Azzurre mondiali

La nazionale sta per tornare in campo contro la Giamaica, dopo la straordinaria vittoria al ’95 nell’esordio contro l’Australia. Prima, durante e dopo questo mondiale ci sono la crescita del movimento calcistico femminile e l’esplosione dei movimenti politici femministi.

Le azzurre stanno per tornare in campo, alle 18 sfideranno la Giamaica. La competizione mondiale è iniziata a Valenciennes il 7 giugno scorso e l’Italia ha disputato la sua prima partita domenica 9 giugno. Le azzurre sono scese in campo con incredibile determinazione e grinta straordinaria. Lottando fino all’ultimo minuto, hanno trovando il gol della vittoria al 95’ battendo la nazionale australiana, sesta nel Ranking FIFA. Una vittoria inaspettata ma tanto voluta e desiderata per tornare a calcare nel migliore dei modi il palcoscenico del calcio mondiale. La nazionale italiana di calcio femminile non andava ai Mondiali da vent’anni.

«Si fa presto a dire vent’anni, ma vent’anni fa era un secolo fa! Dopo molto tempo il vento torna a spirare a favore delle ragazze che sognavano di giocare a pallone da grandi. Ecco, quelle lì hanno saputo alzare la vela e volgere la prua dove il vento è stato capace di trasformare un sogno in un punto di arrivo». (Quelle che… il calcio. Le ragazze del Mondiale, di Milena Bertolini, Domenico Savino)

Lo sanno bene (tra le altre) Patrizia Panico, Carolina Morace e coach Milena Bertolini. Lo sapevano bene le “signore del Kerr” che in Inghilterra, nel XX secolo, hanno dato vita a questo movimento. Come lo sapeva il “Gruppo Femminile Calcistico” nato a Milano nel 1930, formato da un gruppo di donne che scendevano in campo con la sottana. Lo sanno bene capitan Sara Gama e le 22 Azzurre convocate per disputare il mondiale in Francia. Lo sappiamo bene noi, tutte: calciatrici, allenatrici, addette ai lavori, tifose, donne, ragazze, bambine, che abbiamo sognato e continuano a sognare correndo dietro a un pallone.

Tutte sappiamo molto bene quanto è stato (e quanto ancora è) difficile praticare questa disciplina, che in Italia, da sempre (e ancora oggi) è stata osteggiata, derisa, insultata in nome dei più infimi stereotipi maschili, specchio della sub-cultura sessista che permea ancora il nostro Paese. Non sono lontani i tempi in cui Felice Belloli (alla guida della Lega Nazionale Dilettanti) dichiarava di «non poterne più di queste quattro lesbiche che chiedono sempre soldi».

Recenti sono le dichiarazioni di personaggi come Fulvio Collovati e Giancarlo Dotto che non meritano ripetizione. Recentissimo è l’episodio a Mestre dell’arbitra insultata e offesa dalla tribuna e da uno dei giovani calciatori in campo. E sono solo esempi di quello che le donne sono costrette a subire nel mondo dello sport (e non solo).

Non è passato certo un secolo, ma solo pochi anni dal 2012, dalle qualificazioni ad Euro 2013 disputate in stadi di periferia, ignorate e snobbate da stampa e tifosi. Era solo il 2014 quando la coppa scudetto venne consegnata rotta e con 7 mesi di ritardo al Brescia Calcio Femminile. Due anni fa la partecipazione della Nazionale italiana femminile al campionato europeo nei Paesi Bassi, passava nel silenzio dei media e della stampa.

Cosa è cambiato durante questo tempo?

Il calcio femminile in Italia esiste almeno da quando venne creata la prima squadra a Milano intorno agli anni trenta del novecento. La voglia delle ragazze di calciare un pallone probabilmente esiste da sempre. In Italia il numero delle tesserate è di circa 24mila: la crescita è costante.

Nel 2015 la Federazione (FIGC) per sviluppare e incrementare la crescita del calcio femminile ha concesso alle società del calcio professionistico maschile la possibilità di acquisire il titolo sportivo delle società del calcio femminile nazionale. Questa disposizione si è rivelata un’entrata a “gamba tesa” del calcio maschile nel mondo del calcio femminile che ha trovato concreta attuazione con la nascita del Sassuolo che ha fatto scomparire quella che era la Reggiana, della Fiorentina di Della Valle che ha acquisito il titolo del Firenze femminile, della Juventus che ha preso il posto del Cuneo femminile, del Milan che ha neutralizzato dalla massima serie lo storico Brescia Calcio Femminile del presidente Cesari, traghettatore e pioniere del movimento e da ultima l’AS Roma che è subentrata al posto della Res Roma.

L’entrata dei club più blasonati del professionismo maschile ha consentito il passaggio di competenze dalla LND alla FIGC. Un forte scossone per il calcio femminile dei cui rischi e derive di logiche economiche malate e profitti siamo ben consapevoli. Avremmo di certo auspicato che la strada da intraprendere per la valorizzazione del movimento del calcio femminile sarebbe stata quella degli investimenti nei settori giovanili, nel potenziamento delle realtà esistenti, nella promozione della cultura sportiva. Di un totale sviluppo strutturale, insomma. Ma certo non si può negare l’incredibile visibilità che le società professionistiche hanno apportato al movimento. Le calciatrici hanno finalmente la possibilità di allenarsi in maniera adeguata, nelle strutture adatte con staff di alti livelli. Un’attenzione e una cura che meritavano da tempo.

A questo boato di giro d’affari, attenzione mediatica, interesse degli sponsor, però, non è corrisposto (ancora) il riconoscimento di diritti sacrosanti: le calciatrici (e le donne dello sport in generale) continuano ad essere dilettanti. Basterebbe una banale modifica della legge n. 91/1981 sul professionismo sportivo a cambiare lo status. Professionismo che non deve essere omologazione e che certamente dovrà essere introdotto con tutte le cautele del caso, senza mettere in difficoltà le società che non sono così ricche da sostenere un’innovazione simile.

Oltre alle evoluzioni interne del movimento calcistico femminile, poi, la grande attenzione che questi Mondiali stanno suscitando è probabilmente dovuta anche agli effetti che i movimenti femministi degli ultimi anni hanno prodotto sul complesso della società. In paesi come l’Argentina o l’Italia, dove Non Una Di Meno continua a mobilitare centinaia di migliaia di donne, il desiderio di riappropriarsi anche di questo terreno di gioco storicamente costruito come maschile è sempre più forte.

Abbiamo fiducia e stima nelle calciatrici e nelle donne che animano il calcio femminile. Sono quelle che hanno lottato per arrivare dove siamo. Andranno avanti senza dimenticare «da dove veniamo e soprattutto dove stiamo andando con tutte le nostre forze», come ha affermato Sara Gama nell’emozionate discorso davanti al Presidente della Repubblica, in occasione dei 120 anni della FIGC. Sono donne consapevoli dei sacrifici profusi negli anni per riuscire a giocare, per avere un proprio spazio e veder riconosciute le proprie aspirazioni.

Sentono forte la responsabilità di fare un ulteriore passo avanti per coloro che verranno, pronte a battagliare dentro e fuori dal campo come le colleghe degli Stati Uniti che a marzo hanno denunciato l’Usa Soccer per discriminazione di genere per l’ampio divario salariale con la squadra maschile, o come Ada Hegerberg, stella norvegese e primo pallone d’oro femminile, che ha rinunciato ai mondiali per il trattamento iniquo che la sua federazione riserva alle compagne di nazionale, rispetto agli uomini.

Esempi di un movimento internazionale che griderà sempre più forte per affermarsi e autodeterminarsi. Alla faccia degli «inguardabile», dei «ma giocate con le palle più leggere e le porte più piccole?», del «le donne non possono parlare di calcio» e commenti simili che siamo state costrette a leggere sui social anche dopo la bellissima e storica vittoria di domenica contro l’Australia.

Dal primo pallone calciato sul vialetto di casa, al campetto con i maschi, dai sacrifici e ai chilometri di distanza percorsi per praticare lo sport che più amiamo, alla prima squadra di calcio femminile in cui abbiamo giocato, abbiamo sempre scelto di scendere in campo per lottare contro i pregiudizi e gli stereotipi che troppo spesso abbiamo sentito (e continuiamo a sentire) sul calcio femminile.

«Il Calcio non è per signorine»: quante volte l’avete sentito? Noi quelle scarpette le abbiamo indossate tempo fa e non smetteremo mai di correre dietro un pallone. Perché dentro quel rettangolo verde siamo tutte e tutti uguali. Per molte è stato solo un sogno, per tante, adesso, il sogno può realizzarsi. Per le azzurre è già realtà. «Siamo quello che sognavamo, siamo #RagazzeMondiali»

 

Giamaica-Italia sarà proiettata al centro sociale Communia, in via dello scalo di San Lorenzo (Roma). Appuntamento alle 17.30.

 

L’autrice è una dirigente dell’Atletico San Lorenzo, progetto di sport popolare.