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#6D. Let’s unite! È l’Europa che ce lo chiede.

Se siamo di fronte a una nuova accumulazione originaria del capitalismo finanziario, una nuova accumulazione di forze è urgente e necessaria. Complessa e semplice al tempo stesso. Let’s unite!

Il 6 Dicembre è una tappa fondamentale dell’autunno 2012, in cui il protagonismo giovanile ha riaperto inaspettatamente spazi di opposizione alle politiche di austerity del governo Monti. La convergenza tra lo sciopero generale indetto dalla Fiom e la mobilitazione generale del mondo della formazione può essere un passo decisivo. Se non rimane un episodio e se l’urgenza della coalizione diventa quotidiana.

In queste settimane abbiamo assistito increduli al rito delle primarie di un centrosinistra che, mentre simula forme di democrazia diretta, scrive il programma dei prossimi governi direttamente in Parlamento: patto di stabilità, fiscal compact, pareggio di bilancio in Costituzione. Chiunque avesse vinto le Primarie, chiunque vincerà le prossime elezioni, chiunque formerà il prossimo governo, il programma è già scritto, i vincoli già sanciti. Almeno Bersani è stato sincero: “non venderemo favole”; condanniamoci all’austerity, ma “con allegria, siamo italiani!”.

No! Noi siamo europei, mediterranei, cittadini globali e la nostra allegria è carica di rabbia.

A fronte di alcuni milioni di votanti delle primarie (per la verità in grande percentuale pensionati), ci sono altri milioni di persone che non si vogliono rassegnare a un futuro già scritto. Non sono inguaribili sognatori, utopisti di belle speranze, ma milioni di uomini e donne, che hanno capito che o si ribellano ora o sarà troppo tardi. C’è l’urgenza di fermare la dismissione totale di ogni forma di welfare e di diritto sociale. C’è l’urgenza di ribaltare le agende dei governi e imporre cambiamenti radicali.

Il movimento degli studenti e degli insegnanti, che ha paralizzato scuole e città di mezza Italia, ha ottenuto un primo obiettivo. Il pdl Aprea si è impantanato. Motivi tecnici per un governo tecnico! Ma perché gli studenti non si accontentano e sono pronti a invadere e bloccare nuovamente le città italiane?

Le piazze giovanissime, ma molto mature, di questo autunno hanno avuto fin dall’inizio carattere generale. Si opponevano a un provvedimento del governo bipartisan, ma con consapevolezza hanno sempre denunciato gli effetti devastanti di un “governo bipartisan” del mondo della formazione che va avanti da 20 anni, attraverso riforme demenziali e tagli violenti. Da Ruberti a Berlinguer, da Martinotti a Moratti, da Gelmini a Profumo. Sfumature diverse, ma effetti comuni. L’ideologia aziendalista e quella efficientista-meritocratica si sono alternate e sovrapposte, con l’effetto di distruggere dalle fondamenta l’architrave di un paese come l’Italia.

Gli studenti che si ribellano oggi, continueranno a farlo, perché non hanno nulla da perdere. Le loro scuole cadono a pezzi (qualcuno di loro le ha addirittura ristrutturate durante l’occupazione), la qualità dell’insegnamento è crollata, con lo sfruttamento degli insegnati precari. L’Università non è più una prospettiva credibile o sostenibile per molti. Il tanto sbandierato rapporto con il mondo del lavoro ha prodotto dequalificazione dei saperi, tecnicismi, settorializzazione, invece di produrre quello che studenti, insegnanti e ricercatori hanno promosso e reclamato: una qualità generale del sapere, la capacità di apprendimento continua per essere autonomi dalle fluttuazioni dei mercati. Per questo gli studenti non si fermano. A ondate diventano visibili al paese, ma giorno per giorno nelle lotte imparano. Se il mercato del lavoro è una giungla, non c’è migliore formazione della lotta.

Possiamo lasciare soli i nostri fratelli più giovani a lottare per tutti contro poteri transazionali e crisi epocali? Non sentiamo l’urgenza di ribellarci insieme?

Gli ultimi dati parlano di una disoccupazione giovanile al 35% in Italia. Se si sommano questi dati con quelli della dismissione delle aziende e con le richieste di Cassa Integrazione siamo difronte a un vero dramma sociale. La crisi finanziaria e la fine dell’egemonia occidentale sull’economia globale, in Italia sta producendo una rapidissima de-industrializzazione. La Fiat, la Sardegna e l’Ilva non sono solo simboli, ma l’infrastruttura generale di uno degli ex-8 paesi più industrializzati al mondo. Speculazione immobiliare, grandi opere e finanziarizzazione dell’economia sono le uniche ricette del mercato. Esattamente il circolo che ha prodotto la crisi finanziaria negli Stati Uniti, in Grecia e in Spagna. Eccoci, stiamo arrivando!

Eppure gli studenti sembrano soli, gli insegnanti “democratici” fanno le serrate contro le occupazioni perché sono illegali. Gli operai cercano di difendere con le unghie posti di lavoro e riconquistare il contratto nazionale. I trentaquarantenni logorati dalla precarietà e dall’intermittenza sono i grandi assenti di questa fase. La generazione che ha sperimentato per prima la distruzione del diritto del lavoro, la pervasività totale dello sfruttamento, sembra non reagire, non riesce a fare massa critica. Il grande attivismo della nostra generazione nei centri sociali, nei movimenti, nelle nuove occupazioni, in queste mobilitazioni sembra essere sempre di “supporto” alle lotte di altri. I primi interessanti tentativi dei lavoratori dello spettacolo e delle partite iva fanno ben sperare, ma è ora di coalizzarsi tra precari, intermittenti, indipendenti.

L’attitudine a produrre autonomamente della generazione precaria può essere invece linfa vitale per costruire vie di fuga da una crisi che appare senza fine. Per fermare la dismissione del welfare e dei diritti sociali, ma anche per immaginare e costruire forme alternative di economia, di produzione, di mutualismo.

Facciamo degli esempi. A Roma nell’ultimo anno abbiamo vissuto e raccontato esperimenti di coalizioni sociali territoriali. In alcuni quartieri come Casalbertone e Cinecittà attorno a lotte di lavoratori (gli Studios di Cinecittà e le Officine Rsi dei Treni Notte) sono nate coalizioni tra lavoratori e cittadini. Ad animarle e a fare da collante in tutti e due casi i centri sociali, i precari, gli studenti. Parliamo di vertenze difficili, contro speculazioni immobiliari e dismissioni di interi settori. Eppure le coalizioni hanno prodotto scioperi territoriali, occupazioni di fabbriche e studios, primi ragionamenti sull’autogestione della produzione. Alla solitudine delle vite di ognuno, si è contrapposto il fare comune.

Il 6 Dicembre sarà un’altra giornata in cui a Roma e in molte città si sperimenteranno intrecci metropolitani, tra operai, studenti e precari, in cui anche l’occupazione può diventare una forma di sciopero. Non è questo il tempo di fare addizioni tra vertenze, ma di moltiplicare conflitti costituenti, di costruire campi comuni. Possiamo fare tutto questo in una giornata? Certamente no. Ma ci sono giornate in cui è importante condensare desideri e immaginazione, rabbia immediata e sguardo lungo. Il 14 Novembre ha aperto uno squarcio nuovo e inaspettato in tutta Europa, il 6 dicembre può farci fare altra strada.

Le coalizioni sociali possono proliferare nei territori, se si ha la capacità e la disponibilità a farlo. Sono i sindacati conflittuali prima di tutto che devono mettersi a disposizione di questo processo, mettendo in discussione prassi consolidate. Nei territori metropolitani si può ricostruire quel mutualismo e quella forza contrattuale che dentro i luoghi di lavoro è stata distrutta. Sul piano europeo, come ha dimostrato il 14 novembre, si può costruire un piano comune di opposizione ai dettami della Troika. Se siamo di fronte a una nuova accumulazione originaria del capitalismo finanziario, una nuova accumulazione di forze è urgente e necessaria. Complessa e semplice al tempo stesso. Let’s unite!