TERRITORI

Salento: manganelli tra gli ulivi

Al presidio No Tap di San Foca arriva la celere per permettere l’espianto di decine di ulivi secolari. Tensioni, malori e cariche contro i manifestanti.

Una quindicina di giorni fa il Comitato No Tap aveva lanciato l’allarme: “Inizieranno a espiantare gli ulivi, anche se non hanno le carte in regola”. Era bastato poco per richiamare l’attenzione dei tanti attivisti che si battono contro il progetto Trans-Adriatic Pipeline, il mega gasdotto che dovrebbe trasportare gas dall’Azerbaijan all’Italia, attraverso Turchia, Grecia e Albania. Un tubo lungo quasi 300 km e del costo (iniziale) di 27 miliardi di euro. Secondo il progetto, dovrebbe passare sotto il mar Adriatico e fare capolino a San Foca, a poca distanza dal bellissimo scoglio della Poesia.

Ma i salentini non ci stanno. Da quando questa ennesima grande opera è stata annunciata, in diversi comuni sono stati creati comitati contro il Tap, che stanno portando avanti campagne di sensibilizzazione, studi indipendenti e proteste. Anche alcuni amministratori locali, tra cui diversi sindaci della provincia di Lecce, e il governatore della Regione Puglia Michele Emiliano si sono schierati dalla parte dei cittadini, volendo difendere una terra a vocazione turistica che rischia di pagare un conto salato di fronte alla maxi-opera. Al momento, infatti, nessuno è in grado di spiegare l’impatto ambientale che questa potrebbe causare.

Nel periodo precedente, le proteste si erano concentrate sulla costa, soprattutto quando, nei primi mesi del 2014, al largo di San Foca era comparsa una mega piattaforma che aveva il compito di condurre i lavori di sondaggio nelle acque della marina di Melendugno. Oltre allo sbocco a terra, un altro punto critico del progetto, però, è rappresentato dalle campagne che il mega-tubo dovrebbe attraversare per portare il gas dal mare alla centrale che dovrà essere realizzata a Vernole. Campagne disseminate dei bellissimi ulivi secolari che tanti salentini hanno già difeso contro le misure anti-Xylella.

Ed è proprio in una di queste campagne che, nelle ultime due settimane, si è concentrato lo sforzo dei No Tap. Una volta venuti a conoscenza dell’imminente espianto degli alberi, hanno montato un presidio di protesta e monitoraggio, che via via si è avvicinato al cantiere grazie alla disponibilità dei contadini della zona, che hanno messo a disposizione i loro terreni. Martedì scorso si erano verificati i primi tafferugli tra manifestanti e forze dell’ordine. Grazie ai disordini gli espianti erano stati interrotti e i lavori sospesi per una settimana.

Ieri, poi, è arrivata la risposta negativa del Consiglio di Stato a un ricorso presentato dalla Regione Puglia e dal Consiglio comunale di Melendugno contro la valutazione di impatto ambientale espressa dalla Commissione Via, del Ministero dell’Ambiente. In seguito alla sentenza, il Ministero ha comunicato alla Prefettura di Lecce l’inizio delle operazioni di espianto degli ulivi. Comunque, neanche la battaglia nei tribunali sembra finita. La Regione, infatti, è in attesa di un ricorso presentato alla Corte Costituzionale per reclamare competenza sull’opera. Una competenza che il governo nega sulla base del fatto che si tratterebbe di un’opera strategica per lo sviluppo nazionale. Il governatore Michele Emiliano vorrebbe mettere tutti d’accordo facendo sbucare il gasdotto un po’ più a nord, nell’area del comune di Squinzano, che ha già dato l’assenso. Il governo continua a rifiutare perfino questa deviazione, perché costituirebbe un rallentamento dei lavori. I comitati No Tap, dal canto loro, non sembrano avere alcuna intenzione di rinunciare a uno slogan che non lascia spazio ad equivoci “Tap: né qui, né altrove”.

In questo clima si è arrivati a fatti di oggi. All’alba, una ventina di camionette e oltre 100 agenti si sono presentati al presidio No Tap, circondandolo e isolandolo. Fino a tarda mattinata anche la stampa è stata tenuta lontano dagli attivisti, per evitare che venissero documentate le proteste. I 3-400 manifestanti, comunque, non si sono lasciati scoraggiare dallo schieramento muscolare delle forze di polizia e hanno messo i propri corpi di fronte agli agenti, facendo pressione e pretendendo di raggiungere gli alberi. I momenti di tensione si sono prolungati fino al pomeriggio. Per quasi tre ore un gruppo di manifestanti è rimasto isolato, senza acqua, completamente circondato dai poliziotti. Una doppia forzatura, dall’interno e dall’esterno, ha rotto l’accerchiamento, permettendo il ricongiungimento con gli altri manifestanti.

Diverse donne del presidio hanno lamentato di essere state prese a calci. Mentre alcuni sindaci e consiglieri regionali hanno riferito di aver ricevuto manganellate e colpi di scudo da parte dei poliziotti. Infine, due anziani si sono sentiti male e sono stati trasportati in ospedale. Le provocazioni delle forze dell’ordine, però, sembrano non aver spaventato nessuno. Al contrario, aumenta lo spirito combattivo dei No Tap.

Sono ancora più di 200 gli alberi che dovrebbero essere espiantati entro la fine di aprile, quando entrerà in vigore il blocco vegetativo che impedirebbe di proseguire con le operazioni. Mentre ancora non è chiara la sorte di una ventina di ulivi monumentali che si trovano in un’altra parte del cantiere. A rigor di legge non potrebbero essere toccati: si parla di alberi antichissimi di un valore inestimabile. Ma Paolo, del presidio NO Tap, denuncia: “Non si capisce cosa vogliano fare di quegli alberi, ma sappiamo che alcuni sono già stati tagliati. Stanno usando anche la scusa della Xylella”.

Intanto, il 30 marzo è prevista la visita di una delegazione europea, che avrà il compito di controllare lo stato dei lavori. Per quanto riguarda lo stato delle proteste, sembra solo pronto a crescere.