ITALIA

Armi all’Egitto, lo sporco affare militare tra Roma e il Cairo

Secondo la Rete Disarmo, sarebbe imminente la vendita di ingenti forniture militari da parte del Governo italiano alle forze armate dell’Egitto. Un’operazione in completo spregio delle norme, che andrebbe ad armare un paese in conflitto oltre che a calpestare la memoria di Giulio Regeni. Un’intervista a Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere (OPAL) e della Rete italiana per il disarmo

La rete disarmo ha denunciato manovre per una partita di armi verso l’Egitto, ci puoi dire concretamente di cosa si tratta?

È il nuovo “affare militare” in trattativa tra Roma e il Cairo. Un maxi-contratto, che è già stato definito “la commessa del secolo”. Comprende due fregate multiruolo Fremm originariamente destinate alla Marina miliare italiana (la Spartaco Schergat e la Emilio Bianchi del valore di 1,2 miliardi di euro) e altre quattro fregate, 20 pattugliatori (che potrebbero essere costruiti nei cantieri egiziani), 24 caccia multiruolo Eurofighter e altrettanti aerei addestratori M346.

 

Quali leggi italiane viola una compravendita di questo tipo?

La legge n. 185 del 1990 che regolamenta le esportazioni di armamenti, prevede espressamente il divieto a esportare armamenti e sistemi militari «verso i Paesi in stato di conflitto armato», «verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione» e «verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’UE o del Consiglio d’Europa» (art. 1). L’Egitto non solo è un paese coinvolto nel conflitto in Yemen a fianco della coalizione a guida saudita e sostiene militarmente il generale Haftar in Libia (per di più, nel campo opposto al governo Serraj teoricamente sostenuto come legittimo dall’Italia), ma – come riportano due risoluzioni del Parlamento europeo (Risoluzione 13 dicembre 2018 e Risoluzione 24 ottobre 2019) – il suo governo è responsabile di gravissime violazioni dei diritti umani, fra cui lo scempio di Giulio Regeni.

 

Amnesty e Rete Disarmo hanno lanciato una campagna proprio su questa tematica, in cosa consiste e come si può partecipare?

È la campagna di mobilitazione, soprattutto attraverso i social media, denominata “#StopArmiEgitto“. La campagna chiede innanzitutto a deputati e senatori di pretendere un dibattito aperto e chiaro in Parlamento sulle annunciate forniture di sistemi militari all’Egitto e soprattutto chiede al Governo di bloccare qualsiasi ipotesi di nuove forniture militari alle forze armate di al-Sisi.

Si può partecipare inviando un video di 30 secondi esplicitando il dissenso alla vendita di armi all’Egitto e il sostegno alle richieste della campagna o anche scattando una propria foto con le grafiche della campagna e usando l’hashtag #StopArmiEgitto.

 

Poche settimane fa avete pubblicato il report sulle esportazioni del 2019. Quali sono i dati più rilevanti e come si collegano a questa scelta di vendere all’Egitto?

Ciò che emerge con chiarezza da diversi anni è che l’Italia continua a esportare armamenti soprattutto nelle zone di maggior tensione del mondo e a Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. L’ultima Relazione governativa riporta che il 62,7% delle esportazioni militari italiane è destinato a governi che non appartengono alla Nato e all’Ue e la maggior parte, cioè praticamente un terzo, riguarda forniture a Paesi del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale. Egitto e Turkmenistan sono i principali acquirenti del 2019, ma negli ultimi anni sono state consistenti le esportazioni militari soprattutto al Qatar, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Israele, Algeria, Turchia e Marocco. Alle forze armate dell’Egitto nel 2019 sono state rilasciate autorizzazioni per forniture di sistemi militari per oltre 871 milioni di euro: la gran parte riguarda 32 elicotteri della Agusta Westland del gruppo a controllo statale Leonardo (24 elicotteri AW149 più otto AW189, tutti predisposti di mitragliatrici).

 

Questa scelta è in piena continuità con altre scelte in materia di difesa da parte di questo governo, basti pensare alle industrie di armamenti operative durante la pandemia Covid-19.  Che valutazione date rispetto a questo specifico aspetto, per questo governo che si vantava di essere il governo della “discontinuità”?

Finora di discontinuità se n’è vista poca. Non solo, come ho appena detto, sono proseguite le autorizzazioni all’esportazione a Paesi in zone di conflitto, ma sono state aumentate anche le spese militari. Come riporta un dettagliato studio dell’Osservatorio Milex, la spesa militare previsionale 2020 ha registrato un aumento di oltre 1,5 miliardi di euro pari a oltre il 6% in più su base annua, sia per la crescita diretta del bilancio proprio del Ministero della Difesa sia per il mantenimento di alti livelli di spesa di natura militare anche su altri Dicasteri. Continua a essere in crescita la quota di investimento per nuovi sistemi d’arma del Ministero per lo Sviluppo Economico (ormai arrivata a quasi tre miliardi) ma è soprattutto la decisa risalita degli investimenti per armi allocati sul bilancio della Difesa (circa 2,8 miliardi con un +40% rispetto al 2019) a portare i fondi a disposizione per acquisti di nuove armi a un livello record di quasi 6 miliardi. A tutto questo si aggiunga l’annuncio, nel bel mezzo della pandemia da Covid-19, dell’acquisto di due nuovi sommergibili U-212 per la Marina Militare. Dov’è la discontinuità?