MONDO

Amazzonia, solo i popoli possono salvarla

Una riflessione del pensatore e militante uruguayano sugli incendi in Amazzonia e sul complesso intreccio di poteri multinazionali e statali che ruotano intorno alle grandi foreste. «Gli indios rappresentano il 5% della popolazione mondiale e proteggono l’82% della biodiversità del mondo», ha ricordato settimane fa il leader Mbya Guaraní, David Guaraní

Nonostante gli incendi in Amazzonia abbiano rappresentato il tema caldo delle ultime settimane, molto poco si è detto sui popoli indigeni, neri e contadini delle aree devastate. L’immagine che è stata trasmessa è che la salvaguardia della foresta pluviale amazzonica riguarda tutta l’umanità e che la sua distruzione è dovuta all’incapacità dei governi locali. È vero, il governo di Jair Bolsonaro ha promosso la deforestazione perché vuole che la foresta venga convertita in uno spazio produttivo per il capitale transnazionale, con monoculture e miniere a cielo aperto. Ma non è accertato, come viene invece erroneamente suggerito, che la sopravvivenza dell’umanità dipenda da questo “polmone del pianeta”.

I dati indicano che il danno causato dagli ultimi incendi è relativamente basso rispetto a quelli causati negli ultimi tre decenni, cosa che comunque non li giustifica. La superficie disboscata è diminuita in Brasile dai quasi tre milioni di ettari l’anno (nel 1995 e nel 2004) ai 450 mila ettari (2012), evidenziando lo sforzo per ridurla portato avanti dall’amministrazione Lula. Sebbene siano aumentate recentemente, i dati sulla deforestazione in quel paese rimangono molto bassi rispetto agli decenni ’90 e 2000, in base a quanto si evince osservando la serie storica.

Quest’anno, tuttavia, i peggiori incendi si sono verificati in Bolivia (con oltre 800mila ettari bruciati nonostante una porzione di foresta molto più piccola) dove Evo Morales ha promulgato leggi che hanno aumentato la deforestazione del 200%, a causa dell’impellente necessità di aumentare la frontiera agricola per via dei motivi che spiego più avanti. Lo scorso luglio il governo boliviano ha approvato il Decreto Supremo 3973, che autorizza l’abbattimento di alberi per aumentare la frontiera agricola e gli incendi controllati. D’altro canto, in Brasile sono stati rilasciati 262 fitofarmaci dall’inizio di quest’anno, che si sommano ai 239 rilasciati nel 2018. L’uso del 31% di questi prodotti non è consentito all’interno dell’Unione Europea.

Ciò che sta accadendo con l’Amazzonia non è tanto legato ai governi (per quanto quello di Bolsonaro sia criticabile) quanto alle grandi multinazionali. Le conseguenze potrebbero essere ancora peggiori, se impongono la loro volontà in accordo con i governi del Nord. Dei cinque paesi al mondo con il maggiore livello di deforestazione, tre sono sudamericani: Brasile, Bolivia e Perù. Mi sembra necessario evidenziare alcuni aspetti.

Uno. La tutela dell’Amazzonia deve essere nelle mani dei nove paesi su cui ricade e dei governi che condividono la gestione dell’Amazzonia: spetta alle popolazioni di quei paesi prendere iniziative per deporli, cambiarli o sceglierne di nuovi. Attualmente, ci sono seimila incendi in Angola e tremila in Congo rispetto ai duemila in Brasile e qualcosa di meno in Bolivia. Però il comportamento dei media è completamente diverso, forse perché l’occupazione dell’Amazzonia da parte dei “caschi verdi” delle Nazioni Unite è un obiettivo a lungo auspicato dalle potenze globali.

Un editoriale di “Le Monde” del 24 agosto chiede: «Chi è il padrone dell’Amazzonia? I nove paesi dell’America Latina sui cui territori si estende questa immensa foresta vergine? Del Brasile che ne possiede il 60%? O è del pianeta, il cui destino è legato alla salute di questa giungla?». Nello stesso articolo, questa testata “progressista” invita apertamente l’UE a fare pressioni minacciando di bloccare l’accordo con il Mercosur firmato recentemente. Ha anche l’ardire di menzionare la difesa dei popoli originari, aspetto che quel paese non ha mai rispettato né nel suo periodo coloniale né tanto meno adesso. La Francia possiede la Guyana, unica colonia che ancora persiste in Sud America.

Due. L’Amazzonia è delle popolazioni che la abitano e se ne prendono cura perché ne hanno bisogno per poter vivere. Nella foresta vivono decine di popolazioni che per cinque secoli sono state massacrate dal colonialismo e dall’imperialismo e che ora sono oppresse dalle multinazionali che si arricchiscono distruggendo per poter accumulare capitale saccheggiando le popolazioni indigene, nere e contadine.

Come ricordato settimane fa dal leader Mbya Guaraní, David Guaraní che denunciava il genocidio e il tentativo del governo di Bolsonaro di porre fine alla delimitazione della protezione delle loro terre: «Gli indios rappresentano il 5% della popolazione mondiale e proteggono l’82% della biodiversità del mondo».

Indígenas protestando no palco do Lollapalooza

"Falam que é muita terra pra pouco índio mas é pouco índio protegendo a vida pro mundo inteiro sobreviver!"Essa foi a fala do David Guarani, ativista indígena, no palco do Lollapalooza.

Pubblicato da Quebrando o Tabu su Lunedì 8 aprile 2019

Tre. Nessun governo del Sud America ha una politica di conservazione dell’Amazzonia. In larga parte, perché nella divisione internazionale della produzione e del mercato a noi latinoamericani è toccato essere produttori di materie prime (minerali, soia, olio di palma, carne, tra i principali), che vengono vendute quasi esclusivamente ai paesi dell’emisfero Nord e alla Cina. Un buon esempio è il caso della Bolivia. Nel 2015 il governo di Evo Morales ha trovato un accordo con i grandi produttori dell’Est e, quindi, con le grandi multinazionali (Monsanto, Cargill e Bayern Syngenta), per espandere le zone destinate alla coltivazione di 10 milioni di ettari entro il 2025, partendo dai 4,3 milioni attualmente esistenti. Questo comporta un tasso di deforestazione pari a un milione di ettari l’anno.

A mio modo di vedere, è stato un pessimo accordo. Però il governo doveva contrastare la caduta dei prezzi degli idrocarburi e dei minerali e ottenere un accordo con l’oligarchia di Santa Cruz (metà della quale brasiliana) per mantenere in vita il suo governo, minacciato da quella stessa oligarchia, e non fare la fine del Venezuela. Come possiamo vedere, la questione non è affatto semplice. Difendere la “salvaguardia” dell’Amazzonia dal Nord del pianeta non è il modo migliore, poiché ignora i popoli e i paesi la cui sovranità non può e non deve essere violata, con argomentazioni che utilizzano la natura come scusa per mettere in pratica una nuova forma di colonialismo.

Articolo originale pubblicato su naiz.eus

Traduzione in italiano a cura di Michele Fazioli per DINAMOpress

Foto di copertina di Nacho Yuchark, lavaca.org