EUROPA

Avvoltoi a banchetto su Majdan

Sull’Ucraina volteggiano gli avvoltoi in stormi contrapposti. Inneggiano alla libertà e guardano avidamente alla preda, già abbattuta o in fuga scomposta. L’Ucraina è fertile terra nera.

Partiamo da una facile previsione: le potenze finanziarie e politiche occidentali e Putin vogliono fare carne di porco dell’Ucraina, spartendosela come fecero Hitler e Stalin con la Polonia nel 1939. Con la differenza che gli occidentali sono divisi al loro interno fra linea USA e linea Germania e soprattutto sono molto cauti a farsi carico di un boccone così grosso, pieno di debiti, forza lavoro eccedente e nazistoidi, mentre i russi sono più disposti ad accollarsi i russofoni in una logica imperiale tradizionale (popolazione, carbone, basi navali e carri armati). USA ed Europa fanno la voce grossa ma in sostanza prendono atto della secessione della Crimea e in prospettiva della perdita di qualche regione orientale.

Obama vuole rompere con Putin sul piano economico per indebolire l’UE costringendola a sobbarcarsi il disastro di Kiev, mentre la Merkel, seguita da uno scodinzolante Renzi e da un entusiasta Berlusconi (per non parlare della dirigenza ENI), vuole mantenere il suo buon mercato russo ed evitare di ritrovarsi incastrata tra una futura Francia lepenista e un’Ucraina di destra piuttosto estrema. Cosa su cui ovviamente sono d’accordo i partner socialdemocratici, l’onesto Schrõder e il PSE, cui di fresco ha aderito il PD –ma che bella coincidenza…

Uno spiraglio di luce si è aperto retrospettivamente sull’attacco di Alan Friedman a Napolitano, cui fece seguito l’abbandono di Letta e la scalata di Renzi al governo. Non serviva soltanto per rimuovere le perplessità del Presidente-badante sul rampante Blair di Rignano, ma forse per affievolire preventivamente eventuali resistenze di un troppo filo-americano alla svolta merkeliana del futuro Premier. Non è, del resto, un mistero che Napolitano per molti anni si è opposto all’adesione del PD al PSE, prima per salvaguardare soluzioni uliviste, poi per non disturbare le Larghe e le Piccole intese e solo di recente, guarda caso dopo essere stato messo in mutande, ha acconsentito alla candidatura Schulz alla testa della Commissione europea. Adesso ha tenuto duro sul “tecnico” Padoan (cioè sul commissario FMI) e su un ministro della Giustizia “comprensivo”, ma ha smollato sulla linea internazionale, magari commosso dal cigolio dei carri armati, che sempre caro gli fu…

L’Italia, dunque, spenderà qualche sobria parola sui diritti umani e l’indipendenza violata, incasserà il dissesto dei 435 sportelli ucraini di Unicredit, declinerà l’invito a contribuire in termini finanziari e si arrabatterà con Kiev e Tripoli per le forniture di gas. Per il resto si allinea alla Germania per rendere impalpabili le sanzioni economiche alla Russia e non compromettere i propri affari con Putin e con il Kazakistan.

Il fatto che sull’Ucraina emergano le contraddizioni europee, il lavoro ai fianchi di Obama, il rischio di un trionfo populista alle elezioni e l’insidiosa dissoluzione dell’asse Parigi-Berlino che potrebbe esserne la prima conseguenza, visti i sondaggi favorevoli a Marine Lepen, non toglie che la principale attenzione del movimento italiano e delle reti transnazionali che si sono formate in Europa deve volgersi al settore più proprio cioè alla natura e alle prospettive delle forze che hanno animato Majdan e poi sono state strumentalizzate dalle grandi manovre degli oligarchi ucraini che hanno colto l’occasione per rovesciare Janukovic (un colpo di stato per revocare una discussa precedente presa del potere). Più precisamente: chi ha buttato giù il dittatore ha sfruttato il sangue versato dal movimento di Majdan e si è avvalso della tacita complicità russa. Putin infatti voleva che qualcun altro lo sbarazzasse dell’infido Janukovic (oggi dichiarato “presidente legittimo”, ma “senza un futuro politico”), fornendogli al tempo stesso il pretesto per mettere sotto controllo Sebastopoli, il resto della Crimea e qualche regione orientale russofona del paese. Che poi a EuroMajdan ci fossero anche un po’ di nazisti –peraltro ben rappresentati anche prima in parlamento– e che (assai più pesantemente) il nuovo governo “rivoluzionario” fosse formato da nazionalisti ed estremisti di destra offriva una splendida giustificazione a una retorica antifascista da Grande Guerra Patriottica che avrebbe consolidato il consenso in Russia e fatto magari dei proseliti fra gli ingenui occidentali.

Tuttavia non credo che vadano assecondati i toni di saccente geopolitica e rassegnato realismo con cui una parte del movimento constata le difficoltà di un conflitto di classe e perfino di istanze libertarie nel contesto di Majdan, ancor meno suggestivo è prendere per antifascismo e bolscevismo le pulsioni neo-zariste di Putin e degli oligarchi filo-russi locali, in nulla differenti da quelli che hanno fatto la scelta occidentale o che recitano due parti in commedia, come Julija Timoscenko. Putin si rifà alla tradizione espansiva e protettiva degli zar con tanto di cosacchi e turiboli e croci ortodosse, nulla a che vedere con il bolscevismo di Lenin e neppure con il centralismo grande-russo di Stalin. Minoranze etniche, autonomia sindacale e politica e libertà sessuale staranno sotto di lui come sovversivi ed ebrei in un regime Pravij Sektor e Stepan Bandera Trident o come stavano i manifestanti finiti nelle grinfie delle “Aquile” antisommossa, i Berkut.

La composizione assai spuria della piazza e il carattere di destra della soluzione governativa prevalsa non cancellano le buone ragioni della rivolta contro il dittatore Janukovic. Un conto è farsi illusioni su qualsiasi agitazione, un altro abbandonare gli insorgenti appena si scatenano contraddizioni e captazioni in perversi meccanismi etnici o religiosi. La solidarietà alle vittime della repressione è davvero un minimo sindacale, come si usa per le cariche e gli arresti in Italia, anche in presenza di dubbi sulla validità delle singole iniziative. Ma il fatto è che non si tratta di raccattare i sopravvissuti, bensì di aiutare le tendenze rivoluzionarie di un movimento che è tuttora in corso in una situazione aperta. E che, quand’anche dovesse chiudersi, non è indifferente che vada a parare in un regime neoliberista di tipo polacco, alla Tusk, o in un regime fascisteggiante di tipo ungherese, alla Orbán.

Questo è uno sguardo dall’esterno (non crediamo che, per la sua vaghezza, sia “dall’alto”!) e richiede di essere sostanziato (non meramente “integrato”) dalle voci dall’interno, che abbiamo cominciato a pubblicare su questo sito. Vorremmo rovinare il banchetto su Majdan, farli vomitare fino a strozzarsi.