ITALIA

Valsusa, un’altra tragica frontiera dell’Europa dei muri

Nel silenzio complice della stampa mainstream, un’altra drammatica situazione sta colpendo la popolazione migrante che attraversa il nostro paese. Un’attivista valsusina ci racconta gli ultimi mesi alla frontiera di Bardonecchia

Ci puoi raccontare cosa sta succedendo ai migranti alla frontiera di Bardonecchia?

Da tempo ormai, vista la situazione a Ventimiglia con la frontiera sempre più sigillata, molti migranti arrivano in treno a Bardonecchia e attraversano il confine con la Francia a piedi passando per le montagne. Bardonecchia è una località transfrontaliera a 1312 metri di altezza. Con l’arrivo dell’inverno i migranti hanno iniziato ad avere grosse difficoltà con le temperature, con gravi problemi di assideramento durante le notti all’aperto.

 

Era già accaduto in passato?

Da sempre la Valle è stata un luogo di passaggio di migranti, lo ricordo fin da piccola anche per esperienze vissute in prima persona. Nell’ultimo anno questo fenomeno è sicuramente aumentato. Con l’inverno, e con la necessità di rifugiarsi in luoghi caldi, sta diventando evidente un fenomeno prima più invisibile.

 

Cosa stanno facendo le autorità?

Il primo provvedimento preso è stato chiudere le stazioni di Bardonecchia e poi di Oulx per impedire a chi migra di rifugiarsi nelle sale di attesa.  Per un certo periodo hanno addirittura tolto il servizio di apertura anche di giorno, e quindi paradossalmente chiunque attendesse un treno doveva farlo al freddo.

Dal lato francese l’arrivo dei migranti è monitorato da droni, motoslitte, pattuglie della gendarmerie e vengono riportati subito a Bardonecchia.

Molte di queste persone hanno un permesso di soggiorno temporaneo in Italia e una volta riportati oltreconfine vengono lasciati a loro stessi.

Il comune si è disinteressato così come le altre istituzioni fino a quando hanno iniziato ad avere pressioni più consistenti.

 

Gli enti locali stanno intervenendo e prestando servizi di emergenza o è tutto gestito dalle forze dell’ordine?

Per un lungo periodo le pressioni della società civile non sono servite a nulla.

L’ong Rainbow for Africa ha poi iniziato ad avere delle interlocuzioni, ed è riuscita a far aprire una piccola stanzetta di 20 metri quadri nell’edificio della stazione, solo durante gli orari notturni. In principio questa stanzetta era gestita dalla polizia.  Nel frattempo l’ong ha ottenuto le chiavi e la possibilità di mettere a disposizione personale medico e paramedico negli spazi del soccorso alpino adiacente. Il personale presta soccorso quando arrivano migranti che hanno sintomi da congelamento. Caritas e Croce Rossa hanno fornito servizi parziali.

Cosa significa il supporto del movimento NOTAV a questa situazione?

Se volevano una dimostrazione in più che il movimento NOTAV non è un movimento nimby, eccola pronta. Di sicuro la lotta contro il TAV  ha permesso di diventare una comunità che cura il territorio e coltiva valori quali l’antirazzismo e l’accoglienza.

Poi c’è da dire che far parte del movimento ha permesso di crescere a livello di organizzazione interna e per prestare soccorso ai migranti questo è stato fondamentale.

Se poi vogliamo fare connessioni con il discorso TAV, è stato pubblicato da poco il comunicato ufficiale della posizione dei NO TAV in solidarietà nei confronti della questione migranti, poiché vengono spesi miliardi per far passare merci e persone bianche con i soldi attraverso le frontiere, mentre i migranti rimangono intrappolati. Una dimostrazione in più del fatto che le frontiere sono aperte o chiuse solo in virtù di interessi politici ed economici.

La resistenza al TAV ha permesso contaminazioni viste le tante altre esperienze che sono state raccontate da chi è passato in Valle, queste hanno permesso di comprendere di più anche la questione migrazioni.

La rete che si è formata è stata chiamata “Briser les frontières” (sbriciolare le frontiere), ha organizzato una prima serata benefit con 200 persone a mangiare per sostenere l’acquisto di cibo e beni di prima necessità, raccolte abiti invernali.

È un grosso impegno, siamo una quarantina di attivisti pronti ad intervenire, ma molti di più disponibili ad aiutare, la risposta in Valle è stata più che buona.

Quali difficoltà avete incontrato in questa esperienza?

Sulla questione i francesi sono più avanti di noi, sono riusciti ad aprire una casa di accoglienza e altre attività di supporto, come ronde nei sentieri.  Addirittura la casa l’hanno ottenuta dal comune di Briançon, che si è in un certo modo opposto alle leggi attuali che obbligano a rimandare in Italia i migranti.

A Bardonecchia all’inizio non è stato facile a livello relazionale creare l’approccio giusto con i migranti, trovare una lingua comune è fondamentale.

Da mesi ogni sera il soccorso alpino esce alla ricerca di dispersi nella montagna. Non c’è ancora stato il morto, ma un ragazzo ha avuto i piedi amputati per congelamento. Molti ragazzi, bruciati da esperienze del passato, hanno difficoltà a fidarsi ed accettare l’aiuto da parte della rete, anche solo prendere un paio di calzettoni asciutti o un piatto di minestra calda.

La collaborazione da parte della Valle che appoggia la lotta al TAV è buona, in tanti hanno offerto sostegno e appoggio logistico.

Noi diamo tutte le informazioni utili per conoscere la situazione della montagna, poi sono loro che decidono cosa fare. Sono arrivati anche minorenni e contrariamente a quello che dicono le leggi internazionali, vengono riportati in Italia a Bardonecchia dalla Gendarmerie.

In molti dicono “piuttosto che vivere qui senza prospettive tento la libertà”, poi capiscono che la Francia non è il paradiso, e alcuni poi ritornano in Italia.

 

I prossimi appuntamenti?

Per denunciare quello che sta accadendo abbiamo deciso di organizzare una marcia transfrontaliera da Claviere a Montgenèvre il 7 gennaio, per ribadire che le frontiere non esistono in natura, ma sono un sistema di controllo. Non proteggono le persone, le mettono una contro l’altra, non favoriscono l’incontro ma generano rancore. Le frontiere non dividono un mondo da un altro, c’è un solo mondo e le frontiere lo stanno lacerando.

 

 

Foto di Luigi D’Alife