dove è in corso un campeggio della sezione giovanile del Partito Laburista norvegese. Qui comincia a sparare. Sono proiettili intinti nel veleno, per essere ancor più letali. Alla fine di lunghe ore di terrore muoiono 69 adolescenti, mentre più di un centinaio rimangono feriti. Poi si arrende. Lo arrestano.

Una volta in carcere Anders Behring Breivik scrive una lettera a Beate Zschape, unica sopravvissuta di un gruppo di neonazisti tedeschi responsabili dei Delitti del kebab: nove immigrati uccisi con armi da fuoco in sei anni in sette diverse città della Germania. Zschape e i suoi amici non erano soli, afferivano al gruppo dei Nationalsozialistischer Untergrund. Avevano contatti frequenti con militanti dell’estrema destra europea e la protezione della polizia e dei servizi segreti tedeschi. Almeno un agente dei servizi tedeschi, soprannominato Piccolo Adolf, sarà riconosciuto colpevole per quegli omicidi.

Anche Breivik faceva parte di una rete di suprematisti bianchi, ben strutturata. Si chiama Nordisk, è un sito neonazista, finanziato dalla Lega della gioventù vichinga. Ha aderenze in tutta Europa, anche con polizie e servizi. Questa verità emerge presto, e non si può nascondere. Per questo l’Editore, che appare a metà romanzo, con la E maiuscola, tra una bistecca al sangue e un’aragosta in acquario in un ristorante vicino a Paolo Sarpi, a Milano, chiede all’io narrante Giuseppe Genna di scrivere «un thriller, un libro sullo spionaggio 2.0». 

Perché Anders Behring Breivik fa parte di una trama che deve essere svelata. «Perché Breivik» – rammenta l’Editore tra una considerazione e l’altra sul futuro dell’editoria – «rappresenta il male». E qui l’io narrante di Giuseppe Genna risponde che no. Breivik «rappresenta il vuoto». E per questo non scrive un thriller. Scrive invece un ibrido, un oggetto narrativo non identificato.

E così, nel corpo a corpo che la vittima ingaggia con il carnefice, il bambino – «di questo bambino si può dire al massimo che questo bambino era l’Occidente» – è allo stesso tempo Anders Behring Breivik e è allo stesso tempo Giuseppe Genna. L’assenza del padre di uno è l’assenza del padre dell’altro, e così la presenza della madre. Perché «qualunque trauma è secondario, qualunque trauma non ha la forza di giustificare nulla».

Per la vittima e per il carnefice l’ossessione per il nazismo è lo stesso identico viaggio al termine della notte. Mentre Breivik spara a decine di giovani inermi a Utøya, Genna distrugge un’intera classe di studenti a Berlino, raccontandogli che l’umanesimo è morto e invece di scrittori dovrebbero diventare tagliatori di teste, che il lavoro di togliere il lavoro è l’unico lavoro rimasto. Mentre sparano o tagliano teste, sembra quasi entrambi parlino di editoria. È l’ibridazione, la mescolanza. 

Il carnefice viaggia a Minsk, in Bielorussia, per incontrare la possibile futura moglie scelta con certosina cura su un sito internet. La vittima viaggia nei luoghi dell’infanzia a Calvairate, periferia centrale di Milano, tra i fantasmi degli amici morti nonostante la droga. E non per la droga. Uno di loro vorrebbe uccidere tutti i norvegesi che camminano a Milano. 

Il corpo maschile della vittima e del carnefice è il corpo di un Occidente inadatto, vacuo, vuoto. La parola Europa torna prepotente in bocca prima all’uno e poi all’altro. Ecco chi è Anders Behring Breivik. È un europeo. È il fondatore di Europa. 

Ma questa non è la storia di due uomini. È la storia di un pianeta, e della vita su questo pianeta. Per questo, nell’infinito gioco di specchi del libro, non c’è mai alcuna identificazione tra i due. Non c’è alcuna sovrapposizione tra vittima e carnefice. Non dobbiamo guardare lo specchio della scena finale di Pat Garrett e Billy Kid (Sam Peckinpah, 1973) in cui il cacciatore e la preda si ritrovano davanti allo stesso specchio perché hanno sempre saputo di abitare lo stesso corpo. 

Un particolare della scena finale de La signora di Shanghai (Orson Welles, 1947)

Qui siamo nel finale de La signora di Shanghai (Orson Welles, 1947) in cui nel luna park lo specchio moltiplica i protagonisti all’infinito, come temeva l’eresiarca di Borges. Perché se Anders Behring Breivik fa parte di una rete, di un network, Giuseppe Genna non è solo. La scrittura è un processo collettivo, la memoria un ingranaggio fatto di lotte passate, presenti e future. La scrittura è legame, parentela. È dove si crea il kin di Donna Haraway,

«Siamo contemporanei ad Anders Behring Breivik. Questo è un fatto», dice Genna. Ma la similitudine finisce lì. Dagli specchi infranti nelle stragi dei fascisti e neonazisti occidentali non schizzano i frammenti delle nostre vite, dei nostri legami, ma quelli di una società violenta e diseguale che non ci appartiene e che abbiamo sempre rifiutato. 

Ne La vita umana sul pianeta terra non c’è alcun fascino del male, non c’è alcuna seduzione del mostro. Al contrario. C’è una detection allucinata che ci porta nel cuore della fondazione e della deflagrazione di Europa, culla dell’occidente che genera i mostri di cui poi si nutre. Come il suo fondatore, Anders Behring Breivik.

In copertina, un’immagine di Utøya, luogo dell’attacco di Breivik al Norwegian Labour Partys. Credit Paalso; Paal Sørensen 2011, Wikimedia Commons