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Brasile, un passo in avanti verso il colpo di Stato

Questa domenica il colpo di stato orchestrato dalla destra brasiliana ha mosso il suo primo passo. Superando i 342 voti a favore, la Camera dei Deputati ha approvato l’impeachment contro la presidente Dilma Rousseff. Ora il Senato deve decidere se confermare l’interruzione dell’ordine costituzionale.

Come in Honduras nel 2009, ma soprattutto – in quanto al metodo – come in Paraguay nel 2012, questo fine settimana il Congresso brasiliano ha compiuto un grosso passo per portare avanti un colpo di Stato contro il governo del Partito dei Lavoratori (PT) e contro la presidente Dilma Roussef.

Con discorsi che cercavano di darsi un carattere epico, i deputati dell’opposizione hanno votato a favore della destituzione, per la propria famiglia, per il cambiamento, per la democrazia, contro la corruzione, il comunismo, il cambio di sesso e perfino per la pace a Gerusalemme.

Ma la cosa che ha colpito di più è stata forse il voto del deputato di estrema destra Jair Bolsonaro, che ha dedicato il suo voto al torturatore di Dilma Rousseff, dichiarando che “persero nel ’64 ed hanno perso ora”. L’allusione è all’ultimo colpo di Stato in Brasile: nel 1964..

Nonostante le dichiarazioni dalla forte carica ideologica da parte dei deputati e delle deputate che hanno votato per l’impeachment, occorre ricordare che l’imputazione contro la Presidente non ha nulla a che vedere con una causa per corruzione. L’accusa è fondata su una risoluzione della Corte dei Conti brasiliana che non ha approvato il bilancio presentato dall’esecutivo riguardante l’anno 2014, per aver presumibilmente “modificato il deficit”.

L’economista Pablo Wahren spiega che concretamente “lo Stato brasiliano ha speso più di quello che aveva previsto nel bilancio”, pertanto ha deciso di modificare i dati del deficit fiscale “mediante un meccanismo conosciuto come ‘pedalata fiscale’ che comporta l’indebitamento con le banche per finanziare la spesa maggiore non prevista”. Questo sarebbe motivo sufficiente per chiedere la destituzione della presidente.

Il processo di Impeachment

A questa istanza si è arrivati dopo un lungo processo che ha avuto il suo inizio formale ad ottobre dello scorso anno, quando Eduardo Cunha, presidente della Camera dei Deputati, membro del Partito del Movimento Democratico Brasiliano (PMDB), in questo momento parte della coalizione di governo, però paradossalmente il suo principale oppositore, ha presentato un’istanza di impeachment che è stata annullata temporaneamente dal Tribunale Federale Supremo (STF) brasiliano. Per portare avanti il procedimento l’STF ha preteso che fosse approvato da due terzi della camera bassa. E non dalla maggioranza semplice, come voleva Cunha.

A dicembre dello stesso anno, Cunha ha autorizzato di nuovo l’apertura del processo, con le nuove regole stabilite per l’STF, e si è formata una commissione che avrebbe dovuto analizzare ed approvare il processo, affinché questo potesse essere votato dall’insieme della Camera dei Deputati. L’STF ha sospeso la commissione per analizzare le possibili irregolarità nella sua composizione. Il giorno seguente alle mobilitazioni contro l’impeachment, l’SFT ha preteso che la commissione fosse rieletta e che il processo iniziasse da capo.

Senza dubbio, sperando di poter tornare a giocare questa carta, il 4 marzo è stato fermato e interrogato l’ex presidente Lula da Silva, nonostante non ci fosse contro di lui alcuna imputazione. La risposta popolare è stata immediata, con diverse mobilitazioni contro la sua detenzione, superate però da quelle della destra, che ha organizzato manifestazioni enormi chiedendo la rinuncia di Dilma il 13 marzo.

Il 16 marzo Rousseff ha designato Lula come capo del Gabinetto cercando di rafforzare il suo governo, ma ha dovuto immediatamente fronteggiare l’accusa di voler ostacolare il corso della giustizia. Questa notizia era filtrata tramite intercettazioni telefoniche illegali tra la mandataria e l’ex presidente. Lo stesso giorno l’STF ha approvato la composizione della commissione per valutare la richiesta di impeachment della presidente. La stessa commissione che poco più di tre mesi era stata posta sotto osservazione. Il 17 marzo un ricorso di annullamento ha frenato la nomina di Lula.

Appena iniziato il processo di destituzione, le strade sono state occupate dai movimenti popolari, sindacati e partiti politici che si sono opposti ed hanno denunciato il colpo di Stato. Con gli slogan “No van a tener golpe” e “En defensa de la democracia” si sono tenute mobilitazioni enormi in tutto il paese il 18 marzo e il 31 dello stesso mese. Quest’ultima mobilitazione è avvenuta in commemorazione dell’inizio dell’ultima dittatura militare brasiliana. Nel mezzo di queste mobilitazioni il PMDB ha abbandonato ufficialmente la coalizione che aveva permesso a Dilma di essere rieletta al ballottaggio di ottobre del 2014.

Infine lo scorso 11 aprile la commissione della camera ha votato l’istanza di impeachment che è stata approvata questa domenica.

Cosa accade ora?

Adesso il rapporto passa al Senato, che prenderà la decisione finale. Se 41 degli 81 membri (con un quorum minimo necessario di 42) approvano il giudizio politico, Dilma Rousseff sarà allontanata dalla sua carica per 180 giorni nei quali passerà al potere il vicepresidente Michel Temer che è parte del PMDB, cioè è già fuori dalla coalizione di governo.

Questi sei mesi di transizione sono il tempo che la Camera alta si prenderà per sviluppare il giudizio vero e proprio. Infine, in una sessione presieduta dal TSF, 54 (due terzi) degli 81 senatori devono votare a favore delle dimissioni della Rousseff per rendere effettivo il suo ritiro definitivo dalla carica.

In questo caso, il vicepresidente dovrebbe portare a termine il mandato che finisce nel 2018. Tuttavia, su di lui pesa la richiesta del TSF di procedere con un giudizio politico che se ottenesse dei risultati, assieme a quello della Rousseff, porterebbe Eduardo Cunha ad assumere l’esecutivo. In questo scenario Cunha dovrebbe convocare le elezioni entro 90 giorni per scegliere un nuovo capo di Stato.

Tratto da Notas – Periodismo Popular.

Traduzione di DINAMOpress.

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