MOVIMENTO

2018: Tra buoni propositi per il futuro e dieci anni di crisi

I primi giorni dell’anno si passano a ideare i buoni propositi per l’anno a venire e i bilanci degli anni passati. In questo intreccio di ricordi e progetti, il 2018 è l’anno in cui si ‘celebrano’ i dieci anni dalla crisi. Un racconto in soggettiva di dieci anni di crisi, dieci anni di lotte, o semplicemente dieci anni di vita. Senza nessun fermo immagine

I primi giorni dell’anno sono solitamente giorni di ripresa, di grandi speranze, di buoni propositi, di ansie e depressioni improvvise, di liste di cose che non faremo mai, di oroscopi annuali, e di iscrizioni in palestra.

Così ci ho pensato anche io: cosa porterà il 2018? Dove andrà il 2018, con Scorpione di traverso, la nausea post-cenone, e la solita costante ansia verso il futuro sempre più incerto? E si sa quando si pensa al futuro, non ci si può che rivolgere al passato. E se si fanno i conti, il 2018 non è altro che i 10 anni dalla crisi globale, almeno per me. Certo, oggi chi ha 20 anni non ha mai vissuto la propria vita adulta “fuori dalla crisi”. Io invece si – e questo fa parte di quei momenti presa a male di inizio anno, in cui come a fine estate, ti rendi conto che “un altro anno se ne va”.

 

Nell’anno domini 2007, in un’estate calda, pochi in Europa avevano capito cosa stava accadendo, ma negli Stati Uniti le prime banche iniziavano a traballare … iniziava l’effetto domino… banche, fondi di investimento, assicurazioni… fino ad arrivare al 15 settembre 2008: la bancarotta della Lehman Brothers. La bancarotta più grande della storia. Io tornavo dal mio primo viaggio da sola, con degli ultimi biglietti scontati, iniziavo la laurea magistrale e sentivo che potevo conquistare il mondo. In una prima assemblea si parlò della paventata riforma e dei tagli all’università, mentre già si muovevano le scuole elementari contro il “maestro unico”. Erano le ennesime riforme neoliberali del comparto pubblico, all’insegna della nuova austerity, mentre al governo c’era ancora Berlusconi. Conoscevo il primo vero amore e, anche se del surf non sapevamo nulla, ci preparavamo a cavalcare l’Onda.

 

Migliaia di studenti in tutta Italia si riversarono nelle strade al grido di «Noi la crisi non la paghiamo». Era il primo movimento contro la crisi, anche se, forse, non avevamo ancora capito cosa stava accadendo. La crisi finanziaria iniziava a sorpassare l’Atlantico e l’Europa cercava di incolpare la finanza americana, lodando un vago modello europeo. Ma le cose andarono diversamente.

 

Ad ottobre del 2008, l’Ungheria firmava il primo piano di aiuti con l’Unione Europea, FMI e Banca Mondiale, seguirono la Lettonia, e la Romania. E poi arrivarono i paesi euro. Nell’ottobre del 2009, Papandreu dichiarava il vero stato delle finanze greche, e annunciava un piano di austerità lacrime e sangue. La Grecia era in fiamme.

 

Austerità, tagli agli investimenti pubblici, al welfare, aumenti delle tasse, diminuzione dei servizi pubblici essenziali. La crisi della finanza americana diventa la crisi del debito pubblico europeo. E così si trasformava anche la percezione del problema, dalla speculazione finanziaria agli Stati che avevano vissuto sopra le proprie possibilità. Le cicale del sud, contro le formiche del nord. Non più un problema di un sistema finanziario fuori controllo, ma di Stati spendaccioni. E così si potevano usare i soldi pubblici per salvare banche private, e allo stesso tempo alimentare il senso di colpa per avere vissuto oltre le proprie capacità economiche.

E così la crisi diventa una presenza costante nelle nostre vite. Da crisi finanziaria, a crisi fiscale, e poi crisi economica. Precarietà, disoccupazione, neet, aziende che chiudono. Maggio 2010: si firma il primo piano di aiuti bilaterale per la Grecia.

E poi ci sono ancora tagli, e altre terribili riforme dell’università. E noi crediamo di poter far cascare l’ultimo governo Berlusconi, mentre lui si salva per un voto di Scilipoti… e noi attraversiamo il lungo Tevere, e siamo a piazza del Popolo, ed è una generazione in rivolta. Risaliamo per il Muro torto: «Noi la crisi ve la creiamo».

Ed è il 2011, l’anno della seconda caduta. L’economia ricrolla, l’Euro sembra quasi cadere sotto il peso della speculazione. Irlanda, Portogallo e Spagna concordano un piano di aiuti. L’Austria e la Francia vengono declassate… la crisi sta arrivando verso il Nord… e le rivoluzioni arabe ci fanno sognare il cambiamento, Occupy Wall Street, le piazze spagnole, e poi gli scioperi in Grecia. L’Italia invece è ferma, si ferma tutto, non ci sono Occupy, tende in piazza, non ci sono scioperi, non c’è lavoro, e si riempie tutto di un’immensa frustrazione, cavalcata ad arte dai 5 Stelle. L’aria diventa irrespirabile. Sono in crisi tutti i gruppi studenteschi che avevano organizzato le piazze. Sono in crisi i partiti di sinistra. Sono in crisi i sindacati. Guadagnano voti solo i partiti del rancore. Io mi laureo, non trovo lavoro, finisce l’amore che credevo fosse per sempre. E la crisi diventa ansia. E come mi disse un ragazzo tanto carino: «la metà della nostra generazione soffre o di ansia o di depressione», e forse lui di tutte e due, e così non funzionò. E la soluzione a tutto diventa andare via. Ma noi, al massimo, andammo contro la Banca Centrale Europea a Francoforte.

Nell’Europa del sud, nascono i primi partiti di sinistra radicale. Ci fanno ancora sognare che qualcosa possa cambiare. Anche qui nel vecchio continente.

Vince Syriza, il partito nato tra le strade infuocate della Grecia. Syriza firma il terzo memorandum dello Stato greco, e diventa l’ennesimo governo di tagli lacrime e sangue. Non c’è uscita dal debito, non c’è uscita dall’austerità, non c’è uscita dalla crisi. Non importa se il popolo greco abbia votato No. Nessuna solidarietà si costruisce in Europa, e l’Europa non c’è più. Si rompono le speranze. L’Egitto è una dittatura, la Siria è distrutta da una guerra civile, la Libia è un caos, e in Tunisia non c’è nulla più che un governo con diretti legami con il vecchio regime. La crisi è crisi della democrazia, è crisi politica, è crisi di un’intera generazione esclusa dal lavoro, dalla politica, dalla decisione in tutto il mondo. E io mi sento esclusa da me.

Ed è l’estate della grande migrazione. Migliaia di persone si mettono in cammino, attraversano i confini europei a piedi, scappano dalla guerra, dalla fame, alla ricerca di quel futuro che neanche noi riusciamo più a vedere. È l’estate della solidarietà, delle porte aperte, delle cucine da campo, dei viaggi verso Lesvos, cerchiamo di salvare la nostra umanità, sperando di salvare delle barche. Mentre l’Europa pensa solo alle sue banche. Ma la crisi politica non si placa, e così dall’estate della solidarietà si passa verso un inverno di razzismo e nuove destre. C’è Trump, la Brexit, l’avanzata del Front National, del FPO in Austria, dell’AFD in Germania, del governo di Diritto e Giustizia (Pis) in Polonia, di Orban in Ungheria…

Io faccio della crisi finanziaria il centro della mia ricerca, scappando dalla disoccupazione con un dottorato, e scappando dall’università della crisi italiana verso la terribile Albione. La crisi è stagnazione, e c’è chi parla di “stagnazione secolare”. I poveri sono sempre più poveri, e i ricchi sono sempre più ricchi. E oggi c’è chi non hai mai vissuto una vita adulta fuori dalla crisi. Io finisco la mia ricerca e ripiombo nell’eterna ricerca di lavoro.

 

E la crisi non è mai finita. Il 2018 sarà anno di elezioni in Italia. Ed è incredibile ma si ripresenta Berlusconi, come quando scendevamo in piazza dieci anni fa. Alcuni italiani ne hanno quasi nostalgia, perché con lui si ricordano che c’era un “prima”, un prima della crisi. E così nella politica rappresentativa italiana sembra cambiato tutto, per non cambiare niente. Così come si usa dire, con il solito velo di amarezza, tutto italiano.

 

E quindi quali buoni propositi per il 2018? Oltre a dimagrire almeno 5 kg, smettere con gli stravizi dopo capodanno – e come dice Bridget Jones – trovare un ragazzo dolce e carino, evitando ansiosi e depressi, soprattutto se beccati duranti gli stravizi del capodanno… Alla fine, non si può non dire che anche la mia vita adulta non sia stata attraversata per la maggior parte dalla crisi. E la crisi è diventata parte della mia vita.

 

Il movimento femminista è l’unico ad aver colto questa connessione tra crisi strutturale delle nostre società e la crisi soggettiva e individuale che viviamo. E lo ha fatto a partire dalla violenza maschile sulle donne. Quella che viviamo è una crisi di produzione e riproduzione della nostra società, delle nostre relazioni economiche e sociali. Siamo incapaci, in prima istanza, di riprodurre, di costruire e ricostruire le nostre stesse relazioni. E da lì dobbiamo ripartire. Anche in questo 2018.