MONDO
A New Era: la storica vittoria di Zohran Mamdani
Dall’1% nei sondaggi alla vittoria contro l’apparato politico-burocratico e i miliardari: Zohran Mamdani diventa sindaco di New York city a 34 anni, sconfigge l’establishment e potenzialmente inaugura una nuova era per la politica statunitense
Quando le principali reti televisive hanno dichiarato la vittoria per Zohran Mamdani alle 21:30 di martedì sera, un’ondata di euforia ha travolto New York City. Da Brooklyn al Queens, fino a Manhattan, bar e watch parties gremiti di sostenitori sono scoppiati in festa. Zohran Mamdani, trentaquattrenne immigrato musulmano nato in Uganda, aveva appena compiuto quello che molti definiscono una delle più sorprendenti imprese elettorali della storia politica americana recente: da un misero 1% nei primi sondaggi, a sindaco della città più grande e influente degli Stati Uniti.
«La speranza è viva», ha dichiarato Mamdani dal palco del Paramount Theater di Brooklyn. «Abbiamo votato individualmente, ma scelto insieme: la speranza contro la tirannia, la speranza contro i grandi capitali e le piccole idee. Abbiamo vinto perché i newyorkesi hanno osato credere che l’impossibile potesse diventare possibile».
I numeri raccontano una storia che sembrava impossibile solo pochi mesi prima. Con il 50,4% dei voti in una corsa a tre, Mamdani ha sconfitto l’ex-governatore Andrew Cuomo, candidato indipendente dopo la sconfitta alle primarie democratiche e fermatosi al 41,6%, e il repubblicano Curtis Sliwa, fermo a poco più del 7%. Ma la sua vittoria va ben oltre il trionfo personale: segna la fine di un’era politica e mostra cosa può ottenere una campagna radicata nei bisogni reali dei lavoratori e delle lavoratrici.
La strada verso questo risultato storico era iniziata subito dopo la rielezione di Donald Trump nel 2024. Immediatamente, Mamdani ha lanciato una campagna di ascolto in tutta la città, fermandosi agli incroci e nei mercati per discutere con le cittadine e i cittadini della crisi del costo della vita. Da quelle conversazioni, strada dopo strada, quartiere dopo quartiere, è nato un movimento di base imponente: oltre 90.000 volontari/e, perlopiù giovani, che per un anno hanno bussato porta a porta in tutti i five boroughs per spiegare come il programma avrebbe migliorato la vita dei newyorkesi. Inoltre, la campagna è stata finanziata attraverso fondi pubblici e decine di migliaia di piccole donazioni individuali, rifiutando deliberatamente i soldi dei grandi donatori e delle corporation.
Socialista democratico ispirato a Eugene Debs, Franklin D. Roosevelt, Fiorello La Guardia e Bernie Sanders, Mamdani ha fissato obiettivi che l’establishment considerava irrealizzabili, se non pericolosi.
«Una vita dignitosa non dovrebbe essere un privilegio di pochi fortunati, ma una garanzia che il governo cittadino offre a ogni newyorkese», ha ripetuto instancabilmente durante la campagna. Il suo piano affronta la crisi del costo della vita attraverso l’intervento pubblico diretto: congelamento degli affitti per due milioni di inquilini, trasporti pubblici gratuiti e più rapidi, asili nido gratuiti e creazione di supermercati municipali. A finanziare tutto ciò, una tassa fissa del 2% su chi guadagna oltre un milione di dollari annui, oltre ad aumentare le aliquote fiscali sulle corporation – misure che colpirebbero direttamente quei miliardari che, secondo Mamdani, Trump ha favorito e i democratici moderati hanno tollerato.
Durante le primarie, la sfida con Cuomo, forte del sostegno di miliardari e grandi aziende, è stata durissima. L’establishment politico e mediatico, dal “New York Times” a Chuck Schumer, aveva ignorato Mamdani, incapace di cogliere che questo giovane deputato aveva conquistato l’immaginazione di un elettorato multietnico, giovane e popolare. Ma i poteri economici, quando finalmente si sono accorti della minaccia, hanno reagito decisamente. Trump ha minacciato di tagliare i fondi federali alla città, inviare truppe e persino far arrestare Mamdani se avesse mantenuto la promessa di proteggere le persone migranti.
Mentre Mamdani si finanziava con fondi pubblici e micro-donazioni, i political actions committees legati ai miliardari hanno riversato 19 milioni di dollari in una campagna diffamatoria. Figure come l’ex-sindaco Michael Bloomberg, il magnate degli hedge fund Bill Ackman e l’ereditiera di Walmart Alice Walton hanno donato milioni di dollari alla campagna Fix the City di Cuomo, nel tentativo di fermare quello che consideravano una minaccia esistenziale ai loro interessi. Il “New York Post” lo ha attaccato senza sosta dopo che aveva denunciato il genocidio a Gaza.
Eppure non è bastato. Come ha scritto l’ex-segretario al Lavoro Robert Reich: «L’oligarchia ha dato battaglia a Zohran Mamdani e ha perso. La sua vittoria è la prova che il potere delle persone può ancora prevalere su quello del denaro».
Per Alexandra Rojas, direttrice di Justice Democrats, la vittoria rappresenta «il punto di svolta verso cui il nostro movimento lavora da anni: eleggere leader capaci di unire gli elettori per affrontare insieme autoritarismo, corporativismo e la disuguaglianza».
Anche Alexandria Ocasio-Cortez ha sottolineato su MSNBC come la campagna abbia dovuto combattere su due fronti: contro il trumpismo e contro l’establishment democratico «che ci ha portato ai pericoli di questo momento». Bernie Sanders, tra i suoi primi sostenitori, ha celebrato: «Partendo dall’1% nei sondaggi, Mamdani ha realizzato una delle più grandi inversioni di tendenza della politica americana moderna. È la prova che possiamo costruire un governo dei lavoratori, non dell’1%».
Ora Mamdani eredita una città in difficoltà, proprio come La Guardia nel 1933, in mezzo a tensioni razziali, disuguaglianze economiche e ostilità verso gli immigrati. Il nuovo sindaco cita spesso proprio La Guardia: «Capì che la democrazia si costruisce rendendo le città più vivibili: più parchi, più luce, più dignità per i lavoratori». Gli attacchi da Washington e Wall Street continueranno. L’amministrazione Trump minaccia tagli ai fondi, nuove retate dell’ICE e il dispiegamento della Guardia Nazionale. Ma Mamdani promette che questa sarà un’era di coraggio politico, non di compromessi.
«Non più la politica sarà qualcosa che si fa a noi. Ora è qualcosa che facciamo noi», ha dichiarato nel suo discorso della vittoria, mentre migliaia di persone scandivano il suo nome. Durante il discorso ha denunciato con forza la strategia di divisione messa in atto dagli oligarchi: «La classe dei miliardari ha cercato di convincere chi guadagna 30 dollari all’ora che i loro nemici sono quelli che ne guadagnano 20». E ha promesso: «Metteremo fine alla cultura della corruzione che ha permesso a miliardari come Trump di evadere le tasse e sfruttare le agevolazioni fiscali». Ha concluso con parole che risuonano come un manifesto: «Se abbracciamo questo nuovo corso, possiamo rispondere all’oligarchia e all’autoritarismo con la forza che temono di più: la speranza organizzata».
La vittoria di Mamdani è un simbolo potente: un immigrato musulmano alla guida della città più diversificata del Paese, che dimostra come la democrazia possa ancora mantenere le sue promesse quando i leader si impegnano a migliorare concretamente la vita di chi li elegge.
La copertina è di BingjiefuHe (Wikicommon)
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