ITALIA
«Mediterranea ci interroga sul senso di quello che stiamo facendo»

Ugo Biggeri, presidente di Banca Etica, spiega perché l’istituto finanziario ha deciso di sostenere la missione e tornerebbe a farlo, nonostante alcune polemiche strumentali.
Perché Banca Etica ha sostenuto la missione Mediterranea?
La nostra banca finanzia moltissime iniziative di solidarietà che hanno a che fare con il terzo settore. Tra queste, una fetta relativamente importante riguarda il tema generale della cooperazione allo svilupppo e delle migrazioni. Soprattutto negli ultimi anni. Finanziamo molto le attività delle Ong italiane che lavorano in paesi in via di sviluppo. Finanziamo l’integrazione dei migranti in Italia, tramite il sostegno agli Sprar e alle cooperative sociali che gestiscono alcuni Cas. Quindi ci è sembrato naturale occuparci anche del salvataggio dei migranti in condizioni di difficoltà nel mar Mediterraneo. Nel Mediterraneo esiste una situazione di criticità estrema, anche perché le operazioni di soccorso sono sempre più difficili. Quando siamo stati contattati per sostenere la nascita di questo progetto, la banca ha effettivamente realizzato un percorso di accompagnamento. Così è venuto fuori che affinché il crowdfunding potesse avere successo, e quindi affinché l’iniziativa di Mediterranea fosse finanziata dalla gente che eravamo sicuri si sarebbe dimostrata sensibile, occorreva che partisse. Non si poteva aspettare di avere il crowdfunding e poi la nave. C’era una necessità finanziaria evidente: senza la nave non sarebbe partito il crowdfunding, senza i soldi non sarebbe partita la nave. Per questo abbiamo fatto un fido a revoca ai promotori dell’iniziativa in cui esisteva una parte di garanzia, ma la garanzia più grossa era data dalla convinzione che il crowdfunding avrebbe funzionato. Questo è stato il nostro ruolo: anticipare qualcosa di un po’ intangibile, ovvero il potenziale di successo di un crowdfunding.
Dopo il salvataggio di 49 esseri umani, la vostra scelta è finita al centro di una polemica. Cosa è successo?
Purtroppo in questo momento in Italia qualunque tema abbia a che fare con i migranti diventa polemica. Forse anche con un’eco eccessiva. Noi questo finanziamento, come tutti quelli che facciamo, lo abbiamo pubblicato immediatamente sul nostro sito internet. Già a ottobre ci ha intervistato il Financial Times per capire come eravamo riusciti a finanziare una missione di quel tipo. Il Financial Times, non proprio l’ultimo arrivato, ha capito subito che c’è una competenza tecnica nella valutazione di merito creditizio da parte di Banca Etica rispetto ai progetti del terzo settore. Quindi ha rilevato che non esisteva un rischio di merito creditizio, cioè che i soldi non tornassero, sottolineando però la presenza di un rischio politico. Questo perché nella situazione italiana di oggi un’operazione del genere sarebbe potuta risultare divisiva. E purtroppo è quello che si è verificato. In realtà, qualche giornale ha artificialmente costruito una polemica, perché alcuni soci si sono lamentati sui nostri social. Per capire la portata della cosa, dobbiamo dire che si è trattato di una decina di persone, di cui poi effettivamente i clienti o soci si contano sulle dita di una mano. Dall’altro lato, centinaia e centinaia di correntisti hanno esplicitamente apprezzato la nostra scelta. I giornali, però, hanno dato molta visibilità ai pochissimi soggetti che hanno promesso di chiudere i conti. Questo è indicativo di un modo più generale di gestire questo tipo di questioni.
Tornando indietro rifareste la stessa scelta?
Sicuramente. Anche perché non è stata una scelta così polemica, ma coerente con la nostra politica. Ad esempio, due settimane fa siamo stati in Mali, perché portiamo avanti dei progetti africani di microcredito attraverso il finanziamento di un milione di euro a una banca di Bamako. Abbiamo intenzione di realizzare nuovi progetti di questo tipo presso altre banche subsahariane. Riteniamo sia sensato dal punto di vista economico e faccia parte di quella filiera di solidarietà che parte dai paesi in via di sviluppo e arriva fino a casa nostra.
Qual è la sua valutazione della missione Mediterranea?
Credo che Mediterranea stia facendo un lavoro soprattutto culturale. Siamo felicissimi delle vite salvate, ma purtroppo ci sono molte molte più persone che non riescono a partire o muoiono in mezzo al mare. Quindi per la soluzione del problema quel salvataggio è una goccia nel mare. Invece dal punto di vista culturale il lavoro che stanno portando avanti gli attivisti in mare e quelli a terra ci interroga sul senso di quello che stiamo facendo. Non è pensabile gestire i temi migratori con la logica di breve periodo dell’emergenza. La popolazione africana ha in media 18 anni. Se tra 20 anni non avremo migliorato le condizioni di vita in quei paesi possiamo fare quello che ci pare, anche sparare o costruire dei muri. Ma la gente partirà e arriverà lo stesso. Bisogna lavorare sul lungo periodo.