EUROPA

Bielorussia, proteste verso le elezioni: nessuno crede più a Lukashenko?

Il 9 agosto si terranno le elezioni presidenziali in Bielorussia e l’attuale presidente, a capo della repubblica est-europea da ormai 26 anni, sta intensificando la repressione nei confronti dei suoi avversari, a volte incarcerati. Manifestazioni in varie città

«Mi aspetto che venga ristabilito ordine totale». Le parole del presidente bielorusso Alexsander Lukashenko, pronunciate in seguito alle proteste di domenica 31 maggio, sembrano indicare il problema più che la soluzione. Le centinaia di persone scese per le strade della capitale Minsk e di altre città del paese, infatti, stanno manifestando proprio contro l’“ordine” stabilito ormai 26 anni fa nella piccola repubblica dell’Europa orientale: cinque elezioni presidenziali tutte indistintamente vinte dalla stessa persona, tanto che nel gergo giornalistico si suole denominare la Bielorussia come «ultima dittatura d’Europa». Di fatto, una delle principali “strategie elettorali” messe in campo da Lukashenko nel corso degli anni sembra essere stata quella della repressione, anche violenta, dei propri avversari e oppositori (dai sospetti rapimenti degli anni ‘90 agli arresti di massa nell’inverno del 2010, fino agli scontri del 2017) ed è a partire da un simile contesto che si stanno sviluppando i recenti sommovimenti. A distanza di cinque anni dall’ultima tornata, sono state indette delle nuove votazioni per il 9 agosto di quest’anno e, come riportato anche da un articolo sul “Manifesto”, alcuni sondaggi indicano il presidente uscente aggirarsi attorno a un “misero” 7% (ma alcuni sondaggi lo danno anche a meno, tanto che si sta diffondendo il nomignolo “Sasha 3%” per indicare Lukashenko). È cresciuta invece la popolarità di candidati indipendenti e attivisti, come il blogger Syarhei Tsikhanouski che è stato incarcerato il 9 maggio con l’accusa di aver organizzato una manifestazione non autorizzata, dopo aver espresso la propria volontà di correre per la presidenza, e in seguito liberato anche sulla scorta di una partecipata campagna in suo sostegno che ha coinvolto associazioni per i diritti umani e semplici cittadini.

 

«Sono attivo politicamente da oltre 15 anni ed è la prima volta che vedo Lukashenko così spaventato», afferma secco l’attivista, blogger e analista politico Mikola Dziadok, che sta osservando da vicino anche questi ultimi sviluppi.

 

«La situazione sta evolvendo in maniera molto rapida ma già si sono verificati avvenimenti inediti e del tutto scioccanti per il potere. Innanzitutto, in pochi si aspettavano un sostegno così convinto per Tsikhanouski da parte della popolazione. In più, la partecipazione politica e le proteste si sono estese anche nelle piccole città di provincia, che fino a ora non avevano mai espresso contrarietà al governo». Syarhei Tsikhanouski, il cui canale è seguito da circa 200.000 persone, pare essere riuscito a creare una sorta di “contro-narrazione” della Bielorussia: riprendendo lo slogan filo-governativo “Страна для жизни” (“una nazione per vivere”, che è appunto il nome del canale di Tsikhanouski e anche un motto utilizzato da una pubblicità propagandistica), il popolare blogger ha viaggiato per il territorio della repubblica est-europea dando voce ai disagi e ai desideri di persone comuni e mostrando le tante mancanze dello stato soprattutto nelle aree periferiche. «Il suo è uno stile prettamente populista», commenta l’analista Mikola Dziadok. «Non offre un progetto politico articolato, se non per quanto riguarda l’idea di istituire dei piccoli auto-governi locali sul territorio, ma in questa semplicità sta la chiave del suo successo.

 

Negli ultimi 26 anni, Lukashenko non ha fatto altro che “atomizzare” la società e frustrare ogni tentativo di partecipazione politica.

 

Il risultato è che, per uno come Tsikhanouski, risulta molto facile far leva sui sentimenti di rabbia e odio verso lo status-quo». Dopo l’imprigionamento, al blogger bielorusso è stata dunque negata da parte della Commissione Elettorale la possibilità di candidarsi. Per tutta risposta, si è registrata allora nelle liste elettorali la moglie Svyatlana Tsikhanouskaya (che ha recentemente concesso un’intervista alla Bbc) e i presidi per la raccolta firme di quest’ultima hanno assunto in numerose città del paese le sembianze di enormi raduni contro Lukashenko, viste le lunghe file composte da persone che intonavano slogan anti-governativi indossando talvolta maschere antigas e brandendo minacciosamente delle ciabatte da casa («Fermate lo scarafaggio», urlano infatti gli oppositori, ispirandosi a una poesia del periodo sovietico che racconta di uno “scarafaggio con i baffi” dagli atteggiamenti autocratici e facilmente identificabile dunque con l’attuale presidente).

 

Il blogger Tsikhanouski (foto dalla pagina fb di Страна Для Жизни

 

«Più ci avviciniamo alle elezioni più la repressione da parte delle autorità aumenta», registra Valiantsin Stefanovich, rappresentante dell’associazione per la difesa dei diritti umani Vesna86 con sede a Minsk. «È evidente che Lukashenko è nervoso e la nostra paura è che ritorni un clima simile a quello del 2010, in cui vari candidati vennero arrestati e le proteste di piazza furono soffocate con violenza.

 

I servizi segreti e la polizia stanno mettendo in pratica i loro usuali metodi di pressione, come le perquisizioni coatte all’interno delle case degli oppositori politici, ma è altrettanto vero che ci sono anche tante persone attive e pronte a difendere chi è perseguitato.

 

In questo senso, credo che le campagne a sostegno del blogger Tsikhanouski abbiano giocato un grosso ruolo nella sua scarcerazione». Il dato in effetti più eclatante di questo periodo pre-elettorale sembra essere il forte protagonismo della società civile e la capacità della popolazione di mobilitarsi. Non solo per quanto riguarda le manifestazioni di natura politica come proteste, raccolta di firme e sostegno ai candidati avversari di Lukashenko ma anche, se non soprattutto, sul fronte della gestione dell’emergenza Covid-19. I dati ufficiali della Bielorussia parlano di circa 46mila contagiati e 259 decessi: una letalità enormemente più bassa anche della Germania (27 morti ogni milione di abitanti contro 105). Al montare della pandemia in Europa, inoltre, il presidente della repubblica post-sovietica ha creato scalpore affermando che nella sua nazione il virus si sarebbe combattuto con «vodka, sauna e lavoro», senza bisogno di mettere in atto alcuna misura di lockdown. «La realtà è che la Covid-19 è stata affrontata dalla popolazione in maniera praticamente autonoma», racconta ancora l’analista Mikola Dziadok. «Si sono verificate raccolte fondi spontanee per i medici oltre che forme di solidarietà e supporto che hanno interessato anche i centri più piccoli. Ma, soprattutto, la gente ha iniziato a non credere più ai media ufficiali e ha trovato modalità indipendenti per ottenere informazioni». Negli ultimi mesi sono infatti nati numerosi canali Telegram che, fra notizie provenienti anche da altri paesi, immagini e condivisioni di testimonianze, aggregano dati e fonti diverse per provare a fornire un’immagine dell’andamento dell’epidemia differente da quella ufficiale.

 

«Se fosse per il governo, penseremmo che in Bielorussia a causa della Covid-19 non è morto neanche un medico», appunta Mikola Dziadok.

 

La fiducia nel presidente Lukashenko sembra dunque erodersi sotto vari aspetti. Da una parte, continuano a contrastare il suo potere uomini d’affari e imprenditori (come Natallya Kisel, a capo di un’impresa privata, o Viktor Babariko, ex-direttore di banca) e le tradizionali forze politiche d’opposizione (dal Partito Cristiano-Democratico al Partito di Unione Civica), che pare abbiano deciso di coalizzarsi ed esprimere un unico candidato, e dall’altra sta nascendo una galassia di outsider, figure indipendenti e attivisti civici, come Tsikhanouski e la moglie, che guadagnano un consenso sempre maggiore e sembrano capaci di catalizzare la frustrazione di quella parte di popolazione che si vede abbandonata dallo stato. A questo si aggiungono le frizioni con l’alleato storico Vladimir Putin, iniziate prima della pandemia con una disputa sui prezzi di vendita del petrolio e continuata con divergenze sulla chiusura del confine Russia-Bielorussia per fronteggiare la Covid-19. Ma, soprattutto, pare davvero essere l’emergenza sanitaria ad aver segnato un punto di svolta: la discrepanza fra la narrazione ufficiale e la percezione dei cittadini è andata acuendosi con la crescita dei contagi, generando una disaffezione generale verso i media statali e il potere governativo. Dice Mikola Dziadok: «Se si osserva la curva dei contagi da febbraio fino a qui sembra surreale: si lambisce sempre la “soglia psicologica” dei mille infetti al giorno, senza mai superarla neanche di un caso. Penso che oramai nessuno creda alle cifre ufficiali». Una sfiducia che potrà tradursi in intenzioni di voto? Stando alle dichiarazioni riportate dall’associazione per i diritti umani e agenzia di notizie indipendenti “Charta 97”, la tendenza sembra chiara: Кто угодно – только не Лукашенко, «Chiunque, ma non Lukashenko», dicono le persone ai picchetti.

 

Foto di copertina da commons.wikimedia.org