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ITALIA

Trieste: consultorio aperto per una cura collettiva!

Lo scorso 24 novembre, alla vigilia della Giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne, Non Una Di Meno e il Comitato di partecipazione per i consultori familiari di Trieste sono entrate nel Consultorio familiare di via San Marco e hanno deciso che deve rimanere aperto

Alla vigilia della Giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne, Non Una Di Meno e il Comitato di partecipazione per i consultori familiari di Trieste, insieme a molte cittadine e utenti dei consultori, sono entrate nel Consultorio familiare di via San Marco e hanno deciso che questo consultorio deve rimanere aperto. Si è trattato di un atto dimostrativo nonviolento contro la chiusura dei consultori di San Giacomo e San Giovanni, di una presa di parola collettiva in nome delle 106 donne morte ammazzate da un femminicida in Italia da inizio 2023 fino a quel giorno; di un’azione partecipativa per dire che abbiamo bisogno di servizi di prossimità, vicini alle persone, in grado di intercettare i segnali della violenza, in grado di riconoscere le malattie prima che sia troppo tardi, in grado di fare prevenzione ed educazione alla salute.

Cosa sono i consultori

Il consultorio è un luogo per la cura delle persone dove la salute viene tutelata in tutte le sue dimensioni: fisiche, psicologiche, sociali. È una struttura fisica con una forte dimensione territoriale, perché è un luogo deputato a servizi di prossimità. Questo significa che ogni consultorio deve servire un numero limitato di persone, deve essere facilmente raggiungibile e deve operare in stretto collegamento con gli altri servizi della zona e con la comunità dei quartieri o del territorio cui fa riferimento.

I  consultori sono nati dal basso, da gruppi di donne femministe che negli anni Settanta hanno creato i servizi di cui avevano bisogno per sopravvivere e scegliere sui propri corpi, senza aspettare che venissero messi loro a disposizione dall’alto. Sono luoghi nati come supporto all’autodeterminazione delle donne, per la salute sessuale fisica e per il benessere psicologico e sociale delle persone. Sono luoghi in cui si intrecciano il sapere professionale e i saperi situati (cioè quelli che vengono dalle esperienze di vita soggettive), in cui si parla di sessualità sfidando i limiti di un Paese ancora fortemente cattolico. I Consultori familiari, istituiti nel 1975, con la Legge 45, sono spazi femministi separati, dove ci si prende cura a partire dalla presa di parola e dove la salute e la malattia sono prese in carico in quella complessità somato-psichica, socio-economica e relazionale. Hanno un approccio olistico alla salute, che si riflette nella dimensione costitutivamente multidisciplinare dell’équipe (ginecologa, ostetrica, psicologa, assistente sociale) e il loro mandato prevede la promozione attiva della salute.

Grazie al fatto che nascono anche come luoghi autogestiti, i consultori vorrebbero favorire un dialogo tra i saperi medici, tecnici e i saperi situati delle esperienze mutualistiche e del supporto tra pari. Tuttavia, nel corso del tempo i consultori hanno subito un processo di istituzionalizzazione: sono stati normati con la legge 405/1975 che ne delinea gli scopi definisce il personale, stabilisce che siano gratuiti i servizi e i farmaci che vi si prescrivono.  

In questo processo, i consultori hanno però perso il loro ruolo politico: lo Stato e suoi governi, centrali e regionali, ne hanno confinato le possibilità, rendendoli capaci di rispondere ai bisogni delle donne etero partorienti e della famiglia normativa; hanno lasciato invece ai margini “tutto il resto” ovvero i bisogni di salute sessuale, affettiva e relazionale e di prevenzione di tutte quelle persone che non stanno partorendo o non hanno appena partorito o, addirittura, che non si riconoscono nelle norme dominanti di genere, famiglia e sessualità e vi si ribellano.

La politica governativa degli ultimi anni cerca sempre più di rendere i consultori un luogo di riproduzione delle norme sociali conservatrici, favorendo persino l’ingresso di gruppi antiabortisti, come i cosiddetti centri di aiuto alla vita, nelle strutture pubbliche. Tra gli strumenti impiegati per depotenziare il ruolo politico dei consultori ci sono state le politiche di sottofinanziamento. I consultori, non opportunamente sovvenzionati, si sono impoveriti e questo ha portato a un progressivo e continuo taglio dei servizi. Oggi nelle strutture il personale risulta insufficiente e le liste d’attesa molto lunghe. Infatti, come accade in molti altri servizi, è solo dichiarando necessità che vengono valutate urgenti che si viene accolt* immediatamente.

Nel processo di istituzionalizzazione, comunque, la dimensione territoriale e locale dei consultori sarebbe stata formalmente tutelata da normative, confermate dal decreto 77/2022 del Ministero della Salute, che prescrive, utilizzando i fondi del Pnrr, la presenza di un consultorio ogni 20mila abitanti. Tuttavia questo standard viene spesso ignorato.

I Consultori a Trieste e la riorganizzazione dell’Azienda sanitaria

Secondo una recente indagine dell’Istituto superiore di sanità (ISS), in Friuli-Venezia Giulia il numero di consultori è già oggi molto inferiore allo standard raccomandato e, nonostante le sedi disponibili presentino buone performances, la capacità attrattiva rispetto alla popolazione residente è molto inferiore rispetto all’atteso. I consultori già così come sono non sono sufficienti a rispondere ai bisogni reali della popolazione e spesso non riescono neppure a intercettarli. Inoltre, in Italia la normativa (L. 34/96, confermata dal D.M. 77/22) prevede un consultorio ogni 20mila abitanti nelle aree urbane: il Fvg ne ha una ogni 47mila, la quarta regione peggiore dopo Molise, Provincia autonoma di Bolzano e Veneto. Trieste attualmente ne ha uno ogni 49 mila; con il dimezzamento ne avrà uno ogni 98mila.

Inoltre, le sedi attive si trovano in carenza di personale: per ogni équipe multidisciplinare, mancano 25 ore settimanali di assistente sociale, 11 ore settimanali di ostetrica, 6 ore di ginecologa e una di psicologa (indagine ISS), e questi dati risalgono a prima dei recenti pensionamenti.

Questo avviene nonostante la legge regionale, con la quale il Friuli-Venezia Giulia ha istituito i consultori (81/1978), ribadisca e garantisca la natura di servizio di prossimità dei consultori con la loro ineliminabile dimensione territoriale, che consente un contatto diretto e immediato con chi abita e attraversa la città.

Dal 2014 è stata tentata più volte la riorganizzazione delle aziende che compongono il sistema sanitario regionale (L.R. 17 2014, mai applicata). Fin dalle sue prime formulazioni, questa riorganizzazione fa uso del modello “hub spoke”, di cui si parla anche oggi in relazione al Pnrr. Questo modello prevede centri specializzati e strutture periferiche territoriali. Il primo tentativo di riorganizzazione è fallito, ma pochi anni dopo, due nuove leggi regionali (L. 27 2018 e L. 22 2019) hanno colpito direttamente alcune strutture del Sistema sanitario, per esempio con l’accorpamento delle Aziende sanitarie Asuits di Trieste e Basso Isontina, che hanno formato Asugi (Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina).

Tra gli scopi delle leggi regionali che cambiano l’organizzazione del sistema sanitario, c’era la «valorizzazione del ruolo del distretto, anche con un corretto dimensionamento delle sue articolazioni territoriali» e l’atto aziendale che riorganizza i distretti, uscito a maggio 2022, prevedeva il dimezzamento dei distretti triestini da quattro a due.

In Fvg , i consultori sono legati ai distretti; di conseguenza, al dimezzamento dei distretti, Asugi ha fatto corrispondere il dimezzamento delle sedi consultoriali, per quanto non sia scritto da nessuna parte che un distretto non possa avere più di un consultorio. Nell’estate del 2022, Asugi ha deciso di chiudere due consultori su quattro nella città di Trieste, quelli di San Giacomo e San Giovanni.

La mobilitazione: meno Rolex più sanità!

Da quando questa notizia è diventata pubblica, il nodo locale di Non Una Di Meno ha dato il via a una mobilitazione ampia e sfaccettata. Sono state organizzate varie assemblee pubbliche molto partecipate e il 28 giugno, centinaia di persone hanno partecipato a una grande manifestazione cittadina contro la chiusura dei consultori.

Nel maggio 2023 si è costituito anche il Comitato di partecipazione per i consultori familiari, un organo di partecipazione istituzionale che ha organizzato, tra le altre cose, una raccolta firme e una serie di presidi davanti alle sedi consultoriali. Nel luglio 2023, il Comitato ha incontrato il direttore Antonio Poggiana e altri membri della dirigenza Asugi. Nel comunicato aziendale che ha seguito quell’incontro Asugi rivendicava i motivi dell’atto di programmazione, ribadendo che «si è ipotizzata l’esistenza di due sedi cittadine (hub), una a Valmaura e l’altra a Roiano». All’incontro, che l’Azienda denominava come «un punto di inizio», non è seguito nessun momento di partecipazione cittadina.

Asugi negava ciò che stava succedendo silenziosamente già da mesi: le professioniste che vanno in pensione non vengono sostituite e la sospensione di vari servizi sospesi in attesa dell’accorpamento, tra i quali lo Spazio giovani di San Giovanni. Il 7 novembre era prevista un’audizione in III Commissione, organo del Consiglio regionale che si occupa di sanità. La commissione, richiesta a luglio dal Patto per l’Autonomia (un partito locale), non c’è stata ed è stata riprogrammata per il 6 dicembre.

Il consultorio aperto

Di fronte al disinteresse istituzionale rispetto alle istanze sollevate dalla mobilitazione, oggi 24 novembre un gruppo di decine di cittadine ha deciso di entrare nel consultorio di via San Marco e di tenerlo aperto fuori dall’orario di servizio per denunciare la prossima chiusura.

Per fare una società più giusta, ci vuole l’accesso alla salute libero e gratuito per tutt*. Per fare una società meno violenta, bisogna investire in salute e istruzione, non in armi e grandi opere. Per fare una vita più libera, bisogna poter aver accesso facile e gratuito alla contraccezione e all’aborto. Per fare una maternità più serena, ci vogliono percorsi nascita pubblici, gratuiti, di qualità. Per fare il benessere psicofisico, ci vuole una cura della salute mentale pubblica e gratuita, per tutte le fasce d’età.

È un atto di rumore contro i minuti di silenzio: non staremo zitte mentre ci ammazzate. Non staremo zitte mentre ci togliete la possibilità di essere curate. Non staremo zitte mentre togliete soldi alla sanità e la chiamate riorganizzazione. Non staremo zitte mentre chiedete alle scuole di rispettare i minuti di silenzio per le vittime di femminicidio e distruggete i già troppo pochi progetti di educazione all’affettività e alla sessualità.

Immagine di copertina e nell’articolo di Lisa Capasso, corteo di Roma, 25 novembre 2023