MONDO

L’Amazzonia brucia

L’Amazzonia brasiliana brucia da 19 giorni. Le organizzazioni ambientaliste denunciano che i roghi sono stati causati intenzionalmente con la complicità del governo di Jair Bolsonaro. Questo crimine ambientale porta gravi conseguenze climatiche ed ecologiche che possono avere conseguenze catastrofiche

L’Amazzonia è la regione tropicale più grande del pianeta. È una fitta foresta subtropicale umida, con piccole porzioni di varietà diverse di vegetazione. È stata a lungo riconosciuta come una riserva di funzioni ecologiche non solo per le persone che la abitano, ma anche per il resto del mondo.

Si tratta inoltre del’unica foresta tropicale di quella dimensione e diversità ancora esistente. Produce il 20% dell’ossigeno mondiale ed è la più importante riserva di carbonio dell’America Latina. Da questo punto di vista, rappresenta uno degli strumenti più efficaci nella lotta contro i cambiamenti climatici.

Questo bioma è condiviso tra nove paesi e il Brasile è quello con la porzione di territorio maggiore. Possiede il 28% delle aree naturali protette, che fanno parte del sistema stato, e un altro 23% che sono territori indigeni.

La deforestazione e il disboscamento indiscriminato cercano di espandere le frontiere dell’agricoltura, del pascolo e dell’allevamento del bestiame (per rifornire le esportazioni di carne e soia), alimentano l’estrazione di legname e minerali e promuovono la costruzione di grandi infrastrutture in tutta la foresta.

Bruciare per affari

Farlo nelle aree protette, è illegale, a meno che, naturalmente, la zona che vogliamo abbattere non prenda accidentalmente fuoco. L’Istituto Brasiliano dell’Ambiente e delle risorse naturali rinnovabili (IBAMA) stima che l’80% di tutti i disboscamenti in Amazzonia sia di origine illegale, ma non può fare molto al riguardo. Sebbene il Brasile abbia molte leggi che potrebbero fermare la deforestazione e promuovere l’uso sostenibile delle risorse, il definanziamento subito da questa istituzione ne rende impossibile la regolamentazione.

Solo quest’anno, il Brasile ha registrato 72.843 focolai di incendi rilevati dall’Istituto nazionale di ricerche spaziali (INPE). È la cifra più alta dal 2013, quando questi dati hanno cominciato a essere divulgati, e rappresenta un aumento dell’83% rispetto allo stesso periodo del 2018.

Da giovedì scorso [15 agosto 2019 – ndt], le immagini satellitari dell’INPE hanno rilevato quasi 10 mila nuovi incendi boschivi nel paese, principalmente nel bacino amazzonico dove sono state colpite 68 riserve protette. Sebbene siamo comunque nella stagione secca e la probabilità sia maggiore, l’incidenza è talmente alta che i funzionari del governo hanno assicurato che sono intenzionali.

Non sorprende nemmeno che l’espansione degli incendi dolosi coincida con l’elezione di Jair Bolsonaro come Presidente del Brasile. Lui per primo ha iniziato ad attaccare tutti i tipi di attivismo, compreso quello ambientale.

«Il Brasile non deve rendere conto al mondo per quel che riguarda la conservazione dell’ambiente», proclamava Bolsonaro durante la sua visita in Cile all’inizio di quest’anno. Durante la campagna elettorale dichiarava che non avrebbe protetto nemmeno un millimetro di terra che avrebbe potuto essere sfruttato, ritenendo l’accordo di Parigi sui cambiamenti ambientali come un ostacolo per la proprietà terriera. Inoltre, il presidente ha recentemente licenziato il direttore dell’INPE, dopo aver criticato come imprecise le statistiche dell’ente pubblico che evidenziavano l’accelerazione della deforestazione nel paese.

Questo governo non ha nemmeno rinnovato il programma promosso dall’ex presidente Dilma Rousseff (“Borsa Verde”) che aveva l’obiettivo di preservare l’area amazzonica concedendo incentivi ai produttori locali che applicano metodi agricoli sostenibili ed evitano il disboscamento delle loro proprietà.

In relazione alle popolazioni indigene, le misure sono ancora più drastiche. Nel 2017 dichiarava: «Non verrà tracciato nemmeno un centimetro di confine per una riserva indigena o una quilombola» (territorio per i discendenti delle comunità di schiavi africani). Nel primo giorno di mandato ha ordinato il trasferimento dell’onere della demarcazione delle terre indigene, che prima era affidato alla Fondazione Nazionale dell’Indio (FUNAI), al Ministero dell’Agricoltura.

Il suo negazionismo verso i cambiamenti climatici e i diritti delle comunità che hanno abitato queste terre per secoli, è preoccupante. Gli incendi dolosi per facilitare l’avanzamento del modello agricolo egemonico avranno conseguenze ecologiche incalcolabili per le persone che vivono nella foresta e conseguenze climatiche per tutti. Continuando così, possono essere catastrofiche.

Un aumento ancora maggiore delle emissioni di gas serra contribuisce agli squilibri che stiamo già vivendo: alluvioni, temperature estreme, scioglimento dei ghiacciai, ecc. Fermare gli incendi dolosi è un obiettivo urgente per salvaguardare la vita delle persone che vivono lì, fermare il disastro ecologico che ne può generare e contribuire alla lotta contro il cambiamento climatico.

Articolo pubblicato su notasperiodismopopular

Traduzione di Michele Fazioli per DINAMOpress

CORREZIONE

Su segnalazione dei nostri lettori abbiamo ricontrollato il dato riportato in questo articolo secondo cui l’Amazzonia produrrebbe il 20% dell’ossigeno mondiale. La cifra sta ampiamente circolando su molti mezzi di informazione ma risulta essere incorretta. Secondo gli scienziati del clima Michael Mann e Jonhatan Foley, citati in questo lungo e approfondito articolo di The Guardian, la percentuale non supera il 6% (per una serie di motivi spiegati nel testo). Anche il ricercatore in scienze forestali dell’università di Milano Giorgio Vacchiano concorda sul tetto massimo di incidenza della foresta amazzonica nella produzione di ossigeno globale. In questo senso, il danno principale generato dai roghi sarebbe collegato soprattutto all’aumento di immissione di anidride carbonica, più che alla diminuzione dell’ossigeno. Ringraziamo per la segnalazione.