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Il primo fumetto firmato Lo Stato Sociale

Andrea è il primo fumetto di Luca Genovese dello Stato Sociale che si domanda: «Dopo quanto può diventare opprimente una routine?»

In libreria, per la Feltrinelli Comics, arriva il fumetto “Andrea”, disegnato da Luca Genovese, scritto da Alberto “Bebo” Guidetti e firmato Lo Stato Sociale.

È la storia di di un trentenne gestore di un bar di Bologna, che di punto in bianco riceve la notizia che il suo locale dovrà essere ricollocato per far spazio a una nuova strada e a un cantiere che rinnoverà – riqualificandolo, ovviamente – il quartiere periferico al di là delle mura della città emiliana in cui si trova la sua attività.

È una storia che parla prevalentemente delle trasformazioni urbanistiche delle città e di come queste incidano sulla vita degli abitanti.

Ma c’è anche altro nelle sue 128 pagine: c’è un racconto intimo della vita di un trentenne in questo Paese, così come un affresco delle relazioni tra le persone che, grazie al suo punto d’osservazione privilegiato (il bancone di un bar), Andrea è capace di raccontarci.

Per questo il libro ha la forza di parlare a chi lo legge e soprattutto riesce, immediatamente, a descrivere una condizione generale. Travalica, infatti, la singola vicenda del protagonista per metterci di fronte a quella che è anche la nostra personale esperienza. Sia come “osservatori urbani” sia come attori dei luoghi che attraversiamo.

Siamo tutti un po’ Andrea.

Appena chiuso il volume, infatti, ho alzato la testa e guardato fuori dalla finestra. La prima cosa che ho visto è stata una gru che svettava nel cielo autunnale della mia finestra di “periferia”.

Sembrava di essere ancora dentro la storia appena letta, ma anche immediatamente altrove …

Il panorama che mi si è aperto davanti, d’altronde, altro non è se non il paesaggio – ormai canonico – delle nostre città. Gru, cantieri, demolizioni, costruzioni (le traduzioni materiali della parola “riqualificazione” oggi tanto di moda) compongono la visuale su cui quotidianamente posiamo lo sguardo, tanto in periferia quanto nel centro delle metropoli, tanto a Roma quanto a Bologna… ma anche in molti (troppi) altri luoghi.

Mi soffermo molto sull’ambiente in cui la vicenda si svolge, perché nel libro il paesaggio ha un ruolo fondamentale. Scomodando, in maniera un po’ scomposta, l’ecologia sappiamo che il paesaggio non è definito solamente da una componente, bensì dalle relazioni tra tutte le sue parti. È un complesso intreccio tra fattori sia biotici – come uomo, animali e piante – che abiotici in relazioni tra loro. La scienza appena citata ci parla quindi di un’ambiente dinamico e mutevole che si modifica costantemente attorno a noi. La miriade di cantieri che ci circondano sembra confermarlo.

Ma cosa succede se, come ci fa notare Andrea, in realtà nulla cambia davvero?

Cosa succede se vengono meno le relazioni tra le componenti che formano il nostro vissuto?

Il fumetto, in fin dei conti, è una storia di immobilismo sostanziale in cui versano tanto le città quanto le vite di chi le abita, ormai tutte isolate in se stesse.

«Dopo quanto può diventare opprimente una routine?» è la domanda che ci accompagna per tutto il libro e a cui sembra non esserci una risposta chiara.

Anche i toni sporchi e cupi del disegno di Luca Genovese, con l’uso di linee non chiuse e un’ibridazione tra testo e disegno che ricorda molto il Pentothal di Pazienza, carica questo senso d’angoscia

Nel libro, oltre ad Andrea compaiono altri personaggi, ma le interazioni tra questi sono minime ed effimere. Svolgono il ruolo di comparse. La solitudine di tutti i soggetti che si muovono nel fumetto sembra mostrare come ormai siamo stati sopraffatti da un ineluttabile destino di sconfitta. Persino di fronte a un cambiamento drastico come la chiusura dell’attività di famiglia sembra non esser possibile opporre alcuna forma di resistenza.

Che fare quindi?

La risposta sembra darcela inconsciamente Andrea in un momento di sconforto quando dice « […] ora nelle nostre vite la vera lotta è restare normali … riuscire a non impazzire, reggere l’urto con un mondo non solo più stratificato, ma molto più depressivo».

Ed è questa la chiave.

Poiché «il mondo non ascolta chi chiede di rallentare, fermarsi, scendere […]» e «in questa società […] la spinta è solo in avanti, la misura è l’avanzamento a ogni costo». Una soluzione è ricreare delle reti tra di noi, aiutandoci l’un l’altro…

Detto in altre parole tornare a incontrarci e stare assieme. Anche solo per il tempo di un caffè… magari al bancone del bar di Andrea.