OPINIONI

Parole come muri

In “Notizie di Chiusura”, l’ultimo rapporto dell’associazione Carta di Roma, uno sguardo sul mondo dell’informazione e sul modo in cui ha contribuito al dilagare dei sentimenti razzisti in Italia

«Li chiameremo spaventatori anziché giornalisti, perché fanno un mestiere che viola costantemente le regole base dell’informazione, le regole deontologiche e, soprattutto, la ricerca della verità sostanziale dei fatti», dice Valerio Cataldi, giornalista e presidente dell’associazione Carta di Roma, network di cui fanno parte diverse realtà– da Amnesty International alle Acli, alla Federazione nazionale della stampa– che dal 2011 porta avanti diverse campagne di comunicazione ed iniziative pubbliche, «volte a favorire una informazione responsabile e corretta sui temi legati all’immigrazione, al diritto d’asilo e alle minoranze».

L’ultima iniziativa in ordine di tempo della Carta di Roma si è tenuta martedì scorso alla Camera dei Deputati, la presentazione dell’ultimo rapporto dell’associazione – Notizie di chiusura – che si apre a partire da un quesito divenuto ormai fondamentale nell’odierno ciclo politico reazionario italiano: «Qual è la responsabilità dei mezzi d’informazione rispetto al crescente clima di ostilità verso immigrati e rifugiati in Italia», è la domanda a cui prova a rispondere lo stesso Valerio Cataldi, che scrive così nell’introduzione al rapporto: «È una informazione che si nutre di se stessa», contagiata, secondo Cataldi: «dall’incattivimento costante del linguaggio che la politica ha imposto sin dall’inizio dell’anno, nei 59 giorni che hanno preceduto il voto del 4 marzo». E ancora, prosegue il giornalista: «Pacchia, crociera, clandestino, la paghetta dei 35 euro, invasione, sono le parole con cui la politica fa la sua propaganda, ma che rimbalzano su tutti i giornali e su tutti i telegiornali, senza contraddittorio». Di recente proprio Cataldi, che lavora da anni per RaiDue, ha subito una grave censura sulla tv pubblica per un suo reportage sulle condizioni dei campi di detenzione per richiedenti asilo nell’isola di Lesbo. Il sindacato dei giornalisti Rai era intervenuto più volte chiedendo «perché non è mai stato trasmesso il servizio, un documento d’inchiesta giornalistica che in Grecia ha già portato alla rimozione di 4 poliziotti». Non solo. L’Usigrai ha ricordato alla direzione dell’azienda radiotelevisiva nazionale che «il giornalista in questione è il Presidente dell’Associazione Carta di Roma nata proprio per difendere e diffondere l’informazione corretta sui migranti». Quindi lo stesso sindacato ha avanzato sospetti sul fatto che l’immigrazione sia considerato un tema scomodo, dunque, «si deve parlare di censura», ha protestato l’Usigrai. Dunque, «i migranti sono al centro di un confronto, o meglio, di uno scontro, politico, di valori. In tv sono il tema, che spinge sulla leva delle emozioni, mentre sulla rete e sui social network si riflette e si amplifica un clima di ordinario rancore», commenta così il sociologo Ilvo Diamanti quello che emerge dalle novanta e passa pagine dell’ultimo rapporto di Carta di Roma, e in cui si legge che: «Un filo conduttore dell’informazione sul fenomeno migratorio nei sei anni analizzati è quello dell’emergenza permanente, e che il lessico adoperato delinea una cornice di crisi infinita, endemica». Si scopre così che nel 2018 la parola simbolo è stata Salvini, «che nel 2018 l’attuale ministro degli Interni ha conquistato 865 titoli, l’8,2% dei titoli della stampa sul tema dei migranti». Dicono da Carta di Roma: «c’è stata una penetrazione mediatica intensa con almeno un titolo di stampa al giorno». Nel frattempo, aggiungiamo noi, si assiste a uno sfaldamento del tessuto dei valori minimi, comunitari, da condividere. È la storia recente degli ultimi mesi a ricordarci episodi e titoli conseguenti apparsi nell’ultimo anno sui maggiori quotidiani italiani, come questi: «Raid xenofobo a Macerata: sei feriti, due gravi, fermato, l’uomo avvolto nel tricolore ha fatto il saluto fascista». E poi: «grida Viva l’Italia e spara agli stranieri incontrati per strada. In passato candidato con la Lega». Voleva vendicare il diritto di Pamela». E ancora, sono centinaia i titoli di questa natura: «Due italiani sotto accusa: aveva attrezzi per rubare. La ronda, la caccia, le botte. Muore migrante inseguito».

Oggi, «le lacrime non sono più lacrime ma parole, e le parole sono pietre», prendendo in prestito le parole della madre di Salvatore Carnevale, il giovane socialista e sindacalista siciliano di Sciara, «ammazzato dai mafiosi, incarcerato dai carabinieri, disprezzato dai feudatari, ammirato come un eroe dai contadini»  contenute in un romanzo di Carlo Levi, attori forse di un dramma che appartiene a un tempo remoto, di cui i gesti, però, ci arrivano con le parole, «come voci mutevoli e pietrificate». Nel tempo odierno, però,

le parole sono anche muri, come quelli edificati negli ultimi trent’ anni in Europa per fermare i migranti. A raccontare nel dettaglio i mille chilometri di barriere fisiche esistenti dentro e lungo i confini di tredici stati europei, qualche settimana fa sono stati i ricercatori del think tank olandese The Transnational Institute (Tni) che nel rapporto “Building walls. Fear and securitization in the European Union” scrivono che l’annunciata nuova era europea dopo la caduta del Muro di Berlino, «sembra essersi trasformata nel suo opposto», e cioè, nell’epoca in cui «le costruzioni di paura, sia reale che immaginaria, vengono edificate ovunque, alimentando una crescita della xenofobia, dando vita a un mondo recintato diventato molto più pericoloso per le persone in fuga».