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24n: “Tutta mia la città”

Nel mettere da parte la paura, le studentesse e gli studenti hanno respinto la logica dell’escalation. Questo vuol dire che si torna indietro e i confini insopportabili della legalità targata BCE e troika saranno rispettati? La risposta, evidentemente, è no.”

da huffingontonpost.it

Le cariche violentissime dello scorso 14 novembre avevano due obiettivi molto precisi: terrorizzare e spaventare i più, soprattutto le giovanissime, le più colpite dalla brutalità poliziesca; promuovere l’escalation nel conflitto di piazza. Possiamo dirci con soddisfazione, dopo la straordinaria mattinata appena conclusa, che entrambi gli obiettivi sono stati mancati, dalla Questura di Roma come dalle forze dell’ordine tutte e dalla stampa più cialtrona.

Il prefetto di Roma Pecoraro ieri pomeriggio aveva tuonato: «sotto i palazzi del potere non si arriva, sono sacri; niente caschi o libri-scudo in piazza». Oltre 15 mila, tra studenti e precari, hanno invaso Roma, bloccando la mobilità e riconquistando il centro storico, fino a lambire il Senato. Sulla testa al posto dei caschi avevano gli scolapasta, in prima fila i libri-scudo, il book-bloc. Pecoraro, per decenza, dovrebbe dimettersi, come avrebbe dovuto fare la scorsa settimana il questore romano Della Rocca di fronte alle immagini dei lacrimogeni sparati sulle teste dei manifestanti in fuga dal Ministero di grazia e giustizia di via Arenula. Si sa, non siamo un paese normale.

Ma oltre Roma sono state decine le città italiane invase dagli studenti, soprattutto medi, dai docenti precari, dalle tante figure della contemporanea povertà, giovani e meno giovani che lottano quotidianamente con la disoccupazione, le sottoretribuzioni, la solitudine. Segnale che i movimenti studenteschi sono robusti, sanno fregarsene delle scemenze che su di loro raccontano Tv e giornali, sono polo di attrazione di quella forza-lavoro qualificata che, prima della fuga o invece di fuggire, vuole strappare la dignità e la felicità perdute.

Movimenti robusti e, aggiungo, straordinariamente maturi. Nel mettere da parte la paura, le studentesse e gli studenti hanno respinto la logica dell’escalation. Questo vuol dire che si torna indietro e i confini insopportabili della legalità targata BCE e troika saranno rispettati? La risposta, evidentemente, è no. Il patto sociale che ha sostenuto la costruzione europea negli ultimi sessant’anni miseramente naufragato, così come è naufragata l’utopia neoliberale, quella del capitale umano o, come direbbe Foucault, della «demoltiplicazione della forma impresa». La crisi ha spazzato via sia l’uno che l’altra e l’austerity ha un solo obiettivo: rendere le nuove generazioni povere e dunque ricattabili, docili. Di fronte a questa offensiva, di fronte alle disuguaglianze crescenti, di fronte all’assenza di futuro, non c’è retorica della legalità (o della non-violenza) che tenga

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Ciò che ci dimostra la mattinata di oggi non è di certo la riscoperta della “buona educazione”, ma la capacità ormai comune di essere flessibili (e non feticisti) nelle pratiche di piazza, di non farsi trovare dove si è aspettati, di definire nuovo accumulo per rilanciare. Esemplificativo di questa postura, l’epica conquista del Lungotevere, gli stessi luoghi delle scorribande poliziesche e delle cariche del 14N, con i libri-scudo alti verso il cielo e il sostegno musicale di Edith Piaf e la sua Non, je ne regrette rien. A buon intenditor poche parole.

Ora si guarda già alle prossime settimane, allo sciopero dei meccanici del 6 dicembre, sicuramente occasione utile per generalizzare il conflitto, soprattutto dopo la firma del Patto sulla produttività. Ma la questione indubbiamente più importante, quella più urgente, oltre alla riappropriazione diffusa delle città, è la relazione europea dei movimenti. La discontinuità più importante del 14N è stata proprio l’estensione finalmente continentale della lotta, affermazione di una novità che non può essere, in alcun modo, dimenticata.