EUROPA

Il caso Bardonecchia: incidente diplomatico o paradosso istituzionale?

Dietro quello che viene presentato come un incidente diplomatico tra Italia e Francia si nasconde un paradosso istituzionale sulla natura delle politiche di controllo delle migrazioni. Più che quelli tra gli stati, sono i “confini della solidarietà” ad emergere in primo piano

L’irruzione degli agenti della Dogana Francese nel rifugio allestito dai volontari di Rainbow4Africa, venerdì scorso, viola i principi di indipendenza, neutralità, imparzialità e umanità e come tale viene denunciata dai rappresentanti della ONG auspicando azioni di condanna italiane nei confronti della Francia.

Gli agenti francesi tronfi per aver riacciuffato un migrante nel suo viaggio oltre confine, invece di limitarsi a riportarlo nella stazione di Bardonecchia, come per tanti altri era avvenuto negli ultimi mesi, hanno intimidito i presenti (volontari e operatori legali) e costretto il malcapitato ad un arbitrario test delle urine, innescando un potenziale caso diplomatico. Questo episodio non è il primo nel genere e rientra in una casistica di situazioni in cui gli stati europei, che in pieno accordo hanno elaborato una politica di respingimento dei migranti, demolizione del diritto d’asilo e divieto della libertà di circolazione, inscenano poi una surreale contrapposizione su singoli casi.

Effettivamente, i maggiori esponenti politici italiani, di ogni schieramento e ognuno a suo modo, reclamano una presa di posizione contro Macron. C’è qualcosa di paradossale in queste levate di scudi prive di sostanza e cariche di impotenza e incapacità di difendere i diritti più basilari.

Per tutto l’inverno abbiamo assistito a morti atroci, a causa del freddo e di stenti nei sentieri delle montagne di confine, e persino donne con gravidanza a termine respinte senza soccorso, mentre continuano gli episodi di incriminazione nei confronti degli attivisti che operano per salvare vite umane. D’altronde, ciò avveniva anche a Ventimiglia nelle passate estati dove son piovute sanzioni per qualche minestra, per non parlare della guerra ai salvataggi in mare iniziata lo scorso agosto dal possibile futuro premier Luigi Di Maio. E anche il rifugio di Rainbow4Africa ha la concessione ad aprire a chi dorme per strada in attesa di ripartire dalle 23, non prima. Un rifugio eccessivamente accogliente concorrerebbe, come le minestre di Ventimiglia e i salvataggi in mare, a produrre quei temibili elementi detti pull factor, ovvero di attrazione, irresistibile, verso l’Eldorado europeo. E questo è uno dei possibili elementi che rafforza quotidianamente la legittimazione dei reati di solidarietà insieme alla paura di alleanze meticce e del diffondersi di una solidarietà antirazzista capace di rompere gli argini del razzismo regolatore delle istituzioni.

Questo paradosso istituzionale a difesa del presidio di Bardonecchia sembra lasciare aperti spiragli di umanità e di difesa del diritto, ma forse conduce anche a ripensare al senso della riflessione di A. Sayad, secondo cui l’atto di attraversare i confini da parte dei cosiddetti “migranti” diventa, tra le altre cose, definizione della natura stessa di uno stato: «Malgrado l’estrema diversità delle situazioni, malgrado le sue variazioni nel tempo e nello spazio, il fenomeno dell’emigrazione-immigrazione manifesta delle costanti, cioè delle caratteristiche (sociali, economiche, giuridiche, politiche) che si ritrovano lungo tutta la sua storia. Queste costanti costituiscono una sorta di fondo comune irriducibile, che è il prodotto e al tempo stesso l’oggettivazione del “pensiero di stato”, una forma di pensiero che riflette, mediante le proprie strutture (mentali), le strutture dello stato, che così prendono corpo».

E questo rifiorire del pensiero di stato a partire da un’ennesima e supposta violazione dei confini nazionali, anche al di fuori da un’ipotesi esplicitamente nazionalista, sancisce un ulteriore paradosso. Le migrazioni rendono talvolta obsoleto il concetto di nazione, ma è in nome dello stato che si esercitano, divenendo legittime e normalizzatrici, sempre nuove o rinnovate forme di violenza. Lo stato diventa necessario non solo per le bagarre di frontiera ma per definire inedite modalità di esclusione, reinventare territori selettivi e nuovi regimi di proprietà.

Tornando alla vicenda di Bardonecchia, da alcuni già definita la nuova Lampedusa d’Europa (per l’impellente necessità di un ordine simbolico dell’emergenza sempre attuale), e alla pioggia di commenti da parte dei futuri esponenti del governo, troviamo in modo ricorrente la condanna dell’utilizzo strumentale della richiesta di protezione internazionale. Un utilizzo distorto, in primo luogo dallo smantellamento del diritto d’asilo compiuto negli ultimi anni e alla conseguente divisione tra migranti potenzialmente rifugiati (richiedenti asilo) e migranti economici, che ha reso normale un giudizio arbitrario sui motivi della migrazione. Va ribadito, forse con sempre maggior forza e chiarezza e come atto immediatamente politico e antirazzista, che non sta a noi, né a nessuno altro, giudicare i motivi che inducono le persone a emigrare. Partire, riuscire a non annegare e a proseguire il viaggio sui valichi di montagna o attaccati sul fondo di un camion, sono azioni ad alto rischio e chi sceglie di farlo ne è consapevole.

Tutti i dispositivi messi in atto nei paesi d’arrivo, le frontiere, i muri, le espulsioni, lo stesso attuale sistema d’accoglienza, sono motivati dalla negazione del diritto a migrare. Per questo è sempre più importante, in termini di solidarietà, di nuovo, direttamente politica, valorizzare questo atto di resistenza primario, apparentemente contingente ma effettivamente universale per la posta in gioco che pone: i migranti sono stretti tra il loro stesso essere opposizione concreta al dispositivo securitario e poliziesco, cifra della fase politica reazionaria attuale, e i meccanismi ambigui e vittimizzanti del regime umanitario che finisce per contenerli. Il loro “problema”, invece, è quello di volere un futuro migliore per sé e i propri figli e dunque quello di essere, potenzialmente e sempre più, pericolosi compagni di viaggio di molti altri, donne e uomini, che in Europa si dispongono a lottare per un reddito dignitoso e a non rinunciare a diritti universali che declinano il desiderio di vita oltre quello di sopravvivenza.